19-04-2025

Fuga nelle Langhe, dove un cuoco beneventano propone una cucina tecnicamente impeccabile

Al ristorante L'Orangerie del Relais Le Due Matote, a Bossolasco (Cuneo), Luca La Peccerella evoca i sapori della tradizione campana (e non solo) attraverso piatti di grande spessore tecnico. E nel menu inverte l'arrivo della proteina a inizio pasto

Luca La Peccerella, chef del ristorante L'Oran

Luca La Peccerella, chef del ristorante L'Orangerie al Relais Le due Matote a Bossolasco (Cuneo)

Le Langhe splendono in questo momento dell’anno. Il verde esplode, i prati si rivestono di fiori rendendo quel distacco col blu ancora più netto, limpido, e ora che le nebbie si son dissolte è tempo di esplorare anche quegli alti colli, i più remoti, mete di un riposo rigenerante, che nutre. Superiamo Asti, Alba, in corsa verso la campagna; curve, tornanti e si prende quota costeggiando Grinzane Cavour; si sale ancora un po’ ed ecco in cima Bossolasco, la città delle rose, e a pochi metri dal centro, il Relais Le Due Matote.

La piscina a sfioro con vista sulla campagna circostante

La piscina a sfioro con vista sulla campagna circostante

Un luogo sentimentalmente caro agli abitanti del luogo, un vecchio fienile che ha dato i natali a molti anziani del paese, gli stessi che qui hanno prestato servizio. Rimane dismesso fin quando Arianna Cefis, da sempre attiva nel mondo della pubblicità, decide di trasformarla in una meravigliosa dimora: ovunque si posi lo sguardo, compaiono oggetti e pezzi d’autore che hanno riempito la sua vita e che tracciano il suo modo d’essere; ampie suite dai soffitti alti affacciano sui vigneti e deliziosi sentieri; la piscina a sfioro e anche una piccola spa con idromassaggio e sala massaggi, rendono il relais, luogo ideale per concedersi una pausa di benessere.

La suite Princess Anne

La suite Princess Anne

Poi una splendida veranda e alle spalle, ruggente, una cucina a vista: è il cuore de L’Orangerie, il ristorante gastronomico nato sotto il segno di Roberto Di Pinto, chef del ristorante Sine a Milano, e del suo secondo Luca La Peccerella che oggi ne raccoglie l’eredità magnificando la tavola de Le Due Matote con un pensiero e sapori che valgono il viaggio.

Vista dalla tavola de L'Orangerie

Vista dalla tavola de L'Orangerie

Beneventano, Luca cresce con immagini dalle quali, in fondo, non si è mai separato: l’orto di famiglia, le galline nell’aia, l’uccisione del maiale per lavorarne le carni, la capacità di comprendere l’evoluzione di un ingrediente nel tempo, e quella consapevolezza materica che lo accompagna nel lavoro che svolge quotidianamente, soprattutto qui, in Piemonte, dove trova una realtà non molto distante da quella di provenienza.

Questa terra, infatti, offre tra le migliori materie prime d’Italia e ogni occasione è buona per Luca e i suoi ragazzi per visitare allevatori, contadini, macellerie e divenire sempre più famigliari all’eccellenza, assimilando il “vocabolario locale” che viene puntualmente adatatto al proprio linguaggio, allenando gestualità e tecnica sempre con un profondo rispetto verso il vicinato.

La Peccerella nell'inconfondibile scatto di Davide Dutto

La Peccerella nell'inconfondibile scatto di Davide Dutto

Eppure La Peccerella proviene almeno professionalmente da contesti molto più dinamici e certamente meno bucolici: tanti giri per il mondo, molte volte per lavoro, altre per il solo gusto di scoprire cosa ci sia oltre il perimetro di casa; esplora a tappeto le città per rendersi conto di come questo settore stia evolvendo, come ha fatto, per esempio, di recente a New York, tra templi gastronomici – l’Eleven Madison Park -, pasticcerie, bakeries, botteghe di street food, bistrot e cocktail bar. Tutto torna, tutto serve.

