La Sardegna è un’isola di contrasti: mare cristallino e spiagge da sogno, certo, ma esiste un cuore antico che pulsa tra montagne aspre e colline selvagge, dove il tempo scorre al ritmo della natura e delle tradizioni. Addentrarsi nell’entroterra significa scoprire l’anima più autentica dell’isola: paesaggi incontaminati, antichi riti e un’ospitalità sincera che si tramanda di generazione in generazione. Qui, la pastorizia non è solo un mestiere, ma un modo di vivere, e questo stile di vita si riflette nella gastronomia, dove la semplicità degli ingredienti incontra la sapienza delle antiche tecniche di lavorazione. Come raccontava la nuorese Grazia Deledda, «le cose antiche, le tradizioni, le usanze, la lingua stessa di un popolo sono la sua vera anima».
Ma quali sono i prodotti e i piatti sardi simbolo del cuore della Sardegna?
Sicuramente il pane carasau occupa un posto d’onore: sottile e croccante, nasce per accompagnare i pastori nelle lunghe transumanze. La sua preparazione prevede due fasi di cottura: inizialmente, l’impasto viene cotto ad alta temperatura, gonfiandosi in bolle d’aria; poi viene separato manualmente in due sfoglie e sottoposto alla "carasatura", che lo rende croccante e dorato. Da questa base nasce il pane frattau: il carasau viene bagnato nel brodo caldo, condito con sugo di pomodoro preparato lentamente e spolverato con pecorino sardo stagionato; il tocco finale è un uovo in camicia. Quando si rompe il suo tuorlo, questo lega tutti i sapori in un equilibrio perfetto.
Un’altra variante meno conosciuta è il
pane lentu, che non subisce la seconda cottura e rimane morbido e flessibile. Ciò lo rende ideale per essere farcito con la
purpuzza, un impasto di salsiccia fresca rosolata, in un piatto dal sapore rustico e deciso.
Poi Sardegna significa formaggi, in primis sua maestà il pecorino che ha invaso le tavole di tutto il mondo. Non tutti conoscono la sua massima espressione: è il Fiore Sardo, un tempo il formaggio dei pastori, oggi prodotto con metodi artigianali da pochi custodi della tradizione. Il latte crudo delle pecore allevate allo stato brado viene lavorato con cura, e l’asciugatura vicino al fuoco gli conferisce un caratteristico sentore affumicato, dal sapore intenso e leggermente piccante. Il Fiore Sardo è perfetto da gustare in purezza o grattugiato su piatti di pasta tradizionali.
Altro formaggio che pian piano si sta riprendendo un posto d’onore tra gli ingredienti più amati è sicuramente il casu axedu, formaggio fresco dal sapore acidulo prodotto con latte crudo di capra o pecora, ricchissimo di fermenti lattici e che si presta sia per essere mangiato crudo con un filo d’olio evo, sia come condimento per minestre o altri tipi di preparazioni.

Marina Ravarotto a Identità Golose Milano, giovedì 20 marzo
Le paste sarde sono un altro pilastro della cucina dell’isola, dai
malloreddus, spesso conditi con un sugo di salsiccia e finocchietto selvatico, ai famosissimi
culurgiones, scrigni di pasta ripieni di patate, pecorino e menta, sigillati con la caratteristica chiusura a spiga. Non possiamo poi non citare la
fregola, piccole “sfere” di semola tostate, che vengono spesso cucinate con sughi di verdure, di funghi o di carne.
Ma la pasta più rara e affascinante è senza dubbio un'altra: su filindeu, ossia "i fili di Dio". Questa tipologia di pasta, unica nel suo genere, viene realizzata esclusivamente a mano con semola di grano duro e acqua. Il segreto sta nell'arte di lavorare l'impasto fino a ottenere fili sottilissimi, che vengono poi stesi in una trama a tre strati e lasciati essiccare su un supporto circolare; la preparazione è talmente complessa che solo pochissime donne sarde ne custodiscono ancora il segreto, rendendo i filindeu non solo un piatto raro, ma un vero e proprio patrimonio culturale a rischio di scomparsa.

