13-07-2022

Castello di Vicarello, l'arte di sapere osare. Con vini fuori dagli schemi

Brando Baccheschi Berti: «Mio papà si definisce “il talebano della Maremma”». E arriva anche un Malbec che richiama l'Argentina

Un'oasi di pace nella Maremma: ecco Castello d

Un'oasi di pace nella Maremma: ecco Castello di Vicarello

Un’interpretazione personale della Maremma, con la volontà di fare qualcosa di diverso. «Mio papà si definisce “il talebano della Maremma”» sottolinea con un sorriso Brando Baccheschi Berti, descrivendo così il padre Carlo.

Una storia legata all’innamoramento per il Castello di Vicarello, dapprima come abitazione privata della famiglia in Toscana, poi come azienda vitivinicola e pian piano anche come struttura di accoglienza che riesce a riunire il carattere della campagna toscana all’eleganza. Carlo Baccheschi Berti con la moglie Aurora, dopo una vita trascorsa tra Bali e Milano lavorando nel mondo della moda e dell’arredamento, visitarono quelle che, al tempo, erano le rovine del Castello. Fu amore a prima vista, così si trasferirono insieme ai tre figli in questo angolo sconosciuto della “selvaggia” Maremma. Il restauro del castello, prima come abitazione e poi come struttura ricettiva, durò più di 12 anni. E in parte prosegue ancora oggi. A questo è poi legata la produzione di vino.

Brando Baccheschi Berti si sta dedicando molto al mondo del vino della tenuta

Brando Baccheschi Berti si sta dedicando molto al mondo del vino della tenuta

«Ci troviamo in provincia di Grosseto, nel cuore della Maremma - continua Brando Baccheschi Berti - a un’altitudine di circa 350 metri sopra il livello del mare. Alle spalle abbiamo il Monte Amiata, ma il mare è a pochissima distanza, e per questo si tratta di un’area molto fortunata per quanto riguarda l’arieggiamento. Abbiamo sei ettari e mezzo, con un totale di circa 40 ettari di proprietà, suddivisi su tre appezzamenti differenti. Ci sono suoli molto minerali e per questo siamo molto fortunati. Anche le vigne sono tutte ad alberello toscano, con un’alta densità di impianto».

Il Sangiovese, in Toscana, non può mancare, ma qui, puntando sulla volontà di fare qualcosa di diverso, troviamo anche Merlot, Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon, Petit Verdot e Malbec (questo con una storia particolare), per realizzare tre vini rossi, che a breve diventeranno quattro, e un rosato.

Il vigneto castello

Il vigneto castello

«Tutte le vigne sono state piantate tra il 2000 e 2002 – racconta Brando Baccheschi Berti – La scelta dell’alberello ci porta ad avere sicuramente una maggiore qualità, ma i tempi di lavorazione si raddoppiano. Al momento realizziamo 25mila bottiglie all’anno di media, l’idea è di arrivare a 40mila bottiglia anche grazie a due nuovi ettari da impiantare».

Andando a fare un piccolo excursus sui vini del Castello di Vicarello, si inizia con Merah, il cui nome significa “Rosso” in indonesiano, «perché i miei genitori hanno vissuto 18 anni a Bali». «È un vino che ho voluto introdurre io nel 2014, perché ci mancava un prodotto entry level. Si tratta di un Sangiovese in purezza, che fermenta in acciaio e successivamente metà prosegue il suo percorso nelle vasche e metà affina in botte di rovere da 35 ettolitri per un periodo tra gli 8 e gli 11 mesi, per poi riposare un anno in bottiglia». L’annata 2018, prodotta in 7.500 campioni, mostra il carattere del Sangiovese, puntando più sull’immediatezza del frutto che sulla complessità: un vino dall’ottima beva.

Poggio Vico è la novità: un Malbec in purezza

Poggio Vico è la novità: un Malbec in purezza

Poggio Vico, invece, è la novità: si tratta di un Malbec in purezza, che uscirà nei prossimi mesi con l’annata 2019. «Mio padre è innamorato del Malbec d’Argentina. Ma purtroppo i cloni presenti in Italia non lo convincevano, fino a quando è riuscito a recuperare dei cloni argentini». Dopo la fermentazione in acciaio e tino troncoconico, il vino passa 10 mesi in tonneaux e barriques di secondo passaggio, e infine riposa per 12/18 mesi in bottiglia.

Prodotto in 2.200 esemplari, è un vino dal grandissimo potenziale, dove la balsamicità e le erbe officinali sono ben presenti e si accostano a un frutto rosso maturo ma non “cotto” e a note di spezie, di pepe in particolare, ma anche un accenno piacevole di caffè. In bocca ha un ingresso deciso, freschezza e sapidità sono importanti, e il tannino è fine, con un sorso profondo e piacevolmente lungo.

Brando Baccheschi Berti presenta i vini 

Brando Baccheschi Berti presenta i vini 

Terre di Vico, invece, è già in produzione da qualche anno: 65% di Sangiovese, 25% di Merlot 10% di Cabernet Franc. Dopo la fermentazione in tino troncoconico, il vino prende due strade: la prima, in barriques di secondo passaggio, e la seconda in tonneaux, sempre di secondo passaggio ma con l’aggiunta di qualche legno nuovo, per un periodo variabile tra i 18 e i 22 mesi. Sono 6.500 le bottiglie prodotte, per un vino che ha una buona complessità e dove il Sangiovese viene integrato dal frutto più netto del Merlot.

Il vino di punta è il Castello di Vicarello: «È il nostro cru – ribadisce Brando Baccheschi Berti – Si tratta di 1,1 ettari con 14 mila ceppi. In questo caso abbiamo 45% di Cabernet Franc, 45% di Cabernet Sauvignon, e 10% di Petit Verdot. Anche in questo caso partenza con fermentazione in tino troncoconico, poi legno nuovo in botti piccole da 160, 225 e 300 litri per circa un anno, e quindi bottiglia per un paio d’anni».

I vini degustati

I vini degustati

Il vino ha uno stile molto francese, o meglio bordolese: eleganza e austerità al naso, che pian piano si apre con una gamma aromatica ampia ma non invasiva. In bocca mostra un carattere deciso, con un tannino molto presente ma anche fine e non fastidioso. Buon equilibrio fin da subito, ma è sicuramente un vino da invecchiamento.

Castello di Vicarello si dimostra un’azienda con le idee chiare, che sa uscire dagli schemi della viticoltura maremmana, con vini che hanno un chiara e precisa identità.


In cantina

Storie di uomini, donne e bottiglie che fanno grande la galassia del vino, in Italia e nel mondo

a cura di

Raffaele Foglia

giornalista de La Provincia di Como, sommelier e appassionato di birra artigianale. Crede che ogni bicchiere di vino possa contenere una storia da raccontare. Fa parte della redazione vino di Identità Golose

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