Anthony Genovese è meditabondo, quando lo intercettiamo a margine del suo intervento da ospite d’onore di Meet in Cucina Abruzzo di Massimo Di Cintio, qualche giorno fa. Ci vede e pensa subito a Identità Milano 2018, dove sarà sul palco dell’auditorium tra i primi, sabato mattina: a lui spetterà il compito di raccontare la Calabria dei suoi genitori, prima e dopo le relazioni di altri grandi nomi dell’alta cucina della punta d’Italia: Caterina Ceraudo, Luca Abbruzzino, Francesco Mazzei (leggi qui il programma completo).
E’ meditabondo, dicevamo: «Sto pensando a come sviluppare l’intervento. Voglio farlo bene, alla Calabria sono molto legato, ma per me non è facilissimo», lui non ha mai vissuto laggiù, ha girato il mondo dopo essere nato in Francia, dove i genitori Elisabetta e Pasquale, originari di San Pantaleone, pendici Sud dell’Aspromonte, si erano trasferiti.
Comunque siamo certi:
Genovese farà una gran lezione. Perché è bravissimo, la conferma proprio al suo intervento a
Meet in Cucina Abruzzo, dove ha presentato un piatto nuovo nuovo, studiato per l’occasione («E’ un vulcano di idee, crea continuamente, ci è difficile stragli dietro» ci ha risposto il suo pur efficientissimo ufficio stampa, quando gli abbiamo chiesto ulteriore materiale su questa creazione, e non se n’è trovato, «è stato appena concepito per quell’incontro»).
Allora ve lo raccontiamo noi, a iniziare dal suo nome, semplice: Piccione e cachi. Minimalismo nella presentazione, ma nasconde idee fertilissime: Genovese compra i cachi dal fruttivendolo e invece di utilizzarli subito, li lascia appesi dietro la cucina, in un luogo fresco e asciutto, per tre settimane, in modo che concentrino il loro sapore, cambino texture e «la loro carica zuccherina risulti ovattata. Mi serve che apportino una nota dolce al piatto, purché non eccessiva». Tecnica che ha appreso in Cina, precisa.
Il piccione intero – con ali e zampe - viene scottato velocemente in una pentola con acqua spezie («Giusto una sbianchita»), per dargli carica aromatica; poi viene appeso a sua volta per due giorni a riposare, «al freddo di questi giorni, zero gradi o giù di lì». Ogni dì viene laccato con uno sciroppo alla camomilla, «questa cosa l’ho vista fare invece a uno chef di Hong Kong»: un processo lungo che rende il sapore sempre più complesso.
Trascorse queste 48 ore Genovese irrora il volatile con olio bollente «per dare croccantezza», quindi finisce in forno, la pelle soffiata: «Lì lo cuocio soli 4-5 minuti, invece dei 12 soliti», perché come abbiamo visto e vedremo la cottura complessiva è suddivisa in più fasi. Terminato anche questo passaggio vi è una seconda laccatura, questa volta con una salsa realizzata con mandarino, sake e «una soia di grandissima qualità, perché apporti la spinta sapida». Non resta che dare un’ultima scottata sulla griglia, calore vivo, il tocco finale del grande chef. I fegatini sono sfumati con Armagnac e Porto, se ne ricava un paté aromatizzato alla senape.
Giunge il turno dei cachi, ormai compatti dopo aver riposato 21 giorni: gusto concentrato. Così c’è la loro dolcezza, la sapidità della laccatura numero due: manca la nota amarognola,
Genovese la apporta con dell’indivia completamente cruda, e caramellata. La ricetta, magnifica, si completa con un po’ del fondo di cottura, pure con una nota di cioccolato amaro. Fuoriclasse.