24-02-2021

Abrigo a Diano d'Alba: la vera innovazione sono i dettagli

L'azienda familiare si concentra sul Dolcetto, ma ora presenta anche una nuova Barbera: tutta da provare

La famiglia Abrigo in cantina

La famiglia Abrigo in cantina

Due ragazzi con la testa sulle spalle, che hanno avuto rispetto per quanto fatto dai genitori. E che ora stanno semplicemente cercando di valorizzare al meglio questo grande patrimonio, concentrandosi sui dettagli.

Questa è una delle migliori virtù dell’azienda Giovanni Abrigo, di Diano d’Alba: nessuna rivoluzione, nessuno stravolgimento, ma massima attenzione al vigneto e all’annata.

La nuova generazione: Sergio e Giulio Abrigo

La nuova generazione: Sergio e Giulio Abrigo

Per certi versi si tratta di un ritorno al passato ma con le conoscenze più moderne, e questo lo sanno bene i giovani Giulio e Sergio Abrigo, che stanno così segnando il passaggio di generazione dai genitori Giorgio e Paola.

«Siamo un’azienda familiare – spiega Sergio Abrigo, 25 anni - Finiti gli studi, io e mio fratello Giulio ci siamo concentrati a interpretare sempre meglio l’annata e i vigneti. Non abbiamo voluto stravolgere la produzione, ma abbiamo curato i dettagli per perfezionare i nostri vini. Noi siamo in una piccolissima Docg, che raccoglie il meglio dei vigneti di Dolcetto della zona».

I vigneti a pochi giorni dalla vendemmia

I vigneti a pochi giorni dalla vendemmia

In sostanza, non c’era nulla da inventare, ma semmai solo da perfezionare. Con la stessa passione dei genitori e del nonno Giovanni.

I vini rispecchiano questa filosofia: «Il Dolcetto superiore di Diano d’Alba Garabei – spiega Sergio Abrigo - raccoglie la varietà clonali del passato. Così abbiamo diverse sfumature del Dolcetto, andando a fare anche una vendemmia scaglionata; ci sono vigne vecchie che vanno da un minimo di 45 anni fino ad arrivare ai 70 anni di vita, con  rese tra i 70 e gli 80 quintali per ettaro. Ma non vogliano fare vini concentrati, ma che esprimano semplicemente il reale potenziale del vigneto». Fermentazione in acciaio e affinamento in cemento, per un vino del quale ne vengono prodotte 4-5mila bottiglie all’anno.

Sergio Abrigo durante la vendemmia

Sergio Abrigo durante la vendemmia

L’annata 2019 si esprime con grande intensità, dove la predominante frutta rossa va a sposarsi con delle accattivanti note balsamiche e anche leggermente erbacee. All’assaggio ha un’ottima bevibilità, supportata da un’acidità forse inattesa e molto gradita.

«In azienda conserviamo vecchi Dolcetti, con annate anche di 15 anni: nonostante quello che si possa pensare, è un vino che regge nel tempo».

Di padre in figlio: Giorgio Abrigo a destra con il figlio Sergio

Di padre in figlio: Giorgio Abrigo a destra con il figlio Sergio

La novità, invece, si chiama Barbera d’Alba Superiore Rocche dei Frisu. «È il vino più recente dell’azienda – racconta Sergio Abrigo - con un vigneto da Diano d’Alba al quale aggiungiamo la produzione di un vigneto di Roddi, che si trova a circa 10/15 chilometri da noi. Le migliori uve di questi due vigneti vanno a realizzare questo vino. La fermentazione è in acciaio, con macerazione tra i 9 e 12 giorni, poi affinamento in botti grandi da 30 ettolitri e in tonneau per 6 mesi, con lo svolgimento della fermentazione malolattica, poi il vino viene travasto in cemento per un assestamento di un anno».

Le bottiglie degustate: Dolcetto superiore di Diano d’Alba Garabei 2019, Barbera d’Alba Superiore Rocche dei Frisu 2018, Barolo Ravera 2017

Le bottiglie degustate: Dolcetto superiore di Diano d’Alba Garabei 2019Barbera d’Alba Superiore Rocche dei Frisu 2018Barolo Ravera 2017

«La prima annata è stata la 2016, ma non l’abbiamo imbottigliata perché non credevamo che avesse la spinta giusta. Questo è un vino che verrà realizzato solo con le giuste vendemmie, probabilmente non tutti gli anni».

L’annata 2018 dimostra di avere stoffa da vendere: frutta e spezie sono in ottimo equilibrio in un naso elegante, nonostante l’intensità. In bocca l’acidità tipica della Barbera c’è e si sente, ma è ben bilanciata da una struttura importante e da una trama tannica non aggressiva, con l’aggiunta (che non ci sta mai male) di una bella sapidità.

La cantina di affinamento

La cantina di affinamento

Infine il Barolo Ravera. «Anche in questo caso si tratta di una storia abbastanza recente: quando la mia famiglia ha acquistato questo terreno io stavo svolgendo la scuola enologica ad Alba mentre mio fratello era impegnato con la maturità. Lo sforzo dei miei genitori è stato quello di poter lavorare un po’ di terreno per realizzare Barolo, e alla fine nel 2013 hanno trovato un’occasione che hanno preso al volo. Il vigneto si trova su due colline limitrofe a Novello, a 420 metri sul livello del mare, con vigne che hanno circa 35 anni di età. Stiamo cercando di acquisire pian piano esperienza sul Nebbiolo».

La 2017 non è stata di certo un’annata facile, con siccità e picchi torridi. Il vino, in questo momento, è estremamente giovane, e come tutti i Barolo di buona struttura, ha bisogno di tempo per esprimersi al meglio: ma il potenziale c’è e nel bicchiere si sente.


In cantina

Storie di uomini, donne e bottiglie che fanno grande la galassia del vino, in Italia e nel mondo

a cura di

Raffaele Foglia

giornalista de La Provincia di Como, sommelier e appassionato di birra artigianale. Crede che ogni bicchiere di vino possa contenere una storia da raccontare. Fa parte della redazione vino di Identità Golose

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