06-07-2019

Alberto Gipponi: ecco perché faccio lavorare i miei ragazzi 8 ore

Intervista al cuoco di Dina, Gussago, sul tabù dei ritmi di lavoro: cuochi e camerieri non devono essere dei disadattati

Lo staff del ristorante Dina di Gussago, Brescia.

Lo staff del ristorante Dina di Gussago, Brescia. Il patron Alberto Gipponi (terzo da sinistra) è la Sorpresa dell'anno per la Guida Identità Golose 2019

Facciamo visita al ristorante di Gussago 18 mesi dopo la sua apertura. Dina è il non-luogo voluto da Alberto Gipponi che ha cominciato a lavorare assecondando, con vocazione tardiva, una cucina molto personale. I suoi piatti hanno già guadagnato un importante consenso tra la critica, il pubblico e, caso ancora più raro, i colleghi più bravi.

Non parliamo qui del suo menu perché c’è un aspetto extra-gastronomico importante negli orizzonti di questo ragazzo scanzonato e riflessivo, sociologo, ex chitarrista, che ci preme esplorare: le relazioni non convenzionali che tesse col suo team di lavoro.

Quanta gente lavora da Dina?
Oggi siamo un numero variabile tra 11 e 15 persone, a seconda del periodo. Un anno e mezzo fa eravamo partiti con 3 ragazzi in cucina, uno in sala e un lavapiatti.

Che importanza assegna ai rapporti umani nel team?
È la prima cosa. Io vengo dal sociale, sono laureato in Scienze per le politiche sociali del terzo settore. L’amore dell’uomo per l’uomo per me è legge suprema. L’affiatamento del gruppo è tutto e non certo perché lo dico io, che sono da pochissimo in questo mondo. Chi lavora al tuo fianco deve stare bene, non c’è alternativa. Lo ha spiegato chiaramente anche Mauro Uliassi, appena dopo aver preso la terza stella Michelin: il gruppo è tutto.

Una lumaca all'improvviso

Una lumaca all'improvviso

Casoncelli con crema di Grana Padano e salvia, anche detti Ne mangerei un bidet, frase che si deve al suo ex collega Davide Di Fabio dell'Osteria Francescana di Modena

Casoncelli con crema di Grana Padano e salvia, anche detti Ne mangerei un bidet, frase che si deve al suo ex collega Davide Di Fabio dell'Osteria Francescana di Modena

Cosa fa per tutelarlo?
A novembre 2018 abbiamo provato a introdurre ritmi più umani, costruendo due squadre di cuochi: il primo gruppo entrava alle 9.30 e usciva alle 18; il secondo alle 15 e se ne andava alle 23. Ora entrano alle 10, lavorano fino alle 14.30, facendo il break del pranzo, e poi tornano alle 19 e rimangono fino alla chiusura.

Le fatidiche 8 ore di lavoro.
Sono orari accessibili, che possiamo permetterci anche perché facciamo quasi sempre servizio solo la sera, tranne il sabato che apriamo anche a pranzo. Ritmi che naturalmente non valgono per me e il mio sous chef Giannicola Mula, che lavoriamo come muli. Trovare i giusti mezzi per far stare bene i miei collaboratori, oltre ai miei clienti, è un compito piuttosto complicato, una casa che si costruisce mattone dopo mattone. Non è facile, non siamo wonderland, anche noi abbiamo delle criticità naturalmente. Ma provarci è importante.

In che modo?
Cercando di mantenere l’identità del ristorante, riconoscendo al contempo il valore dell’altro. Credo che riceviamo sempre più di quello che diamo. Questo non significa che bisogna imporre 8 ore nette come i turni parastatali, far timbrare il cartellino. Se qualche giorno i ragazzi rimangono 9 o 10 ore non è il finimondo. Ma i cuochi non devono essere dei disadattati. Per l’andazzo che c’è oggi, la strada è ancora lunga, ma spero che questo discorso possa diventare corale, condiviso tra i colleghi.

Le 8 ore rallentano il turnover frenetico del personale?
Credo di sì. Finora, chi è andato via da Dina l’ha fatto quasi sempre per tornare a casa propria o per cambiare mestiere. I ragazzi sono molto giovani, sono naturalmente mossi dalla voglia di cambiare spesso. Se qualcuno non è contento, deve avere la libertà di andarsene quando vuole. Cuochi e camerieri devono essere felici e non devo essere certo io a impedirglielo.

Sogliola, crema di carcasse di pollo e limone

Sogliola, crema di carcasse di pollo e limone

Riso, latte e limone

Riso, latte e limone

Chi cresce con quest’esempio sarà portato a replicarlo a sua volta.
Certo, l’uomo diventa sempre ciò che contempla. Se Giovanni, uno dei miei ragazzi, mi chiede di poter fare contemporaneamente l’università, come faccio a negarglielo? E se Daniele vuole andare a lavorare a New York, perché non dovrei essere felice? Sono piccoli sacrifici che prima o dopo verranno ripagati, questo è certo.

In cucina esercita autorità?
Non mi arrabbio quasi mai, a meno che non ci sia un motivo grave. Sono uno che dice le cose come le sente e spero sempre che il mio interlocutore sia adulto a sufficienza da potersi autoregolare. Credo che ognuno debba essere il miglior maestro di se stesso.

Ha tempo di spiegare questi concetti ai suoi ragazzi?
Ci proviamo ogni giorno ma è molto difficile perché corriamo per 11 mesi e mezzo all'anno. Fermarsi purtroppo equivale a cadere. Però bisogna sempre trovare il tempo.

C'è qualcosa che non quaglia, ovvero la quaglia nel dessert

C'è qualcosa che non quaglia, ovvero la quaglia nel dessert

Dina è chiuso l'intera domenica e a pranzo aperto solo sabato

Dina è chiuso l'intera domenica e a pranzo aperto solo sabato

Come?
Tra i miei desideri, c’è quello di chiudere il ristorante al pubblico per 3 mesi, da giugno a settembre 2020. Vorrei far venire una ventina di cuochi e camerieri da tutto il mondo, pagati con delle borse lavoro, e farli confrontare coi nostri sull’esperienza della relazione d’aiuto al tavolo e dell’accoglienza tra colleghi. Serrare le porte del ristorante per riflettere sulla cucina e sull'accoglienza, continuando a stipendiare i ragazzi, possibilmente col supporto di qualche azienda o sponsor che ci crede. Vorrei poter godere di un movimento controllato per allargare le profondità del ristorante.

Un progetto ambizioso.
Ma possibile: io vivo nella poesia ma la prosa è fondamentale. Sono un progettista: per ogni caso occorre darsi un obiettivo generale, obiettivi specifici, delle azioni, dei risultati attesi e un budget. Se questi progetti non si sostengono, cercherò altre vie.

Tutto questo perché?
Perché ha ragione Mauro Colagreco quando a Singapore ha detto che i cuochi devono smettere di guardarsi nella schiena. Dobbiamo volerci più bene tra noi. Non si può lavorare pensando che il tuo vicino sia uno s******. L’evoluzione della cucina italiana deve partire dall’uomo.

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Zanattamente buono

Il punto di Gabriele Zanatta: insegne, cuochi e ghiotti orientamenti in Italia e nel mondo

a cura di

Gabriele Zanatta

classe 1973, laurea in Filosofia, coordina la Guida ai Ristoranti di Identità Golose e tiene lezioni di storia della gastronomia presso istituti e università. 
instagram @gabrielezanatt

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