29-08-2024
Vista sullo splendido Castello di Meleto, società agricola e wine resort a Gaiole in Chianti, Siena
Le piante sono insegnanti discrete e irrinunciabili e al Castello di Meleto si prende spunto proprio da queste silenziose abitanti del territorio, che si è amato fin dal primo passo della rivoluzione gentile innescata nel 1968. Perché le piante cooperano, fanno squadra e non nascondono il proprio sapere.
Parte della nostra degustazione in abbinamento ai piatti dello chef Eugenio Boer, al ristorante Bu:r di Milano
Al ristorante Bu:r di Eugenio Boer - in comune, la ricerca che si trasforma in una carezza alle stagioni e ai loro tesori - è naturale incontrare un mondo come l’azienda di Gaiole in Chianti e tratteggiare le ultime novità, anche in occasione della presentazione del nuovo direttore Francesco Montalbano. Presidente è Stefano Ilari.
Una realtà complessa, sottolinea Montalbano, che si occupa di vino (il primo legame affiora nel 1256) e ospitalità con il castello del 1200 protagonista.
Il nuovo direttore di Castello di Meleto, Francesco Montalbano
Se si respira la tradizione, è l’innovazione la sua alleata principale. Quella che quasi 60 anni fa spinse ad attivare un crowdfunding e che induce ancora oggi a prendersi cura del territorio con incessanti sperimentazioni.
Due i capisaldi: l’ambiente e le persone, che ne fanno indissolubilmente parte. L’Operazione Vigneti fu, appunto, il primo crowdfunding italiano nel mondo del vino e scattò grazie all’editore Gianni Mazzocchi, per preservare un patrimonio unico: condusse alla nascita di Viticola Toscana, oggi Castello di Meleto Società Agricola, proprietaria del Castello e degli oltre 1.100 ettari di terreno. Un sogno, che ha appassionato tanti giovani e ancora vi riesce, considerando che l’età media di chi lavora qui si aggira sui 37 anni: lo sguardo al futuro, d'altronde, è testimoniato anche dal progetto dell’agrinido, aperto alle famiglie di Gaiole.
I vigneti rappresentano una piccola, ma decisiva parte, perché ben 900 ettari sono nel segno del bosco, quest’ultimo assoluta garanzia della biodiversità e della qualità dell’aria. Amano citare un dato qui: con la fotosintesi si consente l’assorbimento di più di 9.000 tonnellate di CO2, in pratica le emissioni prodotte da mezzo milione di viaggi in treno da Firenze a Roma; niente raccolta meccanica, con un impiego di ore di lavoro ben superiore, ma più proficuo; vetro dimezzato da sette anni per le bottiglie, per cui sono stati risparmiati più di 53mila kg, come dieci elefanti. E visto che stiamo parlando di animali, non ci si può che inchinare a una specie fondamentale per il pianeta, che al Castello di Meleto ha un parco tutto per sé, ovvero le api. Ecco che quattro anni fa, è stata lanciata l’iniziativa Nel Nome dell’Ape: chi è in sintonia con la filosofia dell’azienda può adottare un’arnia. Qui si produce miele biologico, esattamente come l’olio extravergine di oliva. Perchè anche questo è “ragionare” da piante.
Il Parco delle Api al Castello di Meleto, custodi della biodiversità
Il vino è il motore del progetto: 130 ettari, quattro aree differenziate per composizione di suoli, clima e altimetria, un’unica tensione alla ricerca per valorizzare e rispettare. Con l’agronomo Ruggero Mazzilli, si sono raggiunti traguardi consoni alla filosofia menzionata quali la certificazione biologica e pratiche sempre più in armonia con l’ambiente. Oggi Castello di Meleto è fiera di essere la più grande azienda biologica vitata del Chianti Classico.
«Il biologico ti costringe a essere un agricoltore migliore. Anche una persona migliore» osserva Valentino Ciarla, consulente accanto all’enologo Giovanni Balli. Gli agronomi Mattia Achenza e Giacomo Sensi ci guidano ulteriormente sul lavoro meticoloso e cortese sul vigneto. Dal compost originato dalla decomposizione di materiale vegetale proveniente dal terreno - che viene usato per la concimazione - si crea un circolo virtuoso, perché si trasmette la tipicità del terroir e non si usano macchinari per spostare il materiale, evitando il carburante. Ma poi, con l’aiuto della tecnologia, si posa lo sguardo, attento, sul terreno. Sette centraline sono collegate con 21 sensori tra i filari e si scambiano i dati in wifi: sentinelle per quel che riguarda i rischi di malattie o la presenza di patogeni. Avanti anche con sperimentazioni come quella effettuata sulle piante di senape, che tiene alla larga l’oidio. Tutto questo condividendo, perché - proprio come le piante - non si è gelosi. Il bene è un delizioso contagio, sussurrato dai vini.
