09-03-2023

Il "codice Bottura". E perché quella di Massimo, alla fine, non è che una danza

La sua, all'Osteria Francescana, è una cucina del tutto, perché abbraccia e resta aperta a tutte le possibilità della vita, al bello e al brutto che ne fanno necessariamente parte, cogliendone l’essenza. In una danza continua, appunto

Massimo Bottura

Massimo Bottura

«Non chiamate arte la mia cucina, perché non sono un artista e i miei piatti non sono opere d’arte». Massimo Bottura provoca, vorrebbe smentire le nostre stesse emozioni perché - sebbene «la cucina non può trascendere l’imperativo della bontà» e «il fine del cuoco sarà sempre quello di servire del buon cibo» - chi più di lui sa suscitare la meraviglia? Chiamatele sensazioni, a metà tra sgomento e piacere, o esperienze del gusto, esse nascono tuttavia da un grandezza misteriosa, quella segreta alchimia che appartiene a ogni opera d’arte e, a noi, richiama l’estetica del sublime del Romanticismo. E poiché mangiare “in Francescana” significa sì degustare del buon cibo, ma in un crescendo di consapevolezza nostalgica della distanza invalicabile che separa soggetto e oggetto, non ci limiteremo a definire Massimo un cuoco. Di più, permetteteci di chiamare questa cucina “trascendente poesia”, perché - come solo un poeta è in grado di fare - Bottura percepisce la bellezza dove nessun altro la vede e la sa poi esaltare e riproporre per mezzo del linguaggio più semplice e immediato ch’esista: quello della cucina.

Così, dalla poetica di un cuoco, nasce a Modena il “codice Bottura” che è opera massima celebrativa della gastronomia italiana. E si potrebbe immaginare un ponte tra L'Infinito e i piatti iconici di Bottura, tra quella siepe e il paradigma che vede la cucina come una scienza esatta che non conosce il “naufragar m’è dolce”. La poesia di Leopardi è una lirica rivoluzionaria, un inno alla forza dell’immaginazione che è in grado di superare il limite dell’essere umano; quelli di Bottura - e qui è emblematico Oops! Mi è caduta la crostata al limone - sono piatti di rottura, contro la società standardizzata della cucina moderna che si affida anima e mente alla tecnica. Infatti, Massimo sprigiona un’energia creativa nuova, che sfida la storia e la percezione glorificando una poetica della trasformazione costruita su astrazioni e geometrie concettuali. Ciò è possibile perché “in Francescana” la ragione - in questo caso quella tecnica - non è presupposta a tutto, ma si affianca ad altre qualità, immaginazione e progetto, tra le tante. Le cinque stagionature di Parmigiano Reggiano in diverse consistenze e temperature raccontano una vicenda che è andata di pari passo con l’evoluzione della cucina contemporanea, e dove il protagonista è lo scorrere del tempo. Un’intuizione che a quasi tre decenni di distanza dalla sua invenzione (1994) conserva intatto il suo fascino.

Le cinque stagionature di Parmigiano Reggiano in diverse consistenze e temperature

Le cinque stagionature di Parmigiano Reggiano in diverse consistenze e temperature

I piatti di Bottura si portano dentro qualcosa di unico, una sorta di infinito intrinseco, e forse è questo che li rende così speciali: perché che sia oltre la siepe, oltreuomo - riferendoci adesso a Nietzsche - o oltre la materia prima (il Parmigiano), si può definire artista colui che vive oltre, che sa vedere la bellezza, in un eccesso di fantasia che - citando il Manzoni - vuol dire “avere un cervello un po’ balzano, che ne’ discorsi e ne’ fatti abbia più dell’arguto e del singolare che del ragionevole”. E Massimo Bottura è proprio così: opera in uno spazio aperto e multidimensionale, senza schemi e coordinate, dove le idee prendono forma ispirate dalla natura, e l’invisibile appare. Il suo è un pensiero critico che rompe i confini, ma non per distruggere la tradizione e il passato bensì per ridisegnarli per amore. Trasformare e ricostruire per ritrovare l’autenticità di un’identità che è andata perdendosi nel tempo, ma sempre in continuità con la storia. Quindi non temete, perché la poesia culinaria di Massimo è sì uno shock, ma senza traumi; mette in questione la cucina, ma solo per non subirla, per servirla senza divenirne schiavo. In famiglia Francescana sanno bene che, per non perdersi nella quotidianità, bisogna lasciare sempre una finestra aperta alla poesia, definita dallo stesso Massimo «quella forza che esalta l’esistenza».

Beautiful Psychedelic Spin-painted Veal Not Flame Grilled

Beautiful Psychedelic Spin-painted Veal Not Flame Grilled

Oops! Mi è caduta la crostata al limone

Oops! Mi è caduta la crostata al limone

Tortellini in crema di Parmigiano

Tortellini in crema di Parmigiano

Concludendo: come definire la cucina di Massimo Bottura se non è concesso di chiamarla arte, e se già altri l’hanno detta poesia? Una cucina del tutto, perché abbraccia e resta aperta a tutte le possibilità della vita, al bello e al brutto che ne fanno necessariamente parte, cogliendone l’essenza, in una danza continua che, pur non conoscendo confini, riconosce e appaga raggiungendo tutti. “Crederei solo a un dio che sapesse danzare” - così parlò Zarathustra e noi crediamo solo a una cucina che sappia danzare: perché quella di Massimo, alla fine, non è che una danza… una forma di pensiero che tende all’oltre, che supera se stessa e permette di riflettere sul rapporto che si istaura tra fantasia e materia prima. È la forza della danza che gli consente di andare oltre l’ordinario, dove la cucina diventa tensione etica, una vera e propria riflessione sull’essere umano. E così si fanno spazio nel momento della scoperta e dei gusti della cucina un’intimità e quei pensieri profondamente nostri, personali e segreti, di cui qui abbiamo infine certezza. Ma, sedendo e mirando, ecco che, in questo mare, il naufragar diventa dolce…


Dall'Italia

Recensioni, segnalazioni e tendenze dal Buonpaese, firmate da tutti gli autori legati a Identità Golose

a cura di

Anna Gentili

Milanese, nata il 24 marzo 2002, è studentessa presso l'Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, appassionata di gastronomia e ristoranti

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