Siamo arrivati all'ultimo appuntamento dello Spazio Arena di questa ventesima edizione di Identità Milano, dove si affronta uno dei temi più rilevanti e discussi nella cucina contemporanea: l'innovazione a confronto con la tradizione. Questo incontro, ha visto la partecipazione di esperti del settore come Joxe Mari Aizega (Direttore Basque Culinary Center), John Regefalk (Head of Culinary Innovation, Basque Culinary Center, San Sebastián), Jessica Rosval (Al Gatto Verde, Modena), Alberto Gipponi (Ristorante Dina, Gussago - Brescia) e Andrea Tortora (AT Pâtissier).
Il dibattito è iniziato con l'introduzione di Joxe Mari Aizega, direttore del Basque Culinary Center, che ha descritto la missione del centro come quella di fungere da hub per la ricerca e l'innovazione gastronomica. «Abbiamo creato un ecosistema ampio con una facoltà di gastronomia universitaria, con una laurea, 12 master, un programma di dottorato, un centro di ricerca, un programma per imprenditori e anche un'attività di eventi», ha detto Aizega.
John Regefalk ha introdotto la "Community for Innovation", una nuova iniziativa del
Basque Culinary Center, che mira a connettere chef di tutto il mondo per favorire lo scambio di idee e la promozione dell'innovazione. «Questa comunità di chef per l'innovazione è una maniera di stare in connessione continua con chef di diverse parti del mondo», ha sottolineato
Regefalk, evidenziando la volontà di includere più chef italiani nella rete globale. Questo approccio punta a rafforzare il dialogo tra culture gastronomiche diverse, unendo tradizione e innovazione in un contesto internazionale.
I membri del panel hanno avuto modo di condividere le proprie visioni sull'innovazione culinaria, ognuno partendo dalla propria esperienza professionale.
Per
Jessica Rosval, l'innovazione ha molte sfaccettature e si manifesta nelle scelte quotidiane in cucina. «L'innovazione in sé è il miglioramento di un processo o di un sistema che esiste già», sia attraverso la tecnologia per ridurre sprechi e ore di lavoro, sia reinterpretando la tradizione, rendendola più chiara e accessibile. C'è poi l'innovazione sociale, sempre più presente nella ristorazione: «Quello che facciamo ogni giorno può avere un impatto sul mondo che ci circonda». Ne sono esempio progetti come
Food for soul,
Tortellante e
Roots, che offrono opportunità di inclusione lavorativa.
Andrea Tortora vede l'innovazione in pasticceria come «tanta intelligenza e tanta cultura», non solo tecnologia. «La tradizione va reinterpretata con uno sguardo contemporaneo» oggi, ad esempio, si possono ridurre zuccheri e uova senza perdere qualità. La sua produzione si concentra sui lievitati solo da settembre ad aprile, mentre il resto dell'anno è dedicato alla ricerca: «Da aprile a settembre giriamo il mondo per cercare stimoli», perché l'innovazione è continua esplorazione.
Alberto Gipponi, invece, ha evidenziato l'importanza di passare da un «egosistema» a un «ecosistema». L'innovazione si realizza quando diventa trasversale, coinvolgendo diverse discipline e creando impatti globali. Ha parlato anche delle sue collaborazioni con scienziati e ricercatori per sviluppare tecnologie innovative, come l'introduzione del sale nell'impasto per ridurre i tempi di cottura della pasta.
Un'altra domanda molto interessante è stata: L'innovazione porta per forza ad una rottura con la tradizione??
Per Jessica, l'innovazione non significa rompere con la tradizione, ma «dialogare con essa» e migliorarla. Un piatto tradizionale racconta il territorio e i suoi ingredienti; quindi, l'obbiettivo è quello di promuovere i piccoli produttori per creare comunità resilienti. Solo dopo aver compreso a fondo la storia e le tecniche originali di un piatto si può innovarlo con rispetto, «togliendo le parti in eccesso» o adottando «metodi di cottura contemporanei che rispettano di più il prodotto». L'innovazione, quindi, nasce dall'abbracciare la tradizione, non dal romperla.
Alberto sostiene che la tradizione è «una moda che ce l'ha fatta», qualcosa che inizialmente può sembrare distante, ma poi entra nel sapere comune. Tuttavia, si chiede «quanto la conosciamo davvero?», sottolineando l'importanza di un'attitudine alla conoscenza sempre più profonda. Altro tema su cui si è discusso: «copiare» come strumento di innovazione.
Jessica Rosval sottolinea che, nonostante gli anni di esperienza, è fondamentale continuare ad imparare e ad essere aperti alle tradizioni e alle innovazioni, per lei, «copiare» non è una mera ripetizione, ma una parte del processo creativo che, se non capito, perde il valore e il messaggio intrinseco di ogni piatto. Alberto Gipponi evidenzia l'importanza di riconoscere l'origine delle proprie ispirazioni, affermando che copiare non significa semplicemente ripetere, ma comprendere e dare il giusto credito agli altri chef. Andrea Tortora, dal suo canto, riprende il concetto di «copiare per imparare», ma aggiunge che l'obiettivo è superare la copia e raggiungere un livello più alto di creatività. Per lui, i migliori chef, come i grandi compositori, partono da una base di apprendimento e poi si distaccano per creare qualcosa di nuovo.
Viene chiamato sul palco anche un ospite d'eccezione:
Massimo Bottura. Citando Picasso,
Bottura dice: «Copiare te stesso è un esercizio sterile, rubare agli altri è necessario». L'arte e la cucina sono entrambe forme di evoluzione, che non possono prescindere dal passato, ma che devono continuamente trasformarlo per diventare qualcosa di nuovo e contemporaneo. Il suo esempio del
Parmigiano Reggiano stagionato è emblematico di questa filosofia: «Io ascoltavo mia nonna che mi diceva: più è stagionato il parmigiano, più è digeribile». E così, senza fermarsi alle convenzioni del mercato, ha deciso di «trasformare» il parmigiano, sperimentando con stagionature più lunghe, oltre il consueto limite dei 18 mesi.
La sua innovazione, seppur non compresa nel momento in cui è stata proposta, ha migliorato un comparto intero. In conclusione sottolinea: «Essere contemporanei significa cavalcare i tempi che stai vivendo, non il passato. Se invece tu cavalchi i tuoi tempi, rimani contemporaneo ed essere contemporaneo vuol dire essere coraggiosi, perché molto spesso non si è capiti nel momento in cui si sta facendo innovazione».