Il tema dell'Intelligenza artificiale e delle innovazioni tecnologiche ha animato l'intero pomeriggio di lunedì scorso, catturando l'attenzione del pubblico numerso riunito presso l'auditorium Testori di Palazzo Lombardia, a Milano, in occasione del convegno annuale degli Ambasciatori del Gusto, "FUTURA 2025" (ne abbiamo scritto nell'articolo AI? Un cambiamento necessario, ma al centro ci sarà sempre l'empatia umana). Tra i relatori della giornata, Alberto Gipponi, chef del ristorante Dina a Gussago (Brescia) che, in video-collegamento, legge i suoi appunti sul tema. Un discorso illuminante, geniale, stimolante, come d'altronde è la sua cucina.
Ma siamo davvero sicuri che ne sia lui l'autore? Intanto, condividiamo il testo qui di seguito.
AI E CUCINA: L'INTELLIGENZA ARTIFICIALE PUÒ AVERE ANIMA?
Oggi parliamo di intelligenza artificiale. Ma non voglio fare un discorso tecnico. Voglio portarvi nel mio mondo, la cucina, e chiedervi: può l’AI avere un’anima?
Ci dicono che l’intelligenza artificiale rivoluzionerà tutto. Anche la ristorazione. Ricette generate dai dati, previsioni sulle tendenze culinarie, ottimizzazione della produzione.
Sembra fantastico. Ma una domanda mi tormenta: se tutto è previsto, calcolato, processato, che fine fa l’imprevisto? L’errore, la scoperta, l’istinto?
L’AI non ha bocca, non ha cuore, non ha memoria gustativa.
Io cucino perché ogni piatto racconta una storia. Di luoghi, di persone, di emozioni.
Quando creo un piatto nuovo, non è solo chimica e tecnica. È un ricordo che affiora, è un’idea nata in un attimo di follia, è un dialogo con chi assaggerà.
L’AI può aiutarmi a capire come combinare sapori secondo la scienza, ma può capire cosa significa il sapore per me? Può ricordare l’odore di una cucina di casa quando ero bambino? Può sbagliare e trovare, per puro caso, la ricetta perfetta?
La risposta è no. Eppure, non penso che sia inutile. Penso che sia una possibilità.
AI come strumento, non come sostituto.
Vedete, in cucina siamo spesso schiavi del tempo. Controlliamo fornelli, ordini, fornitori, sprechi. Ma la cucina è anche e soprattutto creatività.
E allora sì, forse l’AI può liberarci da ciò che è ripetitivo, darci più spazio per pensare, per provare, per sbagliare. Se un giorno un algoritmo potrà suggerirmi connessioni tra ingredienti che non avrei mai immaginato, io lo ascolterò. Ma sarò sempre io a decidere se quel piatto avrà un’anima o meno.
Connessione: AI e il futuro delle relazioni in cucina
L’AI può anche aiutarci a connetterci meglio. Tra chef, artigiani, clienti.
Pensate a un mondo in cui la tecnologia aiuta un cuoco a scoprire ingredienti dimenticati, micro-produzioni locali, storie dietro ogni materia prima.
Pensate a ristoranti che non si limitano a registrare prenotazioni, ma capiscono le preferenze di chi mangia, creando esperienze sempre nuove senza perdere autenticità.
Pensate a critici gastronomici che, invece di inseguire mode, analizzano con più profondità le esperienze dei clienti.
L’AI potrebbe persino aiutarci a non sprecare cibo, prevedendo il fabbisogno di un ristorante senza sacrificare la spontaneità della cucina. Potrebbe rendere l’industria più sostenibile, senza trasformarla in una catena di montaggio senz’anima.
L’AI non può sostituire la scintilla umana.
Ma non dimentichiamolo: l’AI non può assaporare. Non può emozionarsi. Non può ricordare il sapore di un bacio rubato davanti a una pizza in un parcheggio di provincia.
Questo, oggi e sempre, è solo umano.
Quindi, non dobbiamo avere paura dell’AI. Dobbiamo solo decidere come usarla.
Io voglio usarla per scoprire, per migliorare, per creare nuove storie da raccontare nel piatto. Ma la scintilla della cucina, quella, resterà sempre umana. Grazie.
Questo speech è stato scritto, sotto mie indicazioni, dall'intelligenza artificiale.