04-04-2019

Dominique Crenn: troppi suicidi tra i cuochi, umanizziamo le nostre cucine

Nella sua lezione di Identità Milano, la chef-attivista franco-americana ha posto l'accento sui lati oscuri della ristorazione

Dominique Crenn, chef franco-americana del ristora

Dominique Crenn, chef franco-americana del ristorante Atelier Crenn di San Francisco, 3 stelle Michelin. Foto di Brambilla/Serrani

L’intervista che segue mette assieme i passaggi salienti del dialogo tra Dominique CrennRyan King sul palco di Identità e alcune domande rivoltele appena dopo nel backstage da Gabriele Zanatta

Dominique Crenn è tra le cuoche che più hanno lasciato il segno nella quindicesima edizione di Identità Milano. La 54enne franco/americana ha toccato diversi punti a lei cari. Temi collaterali, ma non per questo meno fondamentali per l’industria della ristorazione.

Non ha parlato quasi per nulla di tecniche, esecuzioni o ricette. Ha denunciato il climate change («Il mondo è in pericolo e ognuno di noi è responsabile nel suo piccolo»), il dilagare della plastica («Se bevi un drink, non usare la cannuccia. Se prepari un croissant, non metterlo nella pellicola