02-11-2024

Tra storia e sperimentazione: le armi vincenti dei vini altoatesini

Ultima parte del viaggio sugli “Icon Wines”. In Alto Adige filosofie e visioni diverse coesistono e si bilanciano, nel confronto e nel rispetto reciproco (parte 3 di 3)

Vini iconici legati alla storia o al territorio? Che hanno le radici ben fissate nella profondità dell’Alto Adige o che guardano al futuro, anche con sperimentazioni? A queste domande, a dire il vero, non c’è una riposta univoca.

Partiamo dalla storia. Una importante realtà altoatesina è il Santa Maddalena, o meglio del St. Magdalener. «Mio papà ha sempre creduto nella Schiava e nel St. Magdalener – afferma entusiasta Veronika Pfeifer di Pfannenstielhof – La nostra è una cantina familiare: abbiamo 4 ettari, 2 di Schiava e 2 di Lagrein, e produciamo solo vini rossi. Facciamo tre tipi di Santa Maddalena».

Veronika Pfeifer con il padre Johannes

Veronika Pfeifer con il padre Johannes

Ma il Der Pfannenstiel è il progetto più “iconico” dell’azienda. «Mio padre voleva uscire con un vino dopo 5 anni, ma senza alcun contatto con il legno. Questo per avere la varietà in purezza, solo con il 5% di Lagrein, senza che venisse minimamente alterata da fattori esterni». Un rischio? No, ma la consapevolezza di poter fare un prodotto d’eccellenza. Il Der Pfannenstiel riposa per 4 anni e mezzo in acciaio e poi per altri sei mesi in bottiglia.

L’annata attuale, la 2019, è un’esplosione di profumi, una Schiava ampia e ricca, che poi mantiene la sua grande bevibilità. E anche nelle annate precedenti mantiene sempre una bella freschezza, segno che questo St. Magdalener ha la forza di invecchiare bene.

Vigna Klosteranger Lagrein Riserva

Vigna Klosteranger Lagrein Riserva

La storia, dicevamo. Che si può respirare direttamente in città, a Bolzano. Basta bussare al Convento di Muri-Gries, un’abbazia tuttora attiva, che prosegue anche nell’attività di tenuta e cantina produttrice di vino. E il cuore è proprio a fianco dello storico edificio sacro: «La vigna Klosteranger – spiega il direttore ed enologo Manfred Bernard – si trova proprio in città, collegata all’abbazia. Addirittura il vigneto era stato impiantato nel diciottesimo secolo. Si tratta di un’area di 2,4 ettari, che nel 2004 abbiamo trasformato da pergola e guyot con densità alta. Il vitigno è il Lagrein: le rese sono basse, di 60 quintali ettaro. Dopo la fermentazione con un lungo contatto con le bucce, il vino riposa per due anni in barriques nuove».

E il Vigna Klosteranger Lagrein Riserva 2016 è l’espressione di un vino con un bouquet ricco, dalla frutta rossa e nera alla speziatura, con un sorso profondo, lungo e sapido. Il 2018 è un po’ più concentrato, con frutta rossa matura, e un finale dove il tannino è ancora un po’ di smussarsi. Il 2018 esce una nota più erbacea, sempre con una frutta precisa, e un sorso ancora molto giovane e graffiante.

Markus Prackwieser con i suoi vini

Markus Prackwieser con i suoi vini

Markus Prackwieser è stato uno che invece ha saputo trasformarsi, con caparbietà: «All’inizio quello di Gump Hof era un maso misto con frutteto, che fino al 1999 conferiva le uve. Poi nel 2000 ho deciso di convertire tutti i terreni a produzione vitivinicola e a vinificare da solo». Se per il Pinot Bianco c’era già esperienza, Markus ha voluto sperimentare altre varietà: così furono piantate diverse varietà (nei diversi cloni), per poi arrivare a una scelta che, per quella zona dell’Alto Adige, sembrava sorprendente: il Sauvignon Blanc. «Dopo le numerose prove di vinificazione, abbiamo visto che il Sauvignon veniva particolarmente bene».

Da qui Markus Prackwieser ha potuto applicare la sua filosofia di produzione. «Sono convinto che più un vino rimane sulle fecce, più diventa buono. E l’ho applicato ai miei vini. Lavoro più in ossidazione che in riduzione, perché così ho una maggiore complessità».

