16-09-2024

Emidio Pepe compie 60 vendemmie. Passato, presente e futuro di un grande vignaiolo e della sua azienda

Negli anni '60, un contadino abruzzese senza studi in enologia decise di produrre un grande vino rosso. Quest’anno festeggia il successo di quell’idea con la prima pietra della nuova cantina di affinamento: il tempo è un protagonista di questa storia

Un passato mitico, un presente e un futuro brillan

Un passato mitico, un presente e un futuro brillanti. Emidio Pepe, classe 1932, con la nipote Chiara, classe 1993, in una foto di qualche anno fa

Che il Montepulciano d’Abruzzo potesse e dovesse invecchiare per mostrare tutto il suo carattere e tutta la sua eleganza, è una delle cose che Emidio Pepe aveva capito prima di tutti e in controcorrente rispetto al pensiero diffuso dell’epoca. I suoi colleghi erano convinti che le bottiglie che lui metteva da parte a ogni annata gli sarebbero andate tutte a male; perfino la Regione Abruzzo promuoveva questo vitigno come “da bere giovane, non adatto all’invecchiamento”.

Erano gli anni Sessanta, per la precisione il 1964, quando questo giovane viticoltore abruzzese, con la quinta elementare e senza studi di enologia o viticultura, si mise in testa di imbottigliare il succo fermentato delle uve delle sue colline, un terroir allora completamente sconosciuto, con la convinzione di poterne fare dei vini di classe mondiale. Vini eccezionali e sopra ogni cosa vini genuini: pura spremuta di succo d’uva fermentata, senza l’utilizzo di sostanze chimiche né in campagna né in cantina.

Alcune annate storiche di Montepulciano d'Abruzzo custodite nella cantina di affinamento. La più vecchia è proprio la 1964

Alcune annate storiche di Montepulciano d'Abruzzo custodite nella cantina di affinamento. La più vecchia è proprio la 1964

Il (prolungato) passaggio nella cantina di affinamento è un elemento fondamentale nel definire il carattere e l'eleganza di questi vini. Le annate più antiche qui custodite: 1964 per il Montepulciano, 1995 per il Trebbiano

Il (prolungato) passaggio nella cantina di affinamento è un elemento fondamentale nel definire il carattere e l'eleganza di questi vini. Le annate più antiche qui custodite: 1964 per il Montepulciano, 1995 per il Trebbiano

Di vino ne è passato sotto i ponti e il tempo ha dato ragione a Pepe, oggi ultranovantenne e ancora in ottima forma. Le sue bottiglie sono battute nelle più prestigiose aste internazionali e compaiono nelle wine list dei migliori ristoranti del globo. Nel frattempo, la guida della cantina è passata dalle mani della figlia Sofia Pepe, prima, e della nipote Chiara De Iulis Pepe - a capo della squadra di cantina e di vigneto dal 2020 - che hanno saputo mantenere intatti identità e stile, apportando migliorie e affinando l’idea iniziale. Quest’anno la famiglia Pepe celebra una storia fuori dal comune e il successo dell’idea di Emidio, della sua tenacia, del carattere suo e dei suoi vini. Lo fa con eventi e degustazioni in giro per il mondo e ponendo proprio il giorno del suo compleanno, lo scorso 27 luglio, la prima pietra della nuova cantina di affinamento: l’intenzione è di duplicare lo spazio disponibile per lo stoccaggio e invecchiamento di queste preziose bottiglie, precorritrici di stili e di mode.

Chiara De Iulis Pepe e una pergola di Trebbiano. Crescere all’ombra del tendono abruzzese, a quanto pare, conferisce una personalità fuori dal comune

Chiara De Iulis Pepe e una pergola di Trebbiano. Crescere all’ombra del tendono abruzzese, a quanto pare, conferisce una personalità fuori dal comune

La famiglia Pepe lo scorso 27 luglio, in occasione del 92° compleanno di Emidio e della messa in posa della prima pietra della nuova cantina di affinamento. Al centro Emidio, con la moglie Rosa, al suo fianco da sempre, e le figlie. Di fianco a Chiara, sua sorella Elisa, che si occupa dell’ospitalità

La famiglia Pepe lo scorso 27 luglio, in occasione del 92° compleanno di Emidio e della messa in posa della prima pietra della nuova cantina di affinamento. Al centro Emidio, con la moglie Rosa, al suo fianco da sempre, e le figlie. Di fianco a Chiara, sua sorella Elisa, che si occupa dell’ospitalità

Si riparte da Torano Nuovo, nella parte settentrionale dell’Abruzzo, quasi al confine con le Marche, con gli occhi pieni delle colline teramane, dei campi di girasoli, dei filari di ulivi, di grano e di vigneti e con i sensi appagati dagli assaggi di questi vini straordinari, lega di queste colline e della gente che le interpreta. Si riparte più belli, ritemprati dalla perfetta ospitalità della famiglia Pepe che, in questo anfiteatro naturale tra la costa dell’Adriatico e il massiccio del Gran Sasso, ha costruito la propria casa e la cantina - sono flebili i confini tra le mura dell'una e dell’altra - che si fondono con il paesaggio e i vigneti circostanti. All’ombra delle pergole che ricoprono queste colline - il famoso tendone abruzzese - la famiglia intesse, da tre generazioni, trame liquide straordinarie.

