09-03-2019
Luca Gambaretto, sulla destra, con Bobo Cerea, in una foto di un recente quattro mani al suo Maffei. Gambaretto si ispira anche ai Cerea nella costruzione e crescita del suo gruppo ristorativo, Do It Better, a Verona (e non solo)
A 30 anni ancora da compiere - il prossimo 7 luglio, lui è un classe 1989 - Luca Gambaretto si ritrova a capo di un gruppo ristorativo forte di una settantina di dipendenti «regolarmente assunti» ci tiene a sottolineare, su cinque insegne, quattro a Verona e una a Trento, più altre due di prossima apertura («diciamo fine 2019, inizio 2020») a Milano e Roma, poi un'attività di catering abbozzata da poco ma che sta già decollando e il progetto di un laboratorio centralizzato per la panificazione e i lievitati. Mica male, no?
Abbiamo scritto sopra che "si ritrova" con questo piccolo impero goloso, però è un'espressione per nulla corretta: perché Gambaretto tutto questo se l'è costruito in pochi anni, da solo («Non ho soci», altro elemento che gli piace evidenziare), partendo dal basso e lavorando sodo. In un'Italia dove fino a non molto tempo fa dominava incontrastato il modello del ristorante o della trattoria familiare, con mamma in cucina, nonna a fornire le ricette, papà in sala, i figli a dare una mano e magari una cognata come aiuto, la crescita di gruppi ristorativi strutturati è un fenomeno interessante, ce ne siamo occupati anche in passato raccontando ad esempio l'universo Niko Romito oppure quello costruito da un altro veronese qual è Gambaretto, ossia Giancarlo Perbellini (leggi 15 consigli di Perbellini per avere successo nel mondo della ristorazione). O gli Alajmo. O Bartolini.
Luca Gambaretto, classe 1989
Parlando appunto di altissima ristorazione e dei modelli citati, emerge però subito una caratteristica specifica del gruppo Do It Better, che Gambaretto ha creato e che fa da ombrello a tutto quanto abbiamo visto: negli altri casi si tratta di sistemi "verticali", un'insegna di punta mono o multistellata che illumina tutto il resto, a cascata, si pensi appunto a Niko. Qui invece il sistema è invece "orizzontale", non ci sono ancora macaron (prima o poi arriveranno. Non dubitiamo che Gambaretto ci arriverà) ma quattro format distinti, ossia Maffei, Saos, Amo e Oblò, certo segmentati, dedicati a diversi target, appetiti e portafogli, anche con impostazioni specifiche, ma che afferiscono tutti a un segmento comune: una buona ristorazione di qualità, né più né meno.
Al Maffei il Gambaretto ragazzo ha mosso i primi passi nel mondo della ristorazione, ancora impegnato con gli studi (è laureato in Economia e management delle imprese di servizi all'Università di Verona): «Ricordo, era il 2003, quando davo una mano a preparare i risotti a un allora giovanissimo Giacomo Sacchetto (che da poco ha lasciato il ruolo di sous chef di Giancarlo Perbellini al Casa Perbellini per mettersi in proprio, ndr) che era appena uscito dall'Istituto Alberghiero. Ma operavo un po' da tuttofare: lavavo i piatti, ero una specie di sguattero, davo una mano in sala...», che è poi l'imprinting che è rimasto più forte.
Vestigia romane nelle viscere del Maffei
Oggi il Maffei è rilanciato; in cucina da sette anni c'è lo chef Matteo Balestra, veronese classe 1981, buon professionista. È un locale da tanti coperti (circa 150) e piatti solidi, ricordiamo tra i nostri assaggi un buon Cervo scottato, cime di rapa, pinoli tostati e riduzione di passito, o un'ottima Pan brioche con sarda affumicata, mele al cardamomo, albicocca e burro alla liquirizia. Non siamo ancora dalle parti della stella, ma è una prospettiva da tenere presente, «tra l'altro il palazzo vedrà nei prossimi mesi un'importante operazione di riqualifica, era soprattutto residenziale ma sul piano nobile sorgerà una specie di museo, anche noi abbiamo in mente un restyling per adeguare il ristorante alla crescita complessiva».
Lo chef Matteo Balestra, con la barba
Due mesi più tardi, dunque sul finire del 2017, ha aperto i battenti anche Amo, nato come bistrot moderno all'interno dell'omonimo museo scaligero dedicato all'opera lirica (Amo è acronimo di Arena MuseOpera), «ma non andò bene», ora spostato con molto miglior fortuna nello stesso isolato ma in vicolo Due Mori al 5, spazi molto belli, nel menu piatti come Tacos di parmigiano con tartare di fassona e salsa Amo, Moscardino alla Luciana, Pat thai con gamberi, fondo di crostacei, julienne di verdurine e nocciole, Spiedino di polipo con salsa agrodolce e rosti di patate con rosmarino...
Gambaretto con Balestra e lo staff di Amo Bistrot
Uno degli snodi di questa storia di successo è la capacità del giovane imprenditore di fare rete. S'è inventato, ad esempio, i Tasty Thursday, «vado in un ristorante di un amico e impronto una diretta Facebook raccontando quella realtà, con migliaia di visualizzazioni. È un modo per raccontare le eccellenze del nostro territorio». Ospita al Maffei toque prestigiose, «abbiamo avuto i Cerea, Antonello Colonna, Alfio Ghezzi, presto dovrebbe venire anche Philippe Léveillé...». È appena entrato negli Ambasciatori del Gusto, «credo di essere il più giovane in assoluto (in realtà lo batte solo Solaika Marrocco, ndr)». E ha appena concluso con successo la sua operazione più importante: da 15 giorni è nata Gilda, tanti complimenti anche a mamma Carlotta.
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Gita fuoriporta o viaggio dall'altra parte del mondo? La meta è comunque golosa, per Carlo Passera
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classe 1974, milanese orgoglioso di esserlo, giornalista professionista dal 1999, ossia un millennio fa, si è a lungo occupato di politica e nel tempo libero di cibo. Ora fa l'opposto ed è assai contento così. Appena può, si butta su viaggi e buona tavola. Coordinatore della redazione di identitagolose.it e curatore della Guida di Identità Golose alle Pizzerie e Cocktail Bar d'autore. Instagram: carlopassera
Dall'alto a sinistra: (prima fila) Susy Ceraudo, Luca Gambaretto, Jgor Tessari, Valentina Bertini; (seconda fila) Alberto Piras, Alberto Tasinato, Matteo Zappile; (terza e ultima fila) Manuel Tempesta e Rudy Travagli
Fabio Tammaro davanti all'entrata del Maffei di piazza delle Erbe a Verona. Lo chef campano, da tempo attivo nella scena gastronomica scaligera, è diventato da questo autuno chef della storica insegna guidata da Luca Gambaretto. Foto Tanio Liotta
Gita fuoriporta o viaggio all’estero? La meta è comunque golosa. Lo è perlomeno per il nostro Carlo Passera, alias Carlo Mangio. Un cibo succulento le sue parole, che stimolano curiosità e salivazione, pensieri limpidi, tanta sostanza per una delle penne più interessanti del panorama gastronomico nazionale