11-12-2024
Un vino racconta la storia e l’identità di un territorio e concentra in un succo d’uva fermentato, il grande lavoro dei viticoltori, che quel luogo lo interpretano, lo difendono, lo raccontano e lo celebrano. Ma, fatto e finito il vino, qual è il veicolo migliore per portare alla bocca questo liquido straordinario? Come consegnarlo al palato, al naso, ai sensi di chi ne gode in modo da esaltarne il carattere e non perderne le sfumature?
Verità: il vino cambia passando da una forma all’altra. Un calice sbagliato può rovinare - o quantomeno sminuire - l’esperienza di degustazione. Basta fare la prova e versare lo stesso vino nel calice apposito o nel bicchiere dell’acqua: all’assaggio sembreranno due bevande distinte. Bere il vino nel bicchiere adatto, quindi, fa la differenza. E per un grande vino, la distinzione varietale tra calice da rosso, bianco, bollicine, risulta necessaria.
È con questa idea che Italesse, azienda leader nel mercato del glassware wine oriented, ha iniziato a confrontarsi con i grandi terroir italiani per cucire addosso ai vini, dei calici tailor made: sartoriali, fatti su misura per poterne esprimere ed esaltare curve, nuance e carattere.
La linea si chiama T-made (appunto, tailor made) e propone, per il momento, quattro esemplari: il calice T-made 55, disegnato per il Vermentino di Sardegna, il T-made 70, calice ufficiale del Consorzio del Vino Brunello di Montalcino, il T-made 75 pensato e progettato per il Barolo e, infine, ultimo, appena sfornato dalla squadra di tecnici, ingegneri, sommelier, designer, artigiani, il T-made 95 Oslavia, il calice disegnato per la Ribolla Gialla di Oslavia, orange wine italiano per eccellenza, presentato tra Gorizia e Trieste qualche settimana fa (il numero si riferisce alla capacità di ciascun calice se colmato fino all’orlo).
Per introdurre quest’ultimo prodotto, Italesse si è valsa dello scenario offerto dai luoghi in cui quest’uva affonda le sue radici e delle voci dei sette produttori di Oslavia.
I vini dei magnifici sette di Oslavia degustati nel corso della cena all'Harry's Piccolo di Trieste
Voci accompagnate dal controcanto delle cucine di un’insegna come Klanjscek wine&stay, immerso tra le colline rivestite dai vigneti di Ribolla e affacciato sul Sacrario Militare di Oslavia, e come l’Harry's Piccolo di Trieste, alto rappresentante della cucina fine dining della regione, attraverso il lavoro dello chef Matteo Metullio.
Il patron Marco Klanjscek controlla la cottura dello stinco che cucina nella peka, una tecnica di cottura tipica delle popolazioni slave
Piatti, tanto quelli casalinghi e legati alla tradizione regionale di Klanjscek, quanto quelli bistellati di Metullio, che riconfermano una volta di più la favolosa versatilità dei vini bianchi macerati.
Lo chef Matteo Metullio tra Paolo Soria e Massimo Barducci durante la cena all'Harry's
Conchiglioni, burro affumicato, lime, erba cipollina, ricciola: un piatto firmato da Matteo Metullio
Curiosità: è rappresentante del territorio la stessa azienda Italesse, orgogliosa, nelle parole del suo CEO Massimo Barducci, di potersi confrontare con un’eccellenza della sua regione, il Friuli Venezia Giulia, e di contribuire, con il proprio lavoro, al racconto, alla comunicazione, alla trasmissione dell’opera portata avanti dalle sette singolari personalità che dal 2010 si riuniscono nell’associazione APRO - Associazione Produttori Ribolla di Oslavia: Il Carpino, Fiegl, Gravner, Radikon, La Castellada, Dario Prinčič, Primosic.
Collaborazione, quella tra questi interpreti e custodi del territorio e Italesse, che rappresenta, nelle parole di Saša Radikon, presidente di APRO un passo fondamentale per esaltare e promuovere il territorio di Oslavia: «Grazie a questa collaborazione, in qualsiasi luogo del mondo si decida di degustare un buon vino orange, sarà possibile farlo con un bicchiere che porta il nome di Oslavia, simbolo della nostra identità».
Da sinistra, Paolo Lauria, sommelier e Head of Marketing Italesse, Massimo Barducci, Ceo di Italesse e Saša Radikon, presidente di APRO
Disegnato lungo i fianchi delle colline di Oslavia, questo calice si candida, infatti, anche come veicolo per altri grandi vini orange.
