Oggi tutto vive nei social network, esperienza di comunicazione globale alla portata di ogni tasca. Ognuno di noi è interconnesso in uno scambio perpetuo di parole e immagini. L’emozione di provare stupore è stata affidata al flusso mobile della rete. Resistono pochissime manifestazioni del reale, dove esiste ancora la possibilità di incontrarsi oltre la casa e il lavoro: il ristorante.
Il ristorante è quel posto dove vai per sentirti bene quando non sei né a casa né al lavoro. Sembra banale ma non lo è.
Esistono vari tipi di ristoranti. Ci sono luoghi che offrono cibo per nutrirsi, semplicemente per mangiare; oppure posti in cui il cibo è il mezzo, quasi il pretesto, per dire altre cose, per offrire esperienze vicine all’arte, oltre la nutrizione.
In questo caso i ristoranti sono moderne gallerie d’arte, spazi da emozioni sinestetiche.

La lampada Moon (2005) di Davide Groppi a Identità Golose Milano
Ma in tutti i casi il ristorante è un luogo in cui viene rappresentato un rito. Per questo motivo ho sempre immaginato il ristorante come un teatro dove vengono raccontate delle storie più o meno sofisticate.
Negli ultimi mesi è purtroppo cambiato tutto. Il maledetto virus ha chiuso i ristoranti e le prossime riaperture saranno drammaticamente viziate dalle regole anti-contagio. Certamente gli imprenditori del settore dovranno occuparsi dei propri conti economici e non sarà facile, considerando l’inevitabile riduzione dei posti.
Ma questo disastro può essere, in qualche modo, l’occasione per rivedere il concetto di cucina? Cosa possiamo cambiare affinché l’ospitalità sia rinnovata e attraente?
La luce, ma non solo, è certamente uno strumento scenico fondamentale.

L'illuminazione de Le Calandre di Massimiliano e Raffaele Alajmo, firmata da Davide Groppi con le lampade Ovo (2010), Ovonelpiatto (2010) e Punto (2004)
Dico spesso che fare luce non è una scienza esatta, ma indubbiamente esistono delle espressioni sceniche che riconosciamo come vere e quindi belle. E la bellezza è sicuramente un modo per creare valore, identità, originalità. Essere apprezzati, anche nella ristorazione, è importante, oltre il cibo.
Propongo una visione fotografica della luce. Fotografia significa scrittura di luce. Non a caso nel cinema la luce è la fotografia.
Allora, nei ristoranti, scriviamo dei bellissimi racconti di luce. Non utilizziamo la luce in modo occasionale o banale. La luce, diretta, indiretta e diffusa, va utilizzata con consapevolezza, in funzione del teatro che si vuole rappresentare. La luce può e deve essere un ingrediente della cucina. Usare male la luce è come sbagliare il sale.

La celebre Tetatet (
Mettendo, come piace dire a me, la luce nel piatto, lo spazio rimane misteriosamente in penombra e ogni ospite può sentirsi l’unico ospite del ristorante. Proviamo a immaginare una ristorazione in cui si inizia a cucinare dalla sala e non dalla cucina. Oggi esistono moltissime soluzioni, moltissimi ingredienti da utilizzare. Luce sui tavoli, luci a batteria, luce per cogliere la capienza dello spazio, luce sui percorsi o sulle soglie.
L’importante è che questi paradigmi e ingredienti siano trattati e dosati con sensibilità e intelligenza. Non sono necessari budget infiniti. Lo dico spesso ai miei clienti, anche contro al mio interesse. Lo dico da appassionato gourmet. Basta scegliere e decidere.
Mi è capitato di fare una bellissima luce semplicemente scegliendo e cambiando le lampadine.
Fatelo, facciamolo.