Albino Armani è un Trentino prestato al Friuli. Anzi, innamorato del Friuli. La sua avventura sulla Grave friulana inizia nel 1996, alla scoperta di un territorio vario, per certi versi ostico, ma con caratteristiche uniche.
«Sono trentino di nascita, ma con una passione fortissima per il Friuli. E per questo era obbligatorio parlare la lingua friulana. Ci troviamo “al di qua” del Tagliamento: il Friuli è suddiviso in varie zone, per certi versi anche conflittuali tra loro».

Una suggestiva immagine dei vigneti
La tenuta friulana fa parte delle 5 cantine sulle quali si estende la
Albino Armani, per un totale di 300 ettari vitati e circa un milione di bottiglie prodotte in media all’anno. In Friuli si avvale della collaborazione del professor
Walter Filiputti, mentre l’enologo è
Marco Campostrini.
«Qui non c’è nulla di omologato – spiega Filiputti, che è anche presidente del Consorzio Friuli Venezia Giulia Via dei Sapori - sia da un punto di vista storico, sia sul fronte dei terreni. Ma questo deve diventare un vantaggio. Noi ci troviamo a nord, Sequals, una zona molto verde e che ha come sfondo le montagne, la Alpi Carniche, a circa 300 metri di altitudine, con una ricchezza di boschi. È una delle zone più piovose d’Italia, ma il cambiamento climatico da questo punto di vista ci ha favoriti».
«La Grave del Friuli – continua
Filiputti - è un puzzle di terreni che continuano a cambiare: si passa da terreni magredi (poveri e sassosi, con i cosiddetti “claps”), a quelli ricchi di argilla e ai misti. Il nostro compito è stato quello di monitorare per adattare i vigneti al tipo di terreno giusto. Ci sono anche zone molto sabbiose, favorevoli alla produzione delle barbatelle».
Basti pensare che il 25% delle barbatelle prodotto in Italia arrivano da questa zona, come dimostra l’importante realtà dei Vivai Cooperativi Rauscedo (Vcr).

Albino Armani: «Sono trentino di nascita, ma con una passione fortissima per il Friuli»
«Lo studio dei terreni è per noi fondamentale – sottolinea
Albino Armani - Bisogna unire la propria sensibilità enologica a criteri scientifici per riuscire a trovare un’agricoltura in perfetto equilibrio. Per esempio, sul
Sauvignon ho speso anni per trovare i terreni e i cloni giusti: dal mio punto di vista è un vitigno che ha bisogno di terreni magri, di crescere sui sassi».
Un concetto che viene tradotto poi nei vini: il
Pinot Grigio 2019 ne è un esempio. Si tratta di un vino che per l’azienda è molto rappresentativo, anche solo da un punto di vista del numero di bottiglie prodotte (attorno alle 40mila). E in questo vino troviamo le note di frutta fresca, un delicato floreale e, soprattutto, una netta sapidità al sorso. Lavora solo in acciaio, rimanendo sulle fecce fini fino all’imbottigliamento.
Sulla stessa linea di pensiero è il Friulano 2019, caratterizzato da quel leggero sentore amandorlato nel finale classico di questo vitigno, con un’ottima lunghezza finale.

Grande attenzione e ricerca per il Sauvignon
Il
Sauvignon 2020, come già spiegato da
Albino Armani, è frutto di un lavoro attento in vigna, una scelta che ha portato a un vino non “muscoloso”, ma molto elegante. Al momento dell’assaggio aveva un solo mese di bottiglia: di certo in bocca risulta leggermente scomposto, ma qualche mese di riposo dovrebbe riuscire a rimetterlo in equilibrio. Ma al naso si nota, oltre alla tipicità del vitigno, anche un’eleganza e una finezza davvero encomiabile.
In assoluta anteprima, è stato degustato anche un secondo Sauvignon, che però uscirà solo 18 mesi dopo la sua vendemmia, realizzato per il 60% in acciaio con permanenza sui lieviti, per il 30/35% in botte grande da 25 ettolitri, e il rimanente 5/10% in barriques, con l’utilizzo di batonnage. Un prodotto sicuramente più ricco, ma che mantiene le caratteristiche di finezza del precedente Sauvignon, dimostrando come i terreni giochino un ruolo fondamentale nella realizzazione di questi vini.

La Ribolla Gialla Metodo Classico: 30 mesi sui lieviti
Gli ultimi due assaggi sono dedicati alle bollicine. «La
Ribolla Gialla Metodo Classico, 30 mesi sui lieviti, è un prodotto che deriva dalla mia cultura trentina. E anche qui ha contato l’esperienza, perché ero già stato “bastonato” dalla
Ribolla ferma, che non sono riuscito a realizzare come volevo, mentre ho trovato un buon risultato nella spumantizzazione».
Il risultato è di un vino che non è semplicemente piacevole, ma che trova una buona complessità, un perlage molto fine, e un’ottima verticalità, che gli conferisce l’importante dote di essere facilmente abbinabile a tutto pasto.
Infine il Prosecco Rosé: Pinot Nero che lavora per un periodo tra i 3 e i 4 mesi in autoclave, extra dry dai profumi di fragoline di bosco e lampone, e dall’ottima bevibilità: davvero un bel bicchiere, spensierato.