«Beh… Io corro!», spiega smagliante
Davide Palluda per spiegare la sua linea invidiabile a 43 anni, gli ultimi venti dei quali passati a padroneggiare le cucine di un ristorante denominato
All’Enoteca perché all’interno di un autentica
enoteca, quella regionale del Roero, “l’ex cugino povero delle Langhe” ha scritto
Paolo Marchi, sottolineando la crescita della zona.
Ma qui non ne facciamo una questione di
jogging e calorie bruciate: la corsa è mentale, l’agilità nelle idee, e ben si sposa – per perfetta contrapposizione – alla pigra golosità di queste terre paciose, tranquille, feconde; lo chef invece adrenalinico e gioviale anche quando è tra i tavoli a salutare i clienti, lasciando di scatto - appunto - i fornelli per rubare un poco la scena alla sorella
Ivana, i cui capelli mossi ben ne rappresentano il carattere spumeggiante, che poi è anche quello di lui: è
domina della sala e respinge l’assalto, rivendica il suo ruolo pur in tempi di masterchef e cuochi divi. Che
Davide torni pure in cucina!, gioco sorridente. E ricorda di essere una delle tre coppie fratello-sorella dell’alta ristorazione made in Italy: loro, gli
Uliassi e i
Romito, guarda caso
Niko era seduto a quel tavolo lì qualche giorno fa, quasi a dar conferma personale, a sancire una sorta di apparentamento indiretto (ne abbiamo parlato
qui).

Davide Palluda tra Niko Romito e Ugo Alciati al termine del pranzo tenutosi qualche giorno fa All'Enoteca per celebrare lo chef abruzzese (foto Bruno Murialdo)
Vent’anni e non sentirli, si diceva. Perché
All’Enoteca nacque nell’aprile 1995 e presto sarà festa, praticamente i
Palluda ci han passato metà della loro vita, calcolando anche il tempo in cui questo era un asilo e loro, bimbi, lo frequentavano, non si capisce bene se l’attuale sala ristorante – 9 tavoli, più altri 5 in uno spazio attiguo: numeri ragionevoli - fosse quella dei giochi per i piccoli o di meditazione per le carmelitane. Profeti in patria, insomma;
Davide è affezionato al luogo, vi si trova a suo agio e ha il parziale rammarico che i muri non gli appartengano, così lo sentirebbe del tutto casa sua, ma è quasi solo questione di forma.

Animella e anguilla alla brace e limoni
Perché lo chef vi è ben integrato e qui ha raggiunto piena maturità stilistica, come ricorda anche
Nicola Perullo nella scheda sulla guida
Identità Golose 2015, che riporta anche la seguente dichiarazione: «Ci stiamo concentrando su cose che rilassano», significative parole di
Palluda a certificare l’attuale stagione della sua cucina. Che non è di corsa, men che meno seduta, ma beneficia l’odierna energia calma del suo artefice e risulta dunque, parallelamente, in gran forma. Sia che si vada sulla tradizione che si viri su una creatività senza orpelli spettacolari, contemporaneità meditata e filtrata attraverso le lenti del territorio. Penso all’ottima
Animella e anguilla alla brace e limoni, piatto che va oltre al Roero e poggia però su una fine misticanza locale di foglie e petali («Cuoco è chi si alza alle 7 ogni mattina e cerca il pesce, la carne e le erbe. Dopo può entrare in cucina ed è pronto per cominciare», ebbe a dire lo chef); le due grassezze di mare e di terra lo rendono infinitamente succulento, smorzate appena dall’aromaticità dolce-acidula della composta d’agrume. il tutto all’odor di braci: proposta completa, intelligente, moderna, complessa.
Nel nostro menu, è stato l’esordio di un trittico delle meraviglie le cui altre due componenti hanno virato invece sull’identità. In primis con la classicissima
Finanziera, per chi scrive una sorta di piatto-feticcio poche volte gustato di simile rotondità (ricordo quello di Maurilio Garola alla
Ciau del Tornavento e quello dei
Vivalda all’
Antica Corona Reale); poi coi
Semplici ravioli quadrati di fassona: un velo la pasta, un’esplosione il ripieno, ma il segreto sta nel sughetto che coccola il palato con una suadenza rivelatrice d’un ospite segreto, il Marsala.