I rigogliosi vigneti del Castello
Al Castello di Meleto si sentono custodi di un patrimonio, che va dall'imponente struttura a ogni granello di terra, per cui grande è l'impegno in progetti che valorizzano l’ospitalità nell’ottica di una fruizione più diffusa, ma non invadente, di tanta bellezza. Per consentire di vivere l’esperienza del vino nel contesto naturalistico e architettonico.
Ma lasciamo parlare le bottiglie, partendo dal Metodo classico Castello di Meleto Spumante Brut Rosé, con una freschezza che si coniuga con l’acidità del Sangiovese (100%) e un fitto perlage. Le uve vengono raccolte a fine agosto, si raffreddano e sono sottoposte a una pressatura soffice; la prima fermentazione avviene dopo un paio di giorni di decantazione e il vino rosato rifermenta in bottiglia a contatto con i lieviti selezionati per 36 mesi.
Uno specchio fedele del territorio - per questo rende omaggio all’albero simbolo della tenuta - è Simbionte Igt Toscana Bianco, Trebbiano e Malvasia Bianca Toscana, vitigni fortemente identitari: degustiamo l’annata 2022, che ci porge un intreccio di note agrumate, floreali e tostate.
Passiamo ai rossi, con il Chianti Classico Docg (95% Sangiovese, 5% Merlot) che ci permette di esplorare i vigneti di Casi, Meleto, Poggiarso, Moci e San Piero, un velluto - l’annata 2021 - che sa offrire freschezza e profumi di viola e ciliegia. È dunque il tempo delle Gran Selezioni Docg Chianti Classico - tutte del 2019 - che ci conducono a sfogliare il libro del territorio in modo accattivante.
Poggiarso si differenzia per aridità e temperature più fredde, con alte pendenze. Siamo a quasi 530 metri, una sfida climatica per il Sangiovese a causa delle escursioni termiche, con conseguente ridotta produzione, ma una superiore qualità dei vini e un’esaltazione dei profumi: ci chiamano piccoli frutti rossi e viola e, dagli aromi ai tannini, il filo rosso dell’eleganza.
Casi è invece nella valle sotto il borgo medievale di Vertine e la sua caratteristica è un clima temperato, alimentato dalla ricchezza dei boschi. Terreno caldo e clima fresco, anche nei periodi esposti alla siccità. Ne deriva una Gran Selezione con un carattere deliziosamente pungente, in termini di note di pepe e spezie, un’esperienza che si esprime anche attraverso il lungo finale. E ancora Trebbio, dove l’eleganza è pura potenza. Il Sangiovese dice la sua con piena autorevolezza; al suo fianco, nel vigneto, ci sono anche viti di Ciliegiolo e Colorino, a conferma dell’attenzione alla biodiversità. Esposizione a Sud Est, si va dai 380 ai 420 metri. Un vino che promette l’evoluzione di un incanto con l’invecchiamento.
Si brinda con il Vin Santo del Chianti Classico Doc, naturalmente. Un rito davvero: la fermentazione e la maturazione si svolgono in carati di legno di acacia e ciliegio, sigillati e custoditi in locali dove si manifesta una decisa escursione termica stagionale. I caratelli - spiega l’azienda - durante la fermentazione, vengono riempiti solo per il 70%. È la rotondità che colpisce di questa etichetta - annata 2011 -preannunciata dalla ricchezza dei profumi, dall’albicocca al miele, dalla frutta secca alle spezie.
Storie di uomini, donne e bottiglie che fanno grande la galassia del vino, in Italia e nel mondo
a cura di
responsabile de l'Informazioneonline e giornalista di Frontiera - inserto de La Provincia, scrittrice e blogger, si occupa di economia, natura e umanità: ama i sapori che fanno gustare la terra e le sue storie, nonché – da grande appassionata della Scozia – il mondo del whisky