23-09-2024
Un celebre scatto che ritrae Alberto Sordi in una scena di Un americano a Roma, film diretto da Steno e uscito nelle sale proprio in quello stesso 1954 in cui Elizabeth David dava alle stampe il suo Italian food
In un momento in cui la cucina di ispirazione italiana sembra onnipresente nel panorama internazionale e gli scaffali delle librerie sono sempre più pieni di titoli sulle sue varianti regionali scritti da autrici stranieri – Emiko Davies, Rachel Roddy, Elizabeth Minchilli tra le altre - sembra interessante provare a rintracciare gli antecedenti di questo fenomeno riscoprendo il lavoro di Elizabeth David intitolato Italian food, a oggi non ancora tradotto in italiano.
La cucina italiana è indubbiamente al centro di un interesse mediatico mondiale. Dagli ambiti prettamente specialistici la “riscoperta” delle tipicità si è estesa a coinvolgere un pubblico di viaggiatori sempre più vasto che si avventura nel nostro Paese per compiere una versione social e contemporanea del Grand Tour settecentesco alla scoperta di arte, paesaggi pittoreschi, città storiche, borghi e, naturalmente, cibo. Tutti cercano la “autentica gastronomia italiana” di cui vogliono fare esperienza soprattutto al di fuori degli itinerari più conosciuti. Questo panorama di esaltazione della vita lenta e dell’Italia segreta è quello più adatto per recuperare l’opera della David.
La copertina della prima edizione di Italian food. L'illustrazione si deve al grande pittore Renato Guttuso
Questa visione viene corroborata anche dalla poca curiosità dei turisti che, abituati a un modello gastronomico centralizzato, pensano di poter trovare nelle grandi città italiani tutto il meglio della cucina del Paese, senza tenere conto di stagionalità e regionalità dei prodotti. Arrivano a Napoli e ordinano una deludente cotoletta alla milanese. Una volta a Milano, scottati dal triste ricordo del piatto, non si azzardano a scegliere il piatto tipico meneghino e ripiegano invece sugli spaghetti al pomodoro. Per timore di sperimentare evitano ristoranti e trattorie, cenano solo negli hotel, consumando pasti medi, da cui non manca mai il formaggio Bel Paese, le patate e le minestre, e, in una Penisola piena di frutta fresca stagionale, banane importate per dessert. A Bologna non provano tagliatelle alla bolognese perché le considerano equivalenti a quelle che sono abituati a mangiare in Inghilterra; a Parma non si spingono oltre il prosciutto. Finiscono così per privarsi di tutte le autentiche esperienze gastronomiche per tornare in Inghilterra con l’impressione, condivisa dalle memorie dei loro connazionali, che oltre agli spaghetti al pomodoro e alle scaloppine di vitello ci sia ben poco in Italia da gustare.
(I turisti) arrivavano a Napoli e ordinavano una deludente cotoletta alla milanese. Una volta a Milano, scottati dal triste ricordo del piatto, ripiegavano sugli spaghetti al pomodoro. Per timore di sperimentare cenavano negli hotel, consumando pasti cui non mancava mai il formaggio Bel Paese, le patate e le minestre e, in una Penisola piena di frutta fresca stagionale, banane importate per dessert
Si perdono così quelle che David segnala come autentiche prelibatezze locali che non sempre coincidono con i piatti che identifichiamo oggi come rappresentativi di una regione o di un territorio. Ad esempio a Bologna l’autrice raccomanda di assaggiare i Filetti di tacchino alla bolognese ("Turkey breasts with ham, cheese, and white truffles"), petti di pollo o tacchino infarinati e rosolati nel burro, su cui vengono adagiati una fetta di prosciutto, tartufo bianco e parmigiano.
Naturalmente non può mancare la tanto dibattuta carbonara, che David propone in una versione poco ortodossa rispetto agli attuali standard puristi. La sua carbonara, un’alternativa gradevole alla semplice pasta al pomodoro, prevede infatti prosciutto, bacon o coppa, burro, uova e parmigiano. Da accompagnarsi a ogni formato di pasta lunga e corta.
La Carbonara di Roscioli presentata e fotografata qualche anno fa a Identità Golose Milano (no, non prevedeva prosciutto o coppa...)
