C’è un punto da cui lo sguardo può abbracciare l’intera vallata del Verdicchio di Matelica, proprio come fanno le montagne. Così, salendo verso il Monte San Vicino, è possibile cogliere anche con gli occhi l’unicità di questo vino, che ha celebrato il cinquantesimo anniversario da Doc con la volontà di lasciarsi alle spalle le ferite del terremoto.
I numeri si intrecciano in una formula matematica che è poesia a Matelica. Ventuno come il giorno del luglio 1967 in cui nacque ufficialmente la Denominazione di origine controllata: la prima delle Marche, assieme al Rosso Conero, e la quattordicesima d’Italia. Tredici, come i produttori dell’associazione, guidata da Umberto Gagliardi. Poi 43, il meridiano che garantisce il sole giusto nell’Alta Vallesina: il mare è vicino, eppure il suo effetto mitigante viene bloccato dalla naturale diga montuosa.
Nella valle - che ha tra le altre peculiarità l’esposizione da nord a sud - si crea un clima continentale, con escursioni termiche nette: i grappoli sono pochi, ma pieni di sole e di zucchero. Agli occhi, il vino offre un giallo paglierino con riflessi verdognoli. All’olfatto, porge il profumo intenso, con note floreali e sentori fruttati; al palato, armonia di acidità e sapidità.

Matelica, provincia di Macerata (foto Stefano Triulzi)
Nel delizioso teatro comunale Piermarini (a pochi metri, la casa dove
Enrico Mattei lanciò la sfida nel campo petrolifero alle “sette sorelle”), il sindaco
Alessandro Delpriori, il presidente dell’
Associazione Produttori Umberto Gagliardi e il presidente dell’
Istituto marchigiano di tutela vini Antonio Centocanti danno il via alle celebrazioni con un video che porta gli auguri in tutto il mondo per il
Verdicchio di Matelica. Piccolo di produzione (300 ettari, un decimo rispetto a quello dei
Castelli di Jesi), grande di qualità; nel 2009 è arrivata la Docg Riserva.
Una zona dove l’industria ha mantenuto un’impronta decisiva, ricorda il sindaco, ma in cui l’economia reale passa dall’enogastronomia, storicamente. Nel Museo civico archeologico il corredo della tomba di un principe-guerriero piceno ha rivelato vinaccioli d’uva. C’è voglia di portare avanti quel legame tra enologia, economia e arte ben interpretato nel foyer del teatro. E con le nuove leve, perché – spiega Antonio Centocanti - il passaggio generazionale nelle cantine sta avvenendo con successo. Uniti, è la parola che risuona sulle labbra di Umberto Gagliardi con la stessa intensità che accompagna la descrizione dei vini.
La degustazione di quattro annate (2016, 2014, 2013 e 2008) con l’enologo Roberto Potentini è uno spettacolo, seguito dagli assaggi di pecorino, miele e ciaùscolo, tipico insaccato marchigiano. L’incontro con l’ultima annata – fa notare - conferma come il Verdicchio di Matelica sappia attraversare il tempo: mai stucchevole in bocca, subito possente, ma capace di lasciare la bocca pulita alla deglutizione. Bisogna correre ad ammirarla, questa vallata unica, con la tappa al Monte San Vicino (la sera prima, un assaggio della bontà di paesaggio e sapori all’agriturismo “Colle del Sole”), poi tra le case di Braccano con i murales e gli spaventapasseri ispirati al Verdicchio.

I rappresentanti delle 13 cantine: Belisario, Bisci, Borgo Paglianetto, Cavalieri, Collestefano, Colpaola, Gagliardi, Gatti, Lamelia, Le Stroppigliose, Maraviglia, Provima, Tenuta Rustano
Ma piazza Mattei aspetta per la cena di gala. Lo chef
Diego Bongiovanni coinvolge e conquista, unendo i prodotti marchigiani a intuizioni del suo Piemonte. Sfilano le tredici cantine, intervistate da
Paolo Notari:
Belisario,
Bisci,
Borgo Paglianetto,
Cavalieri,
Collestefano,
Colpaola,
Gagliardi,
Gatti,
Lamelia,
Le Stroppigliose,
Maraviglia,
Provima,
Tenuta Rustano. Tra gli omaggi di
Bongiovanni a Matelica, i maccheroni di Campofilone al guanciale con zabaione d’uovo al Verdicchio.
In una serata simile, questo vino (che si è meritato un monumento con l’artista Andrea Silicati) esprime la determinazione della gente a riprendersi la piazza e la vita. E invita i turisti a fare altrettanto: a venire qui, a bere, assaggiare, condividere uno stile che è accoglienza e capacità di gustare anche il tempo, quel tempo – è il fiero slogan della festa – che celebra la qualità.