Capita spesso che vi sia tra chef e suo stile di cucina una somiglianza anche notevole; ma se esiste una toque che incarna alla perfezione le sue realizzazioni, questa poggia sulla testa di Cristoforo Trapani. Lui bonario, diretto, estroverso, affabile, solare, gaudente, sorridente, immediato; le medesime caratteristiche albergano nei suoi piatti, di goduriosa pienezza, capaci di planare dritti dritti sulle papille gustative senza troppi voli pindarici.
Non che siano sempliciotti, intendiamoci: così come non è semplice la personalità del loro artefice, un po' Gian Burrasca e un po' Machiavelli, carattere impetuoso e animo calcolatore racchiusi in un enfant prodige - classe 1988 - in taglia extralarge, sospeso tra il fare guascone del Pierino che bigia la scuola e la dimensione professionale che lo porta oggi sui palchi dei maggiori congressi di gastronomia, e ieri lo ha spinto a frequentare un filotto notevole di cucine illustri, lui che è così giovane: Heinz Beck, Antonino Cannavacciuolo, Moreno Cedroni, Davide Scabin, Mauro Colagreco, Yannick Alléno, i Troisgros...

Veduta su Forte dei Marmi
Il bandolo della matassa si chiama forse passione (per i fornelli): quella che da ancor più giovane ha spinto
Trapani a desiderare fortemente di intraprendere questa professione, e che ora gli suggerisce di destreggiarsi con prudenza tra le pratiche dell'
haute cuisine. Per comprendere l'uno e l'altro elemento, due aneddoti. Il primo: «Mio nonno era cuoco, io volevo fare il cuoco. Non ero portato per lo studio, volevo cucinare. Già dall'asilo tutti mi consideravano una peste. Mio padre mi mandò poi a scuola all'Alberghiero di Capri, ma erano più i giorni in cui bigiavo che quelli nei quali mi presentavo in classe». (Non) funzionava così: prendeva l'aliscafo dalla sua Piano di Sorrento, vi si addormentava, e l'equipaggio - ormai ben conoscendo la sua natura - lo faceva riposare tranquillamente a bordo, fino al ritorno.

La sala con vista sulla piscina
Venne il giorno del redde rationem: «Ma che soddisfazioni mi dai?!», gli domandò papà
Luigi, adirato. Cristoforo contropropose: vorrei andare all'
Alma. Replica secca: «Qua soldi non ce ne stanno». Cocciuto, il futuro chef s'inventò un modo per farli saltar fuori: «Anche mio zio era cuoco, ma in Algeria, nelle mense degli impianti Agip. Sapevo che guadagnava molto bene. Pensai: vado lì pure io, raggranello un po' di denaro e poi mi pago la retta di Colorno». Detto fatto. Era il 2007, «misi insieme 20mila euro, tornai. Mandai però una lettera a
Beck, a sorpresa mi prese per uno stage. Al quarto mese mi fece il primo contratto». Niente
Alma, dove peraltro sarebbe poi giunto, ma in tempi più recenti e dall'altra parte della cattedra: come ospite d'onore del
Corso Superiore di Cucina Italiana, «che soddisfazione!».

Trapani a Identità Milano 2018
Talento, dunque, impetuoso, oggi
Trapani si gioca però anche le carte da gran pragmatico. Ha un
cursus honorum lungo così, eppure disdegna i giovani «col curriculum infinito, sono stati ovunque. Ma magari non sanno cuocere un'omelette». Lui veste i panni del praticone che snobba sfere e schiume, e va alla ricerca di un gusto schietto e pulito. Spiega: «Mia mamma
Felicia ha un negozio di frutta e verdura a Sorrento (e lui si fa inviare da lì il meglio per innervare i suoi piatti del sole della Penisola); mio zio un altro a Capri. Alcuni tra i miei migliori amici hanno una macelleria e una pescheria. Insomma, circondato come sono sempre stato da commercianti, ha capito che bisogna innanzitutto appagare il cliente. Poi viene il resto».

Lo chef con patron Salvatore Madonna
Salvatore Madonna, patron dell'
Hotel Byron di Forte dei Marmi, annuisce soddisfatto: è stato lui a dare fiducia a
Trapani, quando nel 2015 si trattava di sostituire al
La Magnolia, il ristorante della struttura, un pezzo da novanta come
Andrea Mattei, che aveva lasciato per altri lidi. Partì con i casting, «arrivarono anche cuoconi stellati, pieni di sé» e venne invece alla fine conquistato dai modi schietti e i propositi chiari di quel ragazzino,
Trapani, allora al
Piazzetta Milù.
L'innamoramento fu reciproco, siglato da una comune intesa su un concetto di cucina in cui prevale il nitore primario, la Toscana e l'idea del Mediterraneo come luogo d'elezione di un comfort food pur raffinato e che nasconde in realtà una complessità tecnica forte della materia prima, della quale non disdegna la pienezza aromatica, servendosene come grimaldello per scassinare certa diffidenza diffusa (anche) tra la clientela di Versilia verso le preparazioni troppo complesse. Madonna: «Il milanese arriva qui da noi, si lascia alle spalle il lavoro e i problemi, e vuole rilassarsi, anche a tavola. Non cerca complicazioni, vuole abbandonarsi alla piacevolezza». Trapani giudizioso gliela dà a piene mani, quasi celando cosa vi sia dietro: innanzi tutto, tanto talento.

S'inizia il pranzo con una montanarina campana con San Marzano e parmigiano. Le foto dei piatti sono di Tanio Liotta

Cannolo di trippa fiorentina con pecorino toscano e pepe

Raviolo cinese, ragù di razza e limone di Sorrento grigliato

Macaron con pepe di Sichuan e fegatini di pollo

Zuppa di cozze pelose, aglio e colatura di pomodoro

Anguilla laccata al finocchio e arancia, rapa rossa, birra Moretti Grand Cru

Linguina parmigiano e basilico, tartufi di mare cotti e crudi, limone di Sorrento

Risoto calamaretti, zenzero e lime, mozzarella ed erbe di campo

Delizioso il Morone alla mugnaia, asparagi di mare, bottarga di tonno rosso

Piccione di Laura Peri e caviale osetra, cime di rapa e colatura di alici. In due servizi, qui il petto...

Tiramisù, salsa di cappuccino, cannolo di pasta sigaretta