Si riprende il cammino anche con molte domande che galleggiano in testa. Interrogativi che, come in tutte le leggende - e questa è una storia leggendaria del mondo del vino italiano - non trovano, in effetti, una risposta definitiva.

Chiara col nonno Emidio tra i vigneti dell’azienda, in una foto di qualche anno fa (cortesia Emidio Pepe)

Chiara col nonno Emidio tra i vigneti dell’azienda, in una foto di qualche anno fa (cortesia Emidio Pepe)

Da chi imparò, negli anni Sessanta a fare vino Emidio Pepe? Il padre, e ancora il primo il nonno, dal 1899, vinificavano in casa le uve di terzi, ma si trattava di vino per uso domestico. Come venne in mente a Emidio di sperimentarsi nella produzione di vini di alta qualità? Chi gli aveva messo in testa che un terroir allora sconosciuto aveva i numeri per dar vita a vini di classe mondiale? Nell’assaggio di quale vino aveva capito lo stile che voleva perseguire? Cosa sapeva di vino quale espressione di un luogo questo viticoltore alto, elegante, visionario, intelligente e testardo con solo la quinta elementare? Lui racconta di aver fatto un corso di degustazione e di essersi letto un manuale sulla vinificazione. Ma chi gli insegnò come condurre e trattare i suoi vigneti, e quali protocolli seguire in cantina per ottenere vini di questa qualità e di questo carattere? Chi lo aveva convinto della capacità (di più: della necessità) di affinamento del Montepulciano negli anni in cui la stessa Regione Abruzzo promuoveva questo vitigno come “non adatto all’invecchiamento”? Chi gli insegnò a usare il cemento («Il vino nel cemento ci sta bene, non si spoglia» ha sempre detto), a non filtrare né chiarificare, chi gli spiegò cos’è uno stile riduttivo? Come e perché scelse la pergola («Il velluto del Montepulciano si dà solo all’ombra della pergola»)?

Daniela Pepe e Sofia Pepe, figlie di Emidio. La prima si occupa dell’amministrazione, la seconda ha affiancato il padre in cantina e nel vigneto, raccogliendone il testimone e passandolo nel 2020 alla nipote Chiara. Tra i meriti di Sofia quello di aver introdotto la biodinamica in azienda, quasi 20 anni fa

Daniela Pepe e Sofia Pepe, figlie di Emidio. La prima si occupa dell’amministrazione, la seconda ha affiancato il padre in cantina e nel vigneto, raccogliendone il testimone e passandolo nel 2020 alla nipote Chiara. Tra i meriti di Sofia quello di aver introdotto la biodinamica in azienda, quasi 20 anni fa

La risposta a tutte queste domande è: nessuno. Lui oggi dice: «Ci ho creduto, me lo sentivo». A quanto sembra, imparò tutto da solo: ebbe come maestre l’intuizione e l’osservazione. Dice che fu la pratica a insegnargli la forma migliore di fare le cose, le decisioni da prendere per ottenere i migliori risultati. L’idea che perseguì fin dall’inizio: fare vini di altissima qualità che fossero soprattutto genuini senza utilizzare sostanze chimiche né nel vigneto né in cantina.

Oggi, trovandosi davanti la storia di questo viticoltore abruzzese e soprattutto il carattere dei suoi vini, la sensazione è simile a quella che si sente guardando le piramidi (ci sia concessa l’iperbole): come ci sono riusciti? Da dove è venuto fuori tutto questo?

Perché se oggi è facile - ed è fuori discussione - affermare che i vini della Emidio Pepe sono una delle meraviglie del mondo enologico, nel corso degli anni questo viticoltore abruzzese dovette scontrarsi con l’incomprensione di molte persone che non afferravano quello che stava facendo: perché non cresceva nel momento del boom industriale dell’Italia Centrale («Nessun grande vino è mai uscito da una cantina grande») o perché insisteva nel voler invecchiare un vino che aveva la fama di non poter sopportare bene il passo del tempo.

