25-01-2024

Cembra presenta Zymbra: «Un vino che è un viaggio nella nostra valle»

L'enologo Stefano Rossi: «Volevamo creare una bottiglia che raccontasse tutte le anime dei vitigni di montagna, sempre cercando la finezza»

Cembra Cantina di Montagna è una cooperativa cost

Cembra Cantina di Montagna è una cooperativa costituita da 300 soci per 300 ettari

Il percorso di Cantina Cembra, negli ultimi anni, è praticamente scolpito nelle Dolomiti che circondano la stessa valle trentina: l’obiettivo è valorizzare i vini di montagna, puntando soprattutto su sapidità ed eleganza. La dimostrazione arriva dall’ultimo vino nato, Zymbra.

La cooperativa è costituita da 300 soci per 300 ettari (media di un ettaro a testa, ma qualcuno ha davvero dei fazzoletti di terreno), per realizzare solo 40mila bottiglie a marchio Cembra. «Noi ricerchiamo le peculiarità, piccole produzioni significative – spiega l’enologo Stefano Rossi, 40 anni di cui 12 in cantina – Il nostro vantaggio è che possiamo scegliere. Abbiamo realizzato un database dove abbiamo mappato tutti i nostri vigneti, indicando i più importanti. Cerchiamo le sfumature di ogni vigneto e cerchiamo di unirle, per avere una maggiore complessità». 

L'enologo Stefano Rossi con uno dei vini di Cembra

L'enologo Stefano Rossi con uno dei vini di Cembra

Non è detto che per la produzione dei vini della Cantina Cembra vengano utilizzati sempre gli stessi vigneti, anzi: di anno in anno si valutano le singole produzioni, per selezionare quelle ideali per lo stile di Cembra. Il resto viene invece passato alla linea La-Vis.

Ma per rientrare nella linea Cembra, ci sono tre fattori fondamentali. Il primo è l’età del vigneto, che deve avere almeno dieci anni. Il secondo riguarda la quota altimetrica: «Per il Müller Thurgau – spiega Rossi – si punta a vigneti più in alto». Il terzo è legato alle rese per ettaro, per avere una qualità migliore. «In realtà – precisa l’enologo – c’è un ultimo fattore, legato al fattore umano, ovvero a come il singolo socio si occupa della propria vigna. Il viticoltore che partecipa al progetto deve sottostare a regole precise; noi passiamo tre volte all’anno nei vigneti, diamo le pagelle legate alla cura delle vigne». 

Una suggestiva immagine dei vigneti innevati

Una suggestiva immagine dei vigneti innevati

In ogni caso, la ricerca della massima qualità possibile, ma soprattutto della migliore espressività del territorio, resta l’obiettivo di Cembra. Proprio l’identità territoriale è valorizzata dai cinque vini monovitigno, a partire dall’Oro Rosso, il Metodo Classico Riserva Dosaggio Zero, che vuole sviluppare la finezza e la profondità dello Chardonnay del Trentino. Una bollicina molto fine, ma soprattutto particolarmente duttile nell’abbinamento con i vari piatti, grazie a questa sapidità che, come vedremo, sarà il filo conduttore di tutti i vini della cantina.

Quindi si passa al Müller Thurgau, annata 2021. «Si tratta di un vitigno che resiste bene al freddo – evidenzia Stefano Rossi – È una varietà che ad alte quote lavora molto bene e accumula profumi, dalla frutta esotica al pompelmo, e anche note floreali. Per fare questo, noi utilizziamo varie parelle che conferiscono diverse sfumature al vino». Come detto, la possibilità di scegliere tra i vari vigneti è il cardine della produzione di Cembra.

I sei vini della linea Cembra

I sei vini della linea Cembra

La dimostrazione di questa filosofia di produzione viene confermata dal Riesling, sempre annata 2021. «È una varietà tardiva, per questo serve il Guyot, in modo tale da realizzare una parete arieggiata per asciugatura e avere quindi meno problemi fitosanitari, di malattie. La resa è di 50/60 quintali per ettaro, non di più, mentre la pressatura deve essere leggera, come per una base spumante. Infine per una piccola parte dell’uva si va in surmaturazione, con residuo zuccherino di 7 grammi litri, che serve per mitigare la grande acidità».

