08-11-2022
I "magnifici sette" della Ribolla d'Oslavia: da sinistra Franco Sosol, Saša Radikon, Martin Figelj, Andrea Prinčič, Mateja Gravner, Stefano Bensa e Marko Primosic
C'è una saetta, una rivelazione che è anche disvelatrice di un flusso di coscienza, sorta di dardo infuocato - e che va spiegato - nella mente dei sette eroici produttori di Ribolla d'Oslavia, li abbiamo incontrati recentemente durante l'ormai consolidato appuntamento di Ribolliamo: «Non vogliamo diventare come le Langhe». Chi ci ha detto queste parole? Non ricordiamo, in tutta sincerità, il nostro taccuino è ingeneroso... Vai a sapere! Forse Saša Radikon, può essere, il personaggio supporta tale tesi, lui è una specie di crasi imprevedibile tra un ambasciatore mitteleuropeo, cervello fino e inappuntabile affabilità über alles, e un vignaiolo vecchio stampo, 100% convivialità e schiettezza. O forse è stata Mateja Gravner: per chi non fosse del mestiere, è una splendida donna che pare uno scricciolo a vederla, ma poi rivela un carattere, una personalità... Da Oslavia, appunto! Non Martin Figelj della cantina Fiegl, che è il più "istituzionale" del gruppetto - insieme a Marko Primosic - e infatti è, da presidente, il frontman di Apro, l'Associazione Produttori di Oslavia. O magari è stato Franco Sosol de Il Carpino, il più veneto di tutti, nel senso di accogliente (stop: son accoglienti tutti, son dei tesori. Però emerge qua e là l'anima tra il friulano e lo slavo, la tenacia che soffoca i formalismi come orpelli inutili, cosicché i sette paiono a volte persino troppo essenziali, ma se li conosci meglio scopri che sono solo veri).
Ecco, l'autenticità: questo racconto gira tutto intorno a questo concetto. A Oslavia vogliono essere come le Langhe senza essere le Langhe, ossia sognano una prospettiva in cui la leva dell'eccellenza enologica - la locale Ribolla, appunto: non solo un vino, non solo uno specifico processo di vinificazione, ma la rappresentazione di una rivincita che fa marameo alla storia, come vedremo - dia un'impronta all'intero territorio, lo qualifichi definitivamente in termini d'identità e di marketing. Sia insomma sempre più percepita e apprezzata come "anima" d'Oslavia, qual è già oggi in effetti, e faccia da richiamo a un enoturismo consapevole, rispettoso, appassionato.
Dolci pendii d'Oslavia e, sotto, la Ribolla d'Oslavia dei sette produttori
Radici, dunque: nella botanica come abbiamo visto, ma anche nella storia. Rappresentate dai rimandi generazionali in virtù dei quali s'assiste a un'identificazione collettiva - e dunque a un'identità forte seppur complessa e specifica, forse forte proprio a causa della sua estrema complessità - che si sviluppa non solo orizzontalmente (il legame tra i sette produttori tra di loro e tra di loro e il territorio), ma anche verticalmente, nei decenni, come eredità culturale e persino spirituale, Saša Radikon custode della lezione di papà Stanko scomparso nel 2016, Josko Gravner che sorveglia il lavoro della figlia Mateja (Saša e Josko sono i padri della Ribolla d'Oslavia; poi è arrivato anche l'altro "grande vecchio", Dario Prinčič, ora affiancato da Andrea), Silvan Primosic coi figli Boris e Marko e così via. Son legami che s'avvinghiano tenaci a un territorio visto come famiglia allargata, come luogo del senso e dell'anima (Dario Prinčič: «La Ribolla d'Oslavia è come le persone. Le persone danno il massimo a casa loro. In un luogo estraneo si può dare qualcosa ma non il massimo») e che ne riverberano l'epopea.
Saša Radikon
Martin Figelj, presidente di Apro, l'Associazione Produttori di Oslavia
Marko Primosic
Dario Prinčič, in camicia bianca, tra (da sinistra) Saša Radikon, Martin Figelj e Franco Sosol
Bicchieri di Ribolla d'Oslavia, il territorio con le colline, i vigneti e, sullo sfondo, in località Ossario, il Sacrario militare che custodisce le spoglie di quasi sessantamila soldati (540 dei quali austro-ungarici): una sintesi della storia, e di questa storia
Non paia strano che, in un pezzo sulla Ribolla d'Oslavia, abbiamo parlato finora di tante cose, ma ben poco di vino. Abbiamo due buoni motivi. Il primo: Oslavia vuole essere oltre la sua Ribolla (che attenzione, è rigorosamente macerata o per meglio dire "a contatto per mesi con le bucce": una marcia in più anzi mille. Da non confondere con le beverine Ribolle comuni, please), peraltro un meritato successo di per sé, va a ruba, la si conosce, è fantastica, insomma non è che serva una promozione del prodotto, semmai delle colline che ce lo regalano. Il secondo: la Ribolla è la perfetta trasposizione dell'essenza di Oslavia per come ve l'abbiamo disegnata. Ci ha detto il regista goriziano Matteo Oleotto, durante il convegno nell'ambito di Ribolliamo 2022: «Questo non è un territorio facile proprio come la Ribolla non è un vino facile. Abbiamo bisogno di tempo per raccontare la storia preziosa di chi lo fa», sottolineiamo di chi lo fa perché i suoi produttori sono il trait d'union perfetto, anche in termini di comunicazione, tra i due elementi che van a braccetto.
Franco Sosol, secondo da destra, chiacchiera con Josko Gravner
Il bello di tutta questa storia è che la Ribolla è un vitigno povero e non particolarmente aromatico, «va "curato" appunto con la maturazione e la macerazione», per ottenere tali vini pazzeschi. In zona la sua diffusione avvenne soprattutto nel secondo dopoguerra, e solo perché ha grappoli grandi e quindi maggiori rese, mica per chissà quali criteri qualitativi. Quindi la conclusione di tutto è: ok il territorio, ok la storia, ma alla fin fine questo piccolo miracolo enologico è soprattutto frutto dell'intelligenza, della caparbietà, della determinazione degli uomini: dei geniali precursori che hanno ideato il "metodo", dei sette produttori che ora ne perpetuano e aggiornano l'intuizione iniziale. Peraltro, tutti e sette figli di un territorio preciso e unico, ossia Oslavia, 300 abitanti, frazione di Gorizia; e figli della sua fascinosa, tristissima e felicissima storia, «dove il dolore si mescola alla bellezza, la morte alla rinascita», come qualcuno ha scritto.
Storie di uomini, donne e bottiglie che fanno grande la galassia del vino, in Italia e nel mondo
a cura di
classe 1974, milanese orgoglioso di esserlo, giornalista professionista dal 1999, ossia un millennio fa, si è a lungo occupato di politica e nel tempo libero di cibo. Ora fa l'opposto ed è assai contento così. Appena può, si butta su viaggi e buona tavola. Coordinatore della redazione di identitagolose.it e curatore della Guida di Identità Golose alle Pizzerie e Cocktail Bar d'autore. Instagram: carlopassera
Le annate 2003, 2004, 2005, 2006 e 2007 di Pignolo. Joško definisce questa varietà un "genio viziato"
I membri dell’Associazione Produttori Ribolla di Oslavia, compagine che mette assieme Dario Princic, Fiegl, Gravner, Il Carpino, La Castellada, Primosic e Radikon