Su Filindeu cotto nel brodo di pecora chiarificato e pecorino di Marina Ravarotto. Sarà possibile gustare questo piatto all'interno del menu che la chef sarda preparerà giovedì 20 marzo a Identità Golose Milano, per prenotarsi clicca qui
Una volta pronti, i
filindeu vengono spezzati e cotti in un brodo ricco di carne di pecora e poi conditi con abbondante pecorino, creando un piatto semplice ma dal sapore intenso, profondamente legato alla cultura pastorale della Barbagia. Chi ha il privilegio di assaggiare i
filindeu non si trova di fronte solo a una pasta, ma a un frammento di storia, una testimonianza della tradizione e dell’abilità manuale delle donne sarde, che, con dedizione e pazienza, trasformano pochi ingredienti in un capolavoro culinario unico al mondo.

Marina Ravarotto ha imparato a impastare e tirare i filindeu, è dunque depositaria di un'antica tradizione gastronomica che rischiava di scomparire
Passando ai secondi piatti, protagoniste della tavola sarda sono certamente le carni: innanzitutto il celebre
su porceddu, cotto lentamente alla brace su rami di mirto, così da ottenere una cotenna croccante e una carne morbidissima. L’agnello non è da meno, viene preparato in tantissimi modi, sia arrosto che in umido, spesso accompagnato con verdure di stagione; con i carciofi è sicuramente il connubio perfetto. Per chi ama i sapori più decisi, la
pecora in cappotto resta un’icona della cucina pastorale: la carne viene bollita lentamente con patate e verdure, dando vita a uno dei piatti più radicati nella tradizione rurale sarda.
E il quinto quarto? Qui si apre un mondo che meriterebbe un approfondimento a sé stante. In Sardegna, nulla va sprecato: ogni parte dell'animale viene valorizzata con sapienza e rispetto, trasformando in autentiche prelibatezze quello che altrove sarebbe considerato scarto. Tra le preparazioni più caratteristiche, spiccano le frittelle di cervella, croccanti fuori e morbide dentro, perfette per chi ama le consistenze delicate ma dal sapore deciso. Un altro piatto simbolo è la cordula (o corda), un intreccio meticoloso di intestini sottilissimi che, per la sua lavorazione, ricorda una treccia. La sua preparazione richiede grande abilità: può essere arrostita lentamente sulla brace, acquisendo una croccantezza irresistibile, oppure cucinata in umido con i piselli, in un piatto dal sapore rustico e avvolgente.
Infine, non resta che raccontare l'anima più dolce dell’isola, con miele e mandorle come protagonisti. Sa seada (o sebada) è il dolce per eccellenza: è un “raviolo” di pasta di semola che racchiude un ripieno di formaggio fresco leggermente acidulo aromatizzato agli agrumi, fritto e servito con miele caldo che ne esalta il contrasto tra dolce e salato.

S'Aranzada, un'altra delle specialità che la Ravarotto presenterà a Identità Golose Milano
Un’altra specialità meno conosciuta, e profondamente legata alla tradizione, è
s’aranzada. Questo antico dolce sardo nasce dall’incontro di pochi ingredienti: scorza d’arancia, miele e mandorle, combinati in una preparazione tanto semplice quanto raffinata. Il miele scalda e lega, le mandorle aggiungono croccantezza e la scorza d’arancia conferisce una nota agrumata intensa.
Molti di questi piatti, un tempo riservati alle feste o agli eventi religiosi, oggi, per nostra fortuna, sono più accessibili e diffusi. Ma per assaporarli davvero, il mio consiglio è di prendersi del tempo e lasciarsi coinvolgere dai racconti dei pastori e delle donne dell’entroterra mentre li preparano, perché la cucina sarda non è solo una questione di ingredienti: è fatta di storie, di mani esperte che tramandano saperi antichi, di sapori che resistono al tempo. Ogni boccone è un viaggio nell’anima più autentica dell’isola.