Il viaggio in Italia della David è posto dichiaratamente sotto il segno di una ricerca. Quella del cibo regionale e delle ricette tradizionali. L’autrice compie un suo personale grand tour culinario spinta dalla curiosità e dal desiderio di comporre una mappa della cucina italiana senza voler arrivare a una sua codificazione ma, anzi, riconoscendo le specificità di ogni territorio. Il titolo stesso del libro traduce questo obiettivo: quello che David si propone di restituire è un quadro il più possibile completo del cibo italiano, proprio a partire dai suoi ingredienti base da cui traccia le diverse – pressoché infinite – combinazioni e declinazioni regionali. Nelle sue avventure gastronomiche italiane il centro è il food non il cooking.
Il viaggio in Italia della David è posto sotto il segno di una ricerca. Quella del cibo regionale e delle ricette tradizionali. L’autrice compie un suo personale grand tour culinario spinta dal desiderio di comporre una mappa della cucina italiana senza voler arrivare a una sua codificazione ma, anzi, riconoscendo le specificità di ogni territorio
Difficile classificare il libro. Non è solo un ricettario, per quanto sia costellato di ricette; non è un saggio di storia dell’alimentazione, anche se presenta un’introduzione dedicata alle origini e alle contaminazioni della cucina italiana; non è neanche una guida per turisti stranieri in Italia, non ci sono infatti itinerari consigliati o ristoranti raccomandati. Ma contiene informazioni, avvisi, suggerimenti e persino un glossario dei termini più utili per districarsi in una galassia fittissima di pasta e risotti. È piuttosto un’opera ibridata che raccoglie tutti questi aspetti mescolati con la modernità e la schiettezza di un diario o di un memoir.
Come già detto, il viaggio della David è funzionale anche a decostruire alcuni stereotipi che circolavano in Gran Bretagna. L’autrice riconosce, invece, la differenza tra un tipo di gastronomia centralizzata – a Londra o a Parigi si può infatti mangiare il meglio della gastronomia inglese e francese – e una cucina come quella italiana localizzata, legata a specifiche condizioni materiali di produzione che fanno sì che ogni territorio dispieghi un suo repertorio di vini, formaggi, frutta e verdura. Riportando i luoghi comuni circolanti intorno all’Italia, alla sua rappresentazione visiva – “il Paese dove andare in vacanza”, dove rilassarsi sotto un eterno sole, sorseggiare vino su terrazze decorate da piante rampicanti – David ci consegna degli spunti di riflessione oggi più che mai validi intorno alla percezione turistica dell’Italia.
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Insiste sulla stagionalità, sulla natura epifanica del mangiare in Italia, legata al luogo e al tempo: ci sono piatti che è possibile gustare solo in certi momenti dell’anno o anche solo in specifiche ricorrenze (riporta numerosi esempi di feste e sagre). In Italia David inscrive il consumo del cibo all’interno di un paesaggio che non può essere separato dall’esperienza del gusto: il pesce migliore si mangia sulla costa, la carne più tenera in Toscana. Il momento del pasto si inserisce così in una cornice di cui fanno parte le storie dei produttori, i racconti di chi cucina, i mercati dove si acquistano i cibi freschi, brillanti nella loro ricchezza cromatica. Quella italiana, sembra dire David, è tutta una cucina di mercato.
David con il suo accurato lavoro di ricerca riesce così a sovvertire gli stereotipi sentimentalistici intorno alla cucina italiana, ricostruendo il quadro stratificato e complesso di una gastronomia che si esprime anche nella varietà dei suoi luoghi, nei racconti orali delle persone, nella sua ricchezza lessicale.
Di seguito una ricetta tratta da Italian food
PASTICCIO DI MACCHERONI ALL'ANZIANA (Anzio Macaroni Pie) Ricoprire una teglia con pasta frolla. Riempirla di spaghetti cotti piuttosto al dente e ricoprire con uno strato di carne macinata di manzo o vitello mescolata con un po’ di scorza d’arancia grattuggiata. Bagnare con pochissimo brodo, condire con abbondante sale, pepe e cannella. Ricoprire con l'impasto e cuocere in forno a bassa-media temperatura. Servire molto caldo.
Recensioni, segnalazioni e tendenze dal Buonpaese, firmate da tutti gli autori legati a Identità Golose
di
storica dell’arte, si è laureata in Storia della fotografia all’università Sapienza di Roma. Attualmente è dottoranda in Visual media studies presso Iulm. Si occupa di storia della cucina italiana e cultura di massa del Secondo Dopoguerra. Colleziona ricettari, beve vini naturali, ha sempre almeno tre libri in borsa
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