Il suo habitat di riferimento dopotutto è la ristorazione d’hotel: 90 omelette ogni mattina, richieste da accontentare a tutte le ore, senza spazio per i “no”; occorre elasticità, inventiva, perché l’ospite va accontentato sempre. Si macinano numeri, eppure non viene meno quella precisione, quel rigore tecnico che anzi si perpetua e si affina, moltiplicato per cifre corpose, che fosse al Bulgari o all’Armani Hotel di Milano.

E non lo dice con presunzione Luca, ma con la consapevolezza di un percorso vissuto senza mai risparmiarsi: «Chi passa dall’hôtellerie alla ristorazione se la cava piuttosto bene; chi fa il contrario, invece, ha un percorso tutto in salita, specie quando i numeri sono alti». Perché un hotel insegna a starsene al proprio posto, lavori come un matto eppure nessuno ti vede; cucini, e non sei tu il protagonista, ma è l’ospite che deve godere, e trovare sempre un buon motivo per tornare.

Ecco perché L’Orangerie si propone di fare del proprio meglio per accogliere tutte quelle richieste inattese da non intendersi come un affronto all’espressione creativa del cuoco, bensì quale opportunità per stimolare il nuovo e stabilire un legame diretto, autentico e sincero con la persona per la quale si cucina.

D'altronde nulla manca per offrire un’esperienza di qualità: a partire da un orto di proprietà con prodotti freschissimi che soddisfa per il 70% il fabbisogno della cucina, una vermiera per smaltire rifiuti organici che diventano compost per l’orto stesso; utilità silenziose, come la scelta di lavorare solo con fornitori plastic free e la possibilità di fruire nel raggio di pochi km di tutto il necessario per rendere concreto un pensiero gastronomico ben chiaro, pur sostenendo l’economia locale.

Dalla grande veranda de L'Orangerie, vista sul Monviso

Dalla grande veranda de L'Orangerie, vista sul Monviso

La eco dalla Campania si intende distintamente da qui, tanto che il Monviso - eccolo spuntare innevato dalle vetrate della sala - quasi potrebbe confondersi col Vesuvio. Senza lasciarsi sopraffare dalla tradizione in senso stretto, anche perché ogni passaggio a L'Orangerie è domato da una tecnica sorprendente percepibile attraverso consistenze giuste, equilibri intriganti, ricette che interpretano il passaggio del tempo in cucina, e una devozione totale per questo lavoro: come in Dieci anni dopo: La mia Zuppa di Pesce.

Dieci anni dopo: La mia Zuppa di Pesce

Dieci anni dopo: La mia Zuppa di Pesce

Una ricetta che si assesta di anno in anno e sebbene ora sia “in vigore” la versione attuale, già è in cantiere la prossima. Pensata un tempo come un brodetto dell’Adriatico, con l’aggiunta di pasta, oggi vive in tre passaggi: il mare, in tranci, tre, carnosi – scorfano, gallinella e rana pescatrice - , marinati per 12 ore in trealosio (uno zucchero naturale) così da assicurare quella consistenza così succosa, le fibre, l’integrità della carne e l’identità di ogni singolo pesce, insieme al brodo, 50% bisque di crostacei, 50% bouillabaisse che, come vuole la tradizione provenzale, è carica di aromi e spezie tali da mitigare quell’irruzione di mare concentrato, quasi amaro, assumendo un timbro molto più fresco. Poi, come ogni zuppa degna di questo nome, non manca il crostone, una fetta di pane tostato, sottile, condita con gambero rosa e, infine, una royale di riccio, ricca e cremosa, frutto di una duplice riduzione con aggiunta di panna del 10% servita con pesto di salicornia.