Chiara de Iulis Pepe, nipote di Emidio. Classe 1993. Studi di economia alla Sorbona di Parigi, prime esperienze in cantine della Borgogna, per apprendere la parte tecnica, mentre si formava studiando all’università di Digione. Una formazione - che continua tutt’oggi - integrata lavorando presso alcuni tra i migliori produttori del mondo e una vita spesa tra questi vigneti e queste mura. Nel 2020 ha preso in mano le redini della cantina e del vigneto e conduce l’azienda, assieme alle altre donne della sua famiglia, con intelligenza e sensibilità. Oltre a questo viaggia da anni per il mondo, prima insieme al nonno e poi in autonomia, per far conoscere i vini Emidio Pepe

Chiara de Iulis Pepe, nipote di Emidio. Classe 1993. Studi di economia alla Sorbona di Parigi, prime esperienze in cantine della Borgogna, per apprendere la parte tecnica, mentre si formava studiando all’università di Digione. Una formazione - che continua tutt’oggi - integrata lavorando presso alcuni tra i migliori produttori del mondo e una vita spesa tra questi vigneti e queste mura. Nel 2020 ha preso in mano le redini della cantina e del vigneto e conduce l’azienda, assieme alle altre donne della sua famiglia, con intelligenza e sensibilità. Oltre a questo viaggia da anni per il mondo, prima insieme al nonno e poi in autonomia, per far conoscere i vini Emidio Pepe

«Le persone facevano fatica a capire questi vini: andavano di moda dei vini bianco paglia, trasparenti… Invece i vini di nonno erano dei vini di corpo, non filtrati, spesso torbidi; i vini rossi erano ridotti: ha sempre fatto fatica», ci racconta Chiara che ricorda come Emidio sia dovuto perfino andare in tribunale, ad Amsterdam, perché dei clienti si rifiutavano di pagarlo adducendo che il vino fosse torbido: era il 1975 (Emidio vinse quella causa, ndr). «I primi passi del vino naturale… in tribunale! - sorride oggi Chiara - Nonno ha fatto tante guerre e non ha mai cambiato nulla: non è che tornato da Amsterdam, dopo il processo, e si è messo a filtrare». No: Emidio Pepe è sempre stato spinto in avanti da una sicurezza granitica, mai un dubbio o un ripensamento. Una convinzione totale in quello che stava facendo e nel come lo stava facendo.

La stessa figlia, Sofia, dice di essersi sorpresa, nel momento in cui iniziò a introdurre - e quindi a studiare - la biodinamica in azienda, ormai quasi venti anni fa, nel ritrovare pratiche e concetti che suo padre applicava da 40 anni, per puro istinto e intuizione verso la pianta. Quell’osservazione consapevole, che non ammette regole e schemi, che è la colonna portante della filosofia agraria che si applica tra questi vigneti e che oggi ritroviamo anche nella nipote di Emidio, Chiara, dal 2020 alla guida della squadra di cantina e del vigneto.

Degna erede di cotanto carattere, Chiara si è messa in piedi, ben dritta, sulle spalle del suo mitologico nonno e vede molto lontano. Come il nonno è capace di applicare la propria intelligenza e spirito di osservazione al paesaggio che la circonda: le colline che ha l’onere e l’onore di mettere in bottiglia. Obiettivo: trarne l’interpretazione più trasparente e vitale, rispettando le pratiche e lo stile originari - rimasti invariati - apportando, lì dove ce ne fosse bisogno, migliorie, anche grazie a uno sguardo già molto navigato (Chiara porta in dote i suoi studi alla Sorbona, all’Università di Digione e le esperienze fatte in alcune tra le migliori cantine del mondo).

Un vigneto di Trebbiano ad L, circondato da campi di grani antichi: «È un vigneto che mi piace molto, mi piace pensarlo come il modello per il futuro dell’azienda in cui ci sia poca vigna e tante altre coltivazioni», ci ha detto Chiara

Un vigneto di Trebbiano ad L, circondato da campi di grani antichi: «È un vigneto che mi piace molto, mi piace pensarlo come il modello per il futuro dell’azienda in cui ci sia poca vigna e tante altre coltivazioni», ci ha detto Chiara

