Mentre iniziavo a scrivere questo articolo, mi sono resa conto che tra due giorni sarà il mio trentacinquesimo compleanno. Il pensiero successivo è andato al fatto che sono esattamente ventun'anni che faccio questo lavoro! Ripercorrendo le tappe di questo percorso, credo di poter dire di aver scelto di fare la scuola alberghiera perché questa decisione mi dava una sensazione di libertà.
Ero convinta, in questo modo, di poter stare in mezzo alla gente e di poter costruire da subito qualcosa senza “perdere tempo” a studiare materie che non mi piacevano né mi interessavano. Quel che mi piace e interessa, invece, è parlare, vedere e potermi confrontare sempre con gente nuova. Quale miglior luogo per fare tutto questo, se non un ristorante?
Il mio desiderio di stare in sala mi distingueva dalla maggioranza degli studenti della scuola, infatti quando ho fatto l'alberghiera la percentuale di persone che sceglieva la cucina era già abbastanza alta, mentre erano decisamente pochi quelli che avevano la mia stessa idea. Inoltre, quando feci il mio primo incontro preliminare all’iscrizione, mi dissero che su dieci studenti che sceglievano di fare sala, nove abbandonavano dopo poco tempo.
Questo mi affascinava allora e mi affascina ancora oggi: mi motiva l'idea di riuscire a fare cose che non tutti vogliono o possono fare. Mi piaceva e mi piace sensazione di poter essere qualcuno, di essere diversa dagli altri, e non un semplice numero.

Anna Sala insieme ad Andrea Provenzani, cuoco del Liberty. Prima di andarci a lavorare, Anna ne è stata un'affezionata cliente
Poi il lavoro vero e proprio l'ho iniziato in una trattoria a pochi passi da casa, dove si facevano un sacco di coperti, ma con pochissima qualità. Questo non mi piaceva molto, non mi dava soddisfazione: ecco perché ho cercato di andarmene il prima possibile dalla Brianza. E credetemi, non è uno stereotipo. In Brianza c’è l’usanza di mangiare tanto e male ancora oggi...
Fatte le mie prime esperienze, una serie di coincidenze mi hanno portata in un locale di Mezzago, che purtroppo ora non c’è più, e che si chiamava
La Locanda degli Archinti. Era un ristorante con solamente trenta coperti, in cui poteva esistere solo una parola: qualità. Finalmente avevo trovato ciò che cercavo. Purtroppo a causa dei litigi che ci furono tra i due proprietari, marito e moglie, quel locale poi chiuse.
A quel tempo avevo l'abitudine di andare ogni lunedì, giorno di chiusura della
Locanda, a bere un aperitivo da
Peck: così mi venne l'ispirazione e provai a chiedere se per caso stessero cercando un sommelier. Ricordo ancora con un sorriso il mio colloquio con
Mario Stoppani. Quando arrivai nel suo ufficio mi guardò negli occhi e senza nemmeno prendere in mano il mio curriculum mi chiese: «Lei ha voglia di lavorare?». Io ovviamente risposi di sì e lui semplicemente mi disse: «Bene, per me è assunta da domani!».

Uno dei piatti del menu del Liberty
Così sono iniziati otto lunghi anni di vita professionale e personale, otto anni che mi hanno permesso di imparare tutto quello che ora so sul vino e anche molto di più. E' difficile descrivere in altro modo la mia esperienza da
Peck, perché non è un luogo di lavoro qualunque, è
Peck, e basta.
Dopo questo bellissimo periodo mi sono trasferita per un anno a Londra, in seguito sono stata nove mesi alle Bermuda, poi sono rientrata a Milano, dove ho fatto qualche esperienza meno felice in alcune multinazionali, e finalmente sono arrivata al
Liberty. Con
Andrea Provenzani ci conosciamo da dodici anni, anni in cui sono stata un'assidua frequentatrice di questo locale che adesso sento mio.
Qui c’è tutto quello che ho sempre desiderato: la qualità della cucina, l'armonia tra le persone, uno chef straordinario e un ambiente lavorativo che non cambierei per nulla al mondo. Oggi posso dire che avevo ragione, che a suo tempo ho fatto la scelta giusta. Mi piace stare in sala perché così ogni giorno vedo gente diversa e mi trovo davanti una nuova sfida.
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