La bellezza del territorio
Il territorio - veloce ripasso per i meno ferrati - è quello del Collio goriziano, lungo il confine tra Italia e Slovenia, tra i fiumi Judrio e Isonzo, terra di frontiera e di colline, di suoli poco fertili di natura alcalina, ricchi di carbonato di calcio, attraversati dai resti delle ferocissime battaglie della Prima Guerra Mondiale e dalla ponca, conformazione rocciosa caratterizzata da un’alternanza di strati duri e impermeabili di sabbie cementate dal calcio (l’arenaria) con la più tenera marna (argilla) che, come una spugna, trattiene l’acqua. Suoli che assieme a notevoli escursioni termiche, al soffio costante della bora, alla protezione offerta dalle Prealpi Giulie, alla vicinanza col mare, gli inverni freddi e le estati calde con precipitazioni abbondanti, creano un microclima e delle condizioni molto particolari per lo sviluppo di uve eccezionali.
La vista sulle colline d'Oslavia
Oslavia, frazione di Gorizia con appena 200 abitanti, spicca tra queste colline quale capoluogo vinicolo di eccellenza, concentrando in una manciata di km quadrati, sette grandi interpreti del vitigno che dà vita al più celebre orange wine italiano. Proprio questa unicità ha spinto Italesse a volersi misurare con questo vino: «Noi pensiamo che il concetto di bicchiere varietale (cioè del calice da bianco, rosso, bollicine - ndr) non sia sufficiente a esprimere il carattere di un grande terroir» ha sottolineato Barducci durante la presentazione dell’ultima fatica dell’azienda. «È necessario un approccio diverso, che esplori fondi, pareti, diametri, sensazioni primarie, aromi, freschezza. Abbiamo incrociato tutti questi dati e ne sono uscite cose interessanti».
Franco Sosol dell'azienda Il Carpino introducendo la sua magnifica ribolla. 80 giorni di macerazione sulle bucce, due anni in botti grandi di rovere di Slavonia, non filtrato
Il lavoro di progettazione, ha raccontato Paolo Lauria, sommelier e Head of Marketing Italesse, ha implicato 12 mesi di lavoro, 320 degustazioni per testare i vini dei sette produttori di Oslavia e con i sette produttori - che hanno preso parte ad alcune fasi del processo -, 5 diversi prototipi realizzati per individuare le forme definitive del T-made 95 Oslavia.
Quali sono? Pareti ampie e avvolgenti e un bevante proporzionato per esaltare l’eleganza del vino, fondo ampio e piatto, per stemperare l’impatto alcolico e valorizzare morbidezza e complessità, un diametro calcolato per valorizzare la freschezza e l’equilibrio al palato. Un piccolo gioiello in vetro cristallino che, grazie alla soffiatura a bocca e alla lavorazione a mano, raggiunge una leggerezza e un’elasticità eccezionali, in grado di aggiungere alla percezione visiva, olfattiva e gustativa, anche l’emozione tattile.
Storie di uomini, donne e bottiglie che fanno grande la galassia del vino, in Italia e nel mondo
di
nata a Milano da madre altoatesina e padre croato cresciuto a Trieste. Ha scritto (tra gli altri per Diario e Agrisole) e tradotto (tra le altre cose: La scienza in cucina di Pellegrino Artusi) per tre anni dall’Argentina dove è tornata da poco, dopo aver vissuto tra Cile, Guatemala e Sicilia. Da Buenos Aires collabora con Identità Golose e 7Canibales
I "magnifici sette" della Ribolla d'Oslavia: da sinistra Franco Sosol, Saša Radikon, Martin Figelj, Andrea Prinčič, Mateja Gravner, Stefano Bensa e Marko Primosic
I membri dell’Associazione Produttori Ribolla di Oslavia, compagine che mette assieme Dario Princic, Fiegl, Gravner, Il Carpino, La Castellada, Primosic e Radikon
La Ribolla di Oslavia disegna il proprio futuro. Le foto sono di Fabrice Gallina
Storie di uomini, donne e bottiglie che fanno grande la galassia del vino, in Italia e nel mondo, dando voce a grandi blasoni, insomma delle vere e proprie istituzioni, ma anche a piccole aziende: tutto questo è In cantina.