Riccardo Antoniolo
Vegan kebab in doppio crunch di pizza
In libreria Storia della Torino golosa: 15 piatti iconici della cucina sabauda contemporanea
Totò e Ave Ninchi dialogano alla cassa della trattoria Galeassi a Trastevere, Roma, nel film Yvonne la Nuit, del 1949. Pochi secondi dopo (siamo al minuto 1.14.17, passa un cameriere con una comanda, "coda alla vaccinara per due e spaghetti alla carbonara per tre!". È il primo documento della storia (dunque, un documento cinematografico) in cui si attesta la presenza - peraltro chiaramente consolidata, in una tipica trattoria romana - della pasta alla carbonara
Siamo nella primavera del 1949. Totò sta per affrontare una delle sue prove attoriali più impegnative fino a quel momento, una pellicola intitolata Yvonne la Nuit. Uno dei primi (e rarissimi) ruoli drammatici della sua già fortunata carriera. Il regista del film è Giuseppe Amato e la coprotagonista intorno alla quale ruotano le vicende del film è Olga Villi che interpreta il ruolo della sciantosa Nerina Comi, in arte appunto Yvonne la Nuit, di cui il macchiettista Nino (appunto Totò) è segretamente innamorato. Il film ripercorre l’ascesa e il declino della protagonista: dalla Prima Guerra Mondiale al secondo dopoguerra, in un susseguirsi di vicende e scene connotate da un tono e da temi melodrammatici. La Seconda Guerra mondiale è finita, Il tempo è passato e i café chantant non esistono più. In coppia con il devoto amico Nino, l'unico che le resta sempre accanto, Yvonne si riduce a essere un'artista ambulante. Un giorno mentre si ritrova nel solito ristorante di piazza S. Maria in Trastevere…
E qui avviene la nostra epifania. Siamo alla trattoria Galeassi di Santa Maria in Trastevere (ancora in attività), dove i nostri due protagonisti, in una sera di pioggia e tregenda, vengono nutriti dall’umanissima ostessa romana, interpretata da Ave Ninchi, come sempre a suo agio nel ruolo di matriarca e regina dei fornelli. Anche in trattoria. Alla cassa sora Rudegarda raccoglie le comande, controlla i conti. E così la nutrita truppa di camerieri che le sfila dinnanzi elenca piatti ordinati o da pagare. Quattro “matriciane” tanto per cominciare. Intanto l’ostessa promette di sfamare con un “fienile di fettuccine” un Totò invecchiato e dal volto duramente scavato dalle privazioni, che la intrattiene con tono leggero e scherzoso. Un cameriere le si avvicina con l’ultima comanda: “Coda alla vaccinara per due e spaghetti alla carbonara per tre”.
Se la prima citazione diretta scritta (e non riportata) della carbonara finora conosciuta risale a una cronaca romana di La Stampa del 26 luglio 1950, il dialogo tra i protagonisti della varia umanità di una tipica trattoria romana del dopoguerra profuma di verità e anticipa la comparsa degli “spaghetti alla carbonara” a Roma e nella cucina italiana di almeno un anno, ponendola con grande sicurezza almeno al 1949. E senza alcuna ambiguità. La carbonara, a 4 anni (1944) dalla sua asserita comparsa sulla scena della ristorazione romana, è un piatto noto e apprezzato. In quale forma naturalmente non si può che intuire.
Si potrebbe obiettare che il cinema e le produzioni culturali non offrano spesso una documentazione attendibile sul piano della ricerca storica. Noi siamo convinti del contrario, soprattutto se prendiamo in considerazione il ruolo enorme che ha svolto l’industria cinematografica romana nell’imporre nell’immaginario italiano una certa cultura locale fatta anche di piatti poi divenuti bene nazionale e collettivo. Un fenomeno culturale, ancora troppo poco esplorato soprattutto in quel cinema minore (spesso considerato di serie B) ricchissimo di spunti e documentazione della cultura materiale. Specie quella della tavola. I social oggi non hanno inventato nulla. Soprattutto non possono riscrivere la storia. Quantomeno quella della carbonara (e presto ci torneremo con un approfondimento tecnico).
Buon Carbonara Day e buona visione.
IL FILM "YVONNE LA NUIT" È DISPONIBILE, TRA L'ALTRO, SU PRIME VIDEO, CLICCA QUI
Giornalista, esperto di vini, è tra i maggiori conoscitori della gastronomia e della cultura agroalimentare dell’Alto Adige, e non solo
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