I vigneti di Gump Hof

I vigneti di Gump Hof

Il Pinot Bianco Renaissance nasce da una vigna piantata nel 1982, completamente a pergola, a 450 metri di altitudine: fermentazione in tonneaux, dove resta per un anno sulle fecce grossolane, poi un anno in acciaio sulle fecce fini, e infine in bottiglia. Prima annata la 2012, che abbiamo assaggiato: un vino da una freschezza sorprendente, fruttato, erbaceo e floreale. Al sorso è teso, lungo, verticale e sapido. Il 2014 – annata difficile – è più balsamico, con note leggermente ossidative. Il 2016 è ricco e complesso, un po’ più pieno al sorso. Il 2019 ha una grande tensione, con uno sguardo rivolto al futuro.

Il Sauvignon Blanc Renaissance, prima annata nel 2013, segue lo stesso procedimento. Delle varie annate assaggiate, la 2014 è la più sorprendente per eleganza e freschezza, nonostante un’annata difficile e che non offriva ottime prospettive.

Il Pinot Bianco Sirmian

Il Pinot Bianco Sirmian

Un altro vino iconico per storia e per essere un punto di riferimento vitivinicolo in Alto Adige è il Pinot Bianco Sirmian di Nals Margreid: sull’etichetta dell’annata 2021 compare la scritta che celebra il 50esimo anniversario. «La prima annata è stata infatti nel 1971 – spiega l’enologo Harald Schraffl – Il nostro obiettivo è sempre stato quello di rispettare la varietà. Abbiamo 12 ettari di vigneto, in monopolio, sopra Nalles, tra i 500 e i 700 metri di altitudine. Dopo la fermentazione, affinamento in botte grande per 8 mesi e poi 6 mesi di bottiglia».

L’annata 2018 è elegante, fine, floreale, fruttata ma anche con note balsamiche, segno di un’evoluzione ancora in corso. Al sorso la sapidità rende questo vino di ottima propensione all’abbinamento a tutto pasto. Il Sirmian 2021 è ancora scalpitante: bisogna dargli tempo.

L'enologo di Nals Margreid Harald Schraffl

L'enologo di Nals Margreid Harald Schraffl

Inoltre, di Nals Margreid, abbiamo assaggiato anche lo Chardonnay Nama, un vino da vigne vecchie, con rese molto basse: «Voglio che sia uno Chardonnay italiano di alta gamma, riconoscibile nel mondo», ha sottolineato Harald Schraffl, sottolineando che il vino, dopo una fermentazione spontanea, affina per un anno e mezzo in barriques nuove e altri 18 mesi in acciaio, prima di arrivare in bottiglia.

Il Nama 2018 è un vino molto maturo, preciso e ampio. Il 2020 ha un’ottima struttura, sorretto da importanti acidità e sapidità.

Il viaggio tra gli Icon Wines finisce qui. Ed è necessario, dopo le tante parole scritte, cercare di arrivare a una conclusione. Tornando al principio, non è possibile arrivare a una definizione precisa e univoca di Icon Wines. Chiedendolo agli stessi produttori, non tutte le opinioni erano concordi. Serve una storia alle spalle? Il vino deve essere raro? Deve avere un prezzo alto? Deve essere un riferimento per la zona?

Piuttosto che pensare a una definizione corretta di Icon Wines, è meglio riflettere sui vini assaggiati: sono probabilmente tra le migliori espressioni di quello che può offrire l’Alto Adige vitivinicolo, a dimostrazione che tutta l’area sta attraversando un periodo dove i produttori ogni giorno non fanno di certo la gara sul prezzo, ma puntano a fare le migliori bottiglie possibili. Anche confrontandosi con i colleghi, riconoscendo anche le singole caratteristiche dei territori. A dimostrazione di questo aspetto, è arrivata – come da noi anticipato in questo articolo – la zonazione delle aree vitivinicole, dopo un iter di 7 anni, volute proprio per individuare il meglio dell’Alto Adige.

(3 / fine)

La prima parte: “Icon Wines” in Alto Adige, gemme preziose che esaltano una Regione
La seconda parte: L’Alto Adige e la rivoluzione dei vini bianchi. Anche da invecchiamento


In cantina

Storie di uomini, donne e bottiglie che fanno grande la galassia del vino, in Italia e nel mondo

Raffaele Foglia

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Raffaele Foglia

giornalista de La Provincia di Como, sommelier e appassionato di birra artigianale. Crede che ogni bicchiere di vino possa contenere una storia da raccontare. Fa parte della redazione vino di Identità Golose

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