Anatra nuda e cruda: un petto d'anatra glassato con il miele, ripassato in padella così da mantenere tutti i succhi all'interno, servito con carota glassata all'arancia e ancora carota, questa volta in crema, arricchita dal tocco acceso dello zenzero, e spinaci

Anatra nuda e cruda: un petto d'anatra glassato con il miele, ripassato in padella così da mantenere tutti i succhi all'interno, servito con carota glassata all'arancia e ancora carota, questa volta in crema, arricchita dal tocco acceso dello zenzero, e spinaci

Subito dopo Anatra nuda e cruda, portata principale che non finisce lì a caso, bensì per ottenere dal palato tutta l’attenzione che merita e che, solitamente, inizia a calare dopo i primi; affaticato il palato, non apprezza lo spessore delle cotture e la qualità della materia prima, in questo caso un’anatra cotta intera, sporzionata, stabilizzata e poi ripassata in padella. Resta succosa, irrorata dal suo fondo elegante, accompagnata da tutta la qualità dell’orto de L’Orangerie: spinaci anche questi carnosi, gustosi, e una crema alle carote aromatizzata allo zenzero che apporta una dose di freschezza e fa viaggiare quest’anatra verso Oriente.

Fusillone Pastai Sanniti, ragù di seppia, colatura di alici e alloro

Fusillone Pastai Sanniti, ragù di seppia, colatura di alici e alloro

Solo poi la pasta e, per rimanere nel beneventano, vengono scelti i fusilloni di Pastai Sanniti, l’ultima delle trovate geniali di Giuseppe Iannotti, una pasta a basso contenuto di glutine, dalla masticazione ben articolata. Viene condita da un ricco ragù di seppia, tagliato a mo’ di bolognese, piccante, acceso, lardo di calamaro in cima, e un bao di quinto quarto in pairing.

Subito dopo, Piemonte e Campania insieme, e quel gesto di intingere in una coppa di Dolcetto il plin al tovagliolo, solo che questi piccoli scrigni di pasta fresca sono ripieni di ragù napoletano, lo stesso che ancora prepara nonna Ida (la nonna dello chef), e lo stesso che troviamo pure nei plin al piatto; stessa farcia, ma nell’impasto viene aggiunto il concentrato di 4 pomodori, per un plin di rosso vestito condito con aria di Parmigiano 30 mesi.

Nonna Ida, raviolo del plin farcito con ragù napoletano

Nonna Ida, raviolo del plin farcito con ragù napoletano

"Il Babà è una cosa seria, cu 'o babà nun se pazzea": babà, parfait alla mela caramellata e bagna alla Strega

"Il Babà è una cosa seria, cu 'o babà nun se pazzea": babà, parfait alla mela caramellata e bagna alla Strega

È tarda sera, ma non è stanco Luca mentre spera, nel tempo, di poter trasmettere la sua stessa passione ai suoi ragazzi.

«I tempi sono cambiati; terminate le ore di lavoro è difficile trattenerli - e forse è giusto che sia così -. Ma ci vuole tempo per maturare, per vivere la cucina e assimilare la tecnica, la perseveranza, imparando a rinunciare a qualcosa. Un tempo si facevano solo cotture dirette, oggi sostituite perlopiù da quelle indirette, una scelta necessaria perché altrimenti si correrebbe il rischio di buttare tanta materia prima. Ma sono fiducioso. Il punto di tutto è avvicinarsi a questo lavoro con degli obiettivi chiari, dando il 100% di sé».

Ed è conoscendo i suoi di obiettivi, che a Bossolasco oggi - grazie a Luca La Peccerella - c’è una cucina di altissima qualità che merita di essere osservata nel tempo, ma soprattutto provata.


Dall'Italia

Recensioni, segnalazioni e tendenze dal Buonpaese, firmate da tutti gli autori legati a Identità Golose

Marialuisa Iannuzzi

di

Marialuisa Iannuzzi

Classe 1991. Irpina. Si laurea in Lingue e poi in Studi Internazionali, ma segue il cuore e nella New Forest (Regno Unito) nasce il suo amore per l'hospitality. Quello per il cibo era acceso da sempre. Dopo aver curato l'accoglienza di Identità Golose Milano, dal 2021 è redattore per Identità Golose. Isa viaggia, assaggia. Tiene vive le sue sensazioni attraverso le parole.

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