13-11-2019
Una spettacolare immagine della tenuta di Siddùra a Luogosanto
«Credo che sia stata la terra a scegliere noi, e non il contrario». Le parole di Massimo Ruggero, amministratore delegato di Siddùra, racchiudono quello che, in pochi anni, ha trasformato il sogno di due imprenditori in una bella realtà in continua crescita qualitativa.
Un sogno che sorge in Sardegna, nel paese di Luogosanto, in quella parte della Gallura più selvaggia e incontaminata, a pochi chilometri in linea d’aria dal mare, ma circondata da boschi e silenzio. «L’amore per il vino, la passione, vince anche la mancanza di conoscenza» ammette Massimo Ruggero, imprenditore del settore edilizio, che incontra Nathan Gottesdiener, il quale invece è impegnato nel settore della moda e con il quale dà vita a Siddùra.
L'amministratore delegato Massimo Ruggero in cantina
Da quel momento è iniziata la realizzazione dell’azienda vitivinicola. «Da questa zona arrivava il Vermentino che si vendeva alla Maddalena, una delle piazze più importanti della Sardegna. Abbiamo studiato i terreni, analizzato i cloni, partendo da quella piccola vigna che c’era attorno allo stazzo, l’antica casa coloniale, e poi abbiamo realizzato una cantina di 900 metri quadri interamente sottoterra, con tanto di impianto geotermico. Quindi abbiamo cercato delle figure professionali di alto livello: enologo, agronomo, ma anche responsabili per il marketing e per la comunicazione». L’enologo di Siddùra è Dino Dini, mentre l’agronomo è Luca Vitaletti.
La cantina di Siddùra, studiata con la massima attenzione
L’avventura di Siddùra inizia nel 2008, con l’acquisto dei terreni, mentre la prima annata di produzione è la 2011. La proprietà vanta 201 ettari, dei quali 40 vitati, per una produzione che si assesta sulle 250mila bottiglie. «Facciamo vendemmie parcellizzate. Poi in cantina è tutto controllato con un computer. Senza contare che continuiamo a fare sperimenti, prove, tentativi. Cerchiamo sempre di arrivare al meglio».
Un altro scorcio dei vigneti e dello stazzo
Più complesso il Maìa, ovvero magia, che è la seconda delle tre interpretazioni del Vermentino. In questo caso l’intenzione era quella di passare a un vino dal maggiore potenziale di affinamento: si tratta di una selezione, vinificata in acciaio, con il vino che resta a contatto con i lieviti ancora per diversi mesi. Ed esce un anno dopo lo Spèra. Si tratta di un vino più complesso, ma ugualmente molto elegante e fine: l’annata 2017, già assaggiata al Vinitaly ad aprile, riprovata a inizio autunno aveva un grande equilibrio e una maggiore espressività olfattiva. Segno che al Maìa la permanenza in bottiglia fa solo bene.
Prima di passare ai rossi, una nota di merito va al Nudo 2018, un rosato di Cannonau, che molto si ispira ai rosè della Provenza, ma mantenendo i profumi della macchia mediterranea sarda. Non può mancare il Cannonau: Èrema è la sua espressione più semplice, immediata, molto pulita e dalla buona bevibilità. Il Fòla, invece, è la Riserva, in uscita in questo periodo.
Il Maìa, un Vermentino da provare
Per finire in dolcezza, Nùali, Moscato di Sardegna 2016: le descrizioni, in questo caso, sono fino superflue. Il consiglio è di assaggiarlo, magari con qualche ottimo formaggio sardo. Ma il consiglio vero è di andare a Luogosanto: Siddùra è sicuramente un’azienda da visitare.
Storie di uomini, donne e bottiglie che fanno grande la galassia del vino, in Italia e nel mondo
a cura di
giornalista de La Provincia di Como, sommelier e appassionato di birra artigianale. Crede che ogni bicchiere di vino possa contenere una storia da raccontare. Fa parte della redazione vino di Identità Golose