Diverse le sfide e i nuovi progetti che coinvolgono questa giovane viticoltrice nel tempo e nel luogo che abita e che le tocca interpretare. Oltre al già citato ampliamento della cantina per l’affinamento dei vini: sviluppare la policoltura nei terreni aziendali affinché la vite sia solo uno dei coltivi che vi si producono; studiare e comprendere in maniera sempre più profonda l’ecosistema in cui vive e lavora e la morfologia del vigneto, mantenendo invariata l’identità dei vini, senza smettere di sperimentare e osservare «Quando nonno mi vide potare ad alberello quel piccolo vigneto sperimentale, iniziò a imprecare dalla terrazza» ricorda con un sorriso. Anche la protezione e la tutela dei suoli è fondamentale per ottenere vini sani e per potersi proiettare verso un futuro di cambiamenti climatici. Uno strumento fondamentale, di cui Chiara è molto soddisfatta, è la copertura costante dei suoli, tramite il sovescio, senza uno sfalcio totale. La copertura mantiene l’umidità dei suoli e li protegge dall’irradiazione solare diretta, ma anche dal dissesto idrogeologico grazie a un suolo maggiormente coeso: una difesa efficace sia in caso di calore estremo che di piogge intense (scelta che le è valsa l’epiteto “La ragazza coi capelli lunghi e le vigne disordinate” con cui si riferiscono a lei con simpatia i contadini della zona).

Cataste nella cantina di affinamento

Cataste nella cantina di affinamento

Le piogge: un’altra questione urgente su cui Chiara si sta concentrando. Ossia: ripensare il paesaggio e il concetto di viticoltura asciutta in un clima che è cambiato moltissimo da quando suo nonno iniziò a fare vino. «Dry farming, better wine è uno stereotipo - ci ha detto - non è realista pensare di poter produrre grandi vini senza acqua. La questione della sofferenza e della resilienza della vite non mi piace per nulla. Credo che grandi vini vengano fuori da piante forti, sane, che funzionano bene, piante dove la linfa scorra bene». E ancora: «Io ho 31 anni e, osservando il clima, mi dico che se voglio continuare a produrre vino qui – e io non voglio spostare i miei vigneti in nessun altro luogo – è necessario affrontare la questione dell’acqua. Qui, come pure in altre regioni ancora più siccitose, si continua a voler coltivare senza acqua».

Una orgogliosa Chiara davanti al ritratto del nonno nel ristorante italiano Fausto a New York

Una orgogliosa Chiara davanti al ritratto del nonno nel ristorante italiano Fausto a New York

Due dei vini assaggiati assieme a Chiara. Un Trebbiano memorabile, complesso, sapido, ampio e lunghissimo e un magnifico Montepulciano, balsamico e minerale, con tannini finissimi (il famoso velluto ricercato da Emidio). Stupisce la vitalità di questi vini, la spina dorsale, il carattere e l’eleganza; la marca che lasciano nella memoria. Quando i vini rimano con il loro fattore

Due dei vini assaggiati assieme a Chiara. Un Trebbiano memorabile, complesso, sapido, ampio e lunghissimo e un magnifico Montepulciano, balsamico e minerale, con tannini finissimi (il famoso velluto ricercato da Emidio). Stupisce la vitalità di questi vini, la spina dorsale, il carattere e l’eleganza; la marca che lasciano nella memoria. Quando i vini rimano con il loro fattore

«Ma l’agricoltura rigenerativa ha bisogno di umidità: non serve applicare preparati se i suoli sono bloccati. Per questo motivo bisogno ripensare la questione dell’irrigazione in Italia: se non piove più, bisogna far piovere in un’altra forma». Bisogna ridisegnare il paesaggio, ci dice Chiara. Ripensare il concetto di irrigazione lì dove la siccità colpisce duramente: «L’uomo da sempre ha posto la sua intelligenza a disposizione della Natura. Però se in un determinato momento smettessimo di cambiare opinione e di cambiare le nostre scelte per accettare e assumere come una regola fissa e inamovibile quello che altri, anni fa, sotto altre condizioni e circostanze, hanno pensato e deciso, si interromperebbe un ciclo evolutivo. Si genererebbe un gap tra la Natura, che progredisce ed evolve, e il Pensiero umano che rimarrebbe indietro, fossilizzato.»

Un ritratto di Emidio Pepe (cortesia Emidio Pepe)

Un ritratto di Emidio Pepe (cortesia Emidio Pepe)

Che bella l’intelligenza. E che bella la libertà. Femminili come il tocco di chi guida oggi Emidio Pepe. Andrebbero aggiunte, come il tempo e come le uve, tra gli ingredienti di questi vini eccezionali.


In cantina

Storie di uomini, donne e bottiglie che fanno grande la galassia del vino, in Italia e nel mondo

Giovanna Abrami

di

Giovanna Abrami

nata a Milano da madre altoatesina e padre croato cresciuto a Trieste. Ha scritto (tra gli altri per Diario e Agrisole) e tradotto (tra le altre cose: La scienza in cucina di Pellegrino Artusi) per tre anni dall’Argentina dove è tornata da poco, dopo aver vissuto tra Cile, Guatemala e Sicilia. Da Buenos Aires collabora con Identità Golose e 7Canibales

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