All’entrata del locale nessuna targa con la stella Michelin, conquistata nel 2013 e mai più tramontata: «Abbiamo deciso di non esporla. Intimoriva la gente. La spaventava, “chissà cosa mi danno da mangiare, chissà quanto spendo, chissà come funziona”, avevano paura a varcare l'ingresso». Così il premio più prestigioso rimane chiuso in un cassetto. Ma la clientela affolla i tavoli. Funziona così a Marina di Gioiosa Ionica, luogo di confine per l’alta cucina, frontiera meridionale del food. Quasi un avamposto, un Fort Alamo in terra di grandi prodotti e difficili situazioni sociali, egregie trattorie che fanno molta quantità e pochi ristoranti borghesi che sopravvivono perlopiù grazie alle cerimonie: matrimoni, battesimi e cresime da queste parti sono occasione affollata di festa, non si bada troppo a spese. Poi c’è la stagione turistica. E per il resto bisogna essere proprio bravi.
Gli Sculli lo sono: bravi, e anche determinati. Non fanno parte della nidiata dei maestri storici, i Gaetano Alia, i Giovanni Bazzarelli, sorta di pionieri in Calabria (dove prima del 2012 solo tre insegne avevano ricevuto la stella, L'Aragosta a Marina di Nocera Terinese, La Locanda di Alia a Castrovillari e Lapprodo a Marina di Vibo Valentia, che ora l’ha riconquistata). Ma neanche appartengono alla nouvelle vague regionale, incarnata dai giovani di Cooking Soon – Abbruzzino, Ceraudo, Rossi, Biafora, Di Pace, Lecce, Strigaro – che tanto fanno parlare di sé.
Questioni generazionali: lo chef
Riccardo Sculli è un classe 1975, età di mezzo che lo esclude dalle fresche leve della tavola locale ma non dalla nostra visita al suo
Gambero Rosso, premiata con una raffica di bontà che onora le eccezionali materie prime dei dintorni.
Sculli sintetizza così: «Qui non si può essere (solo) imprenditori, bisogna amare questa terra» martoriata ma fortunata, «in fondo è un territorio felice, abbiamo due mari da favola» a una cinquantina di chilometri l’uno dall’altro, pur da percorrere su strade disgraziate, e in mezzo sua maestà l’Aspromonte. E’ come uno scrigno di biodiversità, un forziere inesauribile, «quando lo Ionio è in tempesta e la pesca diventa impossibile, quasi sempre il Tirreno è calmo e pescoso, e viceversa», così non si rimane mai sprovvisti.


Le prelibatezze sono tante. Lo chef: «Direi innanzi tutto i crostacei e i pesci di fondale, eccezionali: lo Ionio è il mare più profondo d’Italia e ci serve doni favolosi. Poi i formaggi, a partire dal caciocavallo di Ciminà. Quindi i pomodori: ora viene coltivato anche uno straordinario datterino giallo. E i frutti di bosco: anche certi marchi famosi si riforniscono qui, io lotto per poterne trattenere qualche cassetta prima che venga spedita altrove. C’è lo zafferano di Gerace e la melanzana perlina, e limoni e arance che sull’Aspromonte si mantengono succosi anche ad agosto». E poi la ‘nduja, «molti ne conoscono solo una versione industriale, mediocre, in cui prevale la piccantezza. Ma quella ben prodotta è equilibrata e saporita».
Un’arca del gusto della quale il Gambero Rosso è diretta emanazione. Bella la storia di questo indirizzo tirato su dalla fatica e dalla passione di due generazioni: il ristorante nasce da un ritorno a casa, dal desiderio di papà Giuseppe Sculli e mamma Anna Maria di creare il proprio futuro là da dove erano partiti per cercare fortuna all’estero, soprattutto in Canada, in quella Toronto dove anche Riccardo è nato.

Il Gambero Rosso, oltre alla carta, propone numerosi menu degustazione: a mano libera, uno di piatti classici, poi menu particolari denominati Calabrian' sushi (a base di crudi,) A piedi nudi sulla sabbia, Torre del Cavallaro (è una fortezza del XVI secolo a Marina di Gioiosa Ionica, secondo alcuni studiosi la sua fondazione risale in realtà a età bizantina, ed è opera di uno stratega greco per arginare l’impeto delle orde saracene. Due vigili a cavallo, appunto i cavallari, dovevano segnalare l’eventuale approssimarsi di masnade barbaresche) e Nasse (pesca tipica del Sud Italia: per la cattura di pesci pregiati (saraghi e dentici) vengono calate reti su fondali rocciosi o misti a posidonia, a batimetrie mai superiori ai 40 metri. Nella pesca a gamberetti rosa, mazzancolle e gamberoni rossi le nasse vengono calate su fondali più importanti, a volte a batimetrie che arrivano anche a 200-300 metri)
Era 1979 quando la scommessa dei coniugi, appena tornati al paesello, ha preso vita sotto l’insegna
Gambero Rosso per valorizzare il buono della propria terra di origine. Oggi la storia prosegue con tre dei loro quattro figli:
Riccardo appunto, ma anche
Francesco a capo della sala e
Tiziana a dargli una mano. Racconta lo chef: «I miei aprirono all’inizio un piccolo spaccio per vendere panini e altri cibi semplici, mamma si mise in cucina e l’indirizzo crebbe poco a poco. Abitavamo sopra al locale (l’indirizzo non è mai cambiato,
ndr) e quindi era normale che finita la scuola aiutassi ai fornelli». Non vi è mai stato un momento di discontinuità, una decisione pianificata di tentare un salto di qualità; sempre, invece, una crescita accorta, mai il passo più lungo della gamba, con il cervello ben acceso.
Aneddoto: «Un pescatore, Bartolo, buttava a mare gli scampi che rimanevano impigliati nelle sue reti. Papà gli domandò perché, lui rispose che nessuno glieli comprava, che se ne faceva? Erano considerati poco pregiati. Così gli chiedemmo, piuttosto, di darli a noi: ce li regalava, per lui non avevano alcun valore. Poco a poco s’accorse però di quale prelibatezza fossero diventati per i nostri clienti, così un giorno suonò come al solito la sua trombetta, quando arrivò davanti al locale con il suo bottino del mare, e urlò a squarciagola: “Peppe, li vuoi gli scampi? E mò mì paghi”, adesso me li paghi».
Gli Sculli non hanno mai abbandonato il concetto di fondo che era presente fin dall’inizio: proporre un’ottima cucina mediterranea. Ora lo fanno ad alto livello, come potrete vedere nella nostra fotogallery, gli scatti sono di Tanio Liotta.