Ci si trova di fronte a un Riesling a 360 gradi, dove gli aspetti aromatici tipici non sono prevalenti, ma equilibrati, in un bouquet molto intenso e ampio. In bocca la sapidità è un aspetto ancora fondamentale, per un vino dall’ottima beva.

Si torna allo Chardonnay, questa volta in versione ferma, vendemmia 2021, dove si cerca di sfruttare la complessità: le uve provengono da vigneti in una fascia “centrale”, attorno ai 500 metri sul livello del mare, mentre il 20% del vino ha un affinamento di qualche mese in barriques. Come detto, è la complessità l’elemento sul quale si basa questo vino: eleganza ma anche robustezza, e questa nota sapida che rende tutto più equilibrato.

Un'immagine autunnale della Val di Cembra

Un'immagine autunnale della Val di Cembra

Si conclude la linea dei bianchi con Zymbra, il nuovo nato, nell’annata 2019. Un progetto voluto dall’enologo Stefano Rossi. «È sempre stata una mia idea, da quando sono arrivato – conferma – per proporre un vino che sia un riassunto, un viaggio nella valle, basandoci su fondamenta forti della zonazione. E per questo vogliamo racchiudere le nostre tre varietà principali a bacca bianca in questo viaggio. E si inizia sul Colle di Giovo, zona dei grandi ciclisti, a circa 500 metri, per lo Chardonnay, zona dei grandi ciclisti; poi ci spostiamo sotto il paese, sui 600 metri, per il Riesling, e infine arriviamo in Val di Fiemme, dove il Müller Thurgau ha caratteristiche peculiari attorno agli 800-850 metri».

L’idea – come raccontato da Rossi – è quella di sfruttare l’esplosività del Müller Thurgau e la freschezza del Riesling, utilizzando lo Chardonnay come trait d’union, con due anni di affinamento in acciaio e poi 18 mesi in bottiglia. La ricerca della complessità è voluta, cercando proprio di tradurre questo viaggio immaginario nella Val di Cembra nel bicchiere: le caratteristiche complementari dei tre vitigni, con le uve selezionate dai vigneti più espressivi, riescono a portare lo Zymbra a un altissimo livello.

L'enologo Stefano Rossi durante la presentazione

L'enologo Stefano Rossi durante la presentazione

L’ultimo vino è il Pinot Nero, millesimo 2020. «Qui c’è il mio percorso personale sul Pinot Nero – spiega Stefano Rossi – La nostra cantina è molto fredda, e la fermentazione malolattica difficile. Un giorno, dell’annata 2018, assaggio le barrique, e trovo un vino evoluto… Mi sono detto: “Non dobbiamo farlo così”. Poi assaggio un Pinot Nero in acciaio con la malolattica non svolta, è scopro un vino vibrante».

«Così nasce il Pinot Nero, con il 70% anima della tradizione, con affinamento in legno e malolattica svolta, e il 30% con un incremento di contatto tra buccia e mosto vino (non 10 ma 25 giorni), in anfora, un contenitore sincero, senza sentori di legno, e malolattica non svolta. Il tutto per trovare un equilibrio tra le due anime». Ed è un Pinot Nero estremamente complesso, ma anche elegante e pulito. La sapidità diventa, ancora di più, un’arma vincente, anche in una prospettiva di qualche anno di affinamento in bottiglia ulteriore.


In cantina

Storie di uomini, donne e bottiglie che fanno grande la galassia del vino, in Italia e nel mondo

a cura di

Raffaele Foglia

giornalista de La Provincia di Como, sommelier e appassionato di birra artigianale. Crede che ogni bicchiere di vino possa contenere una storia da raccontare. Fa parte della redazione vino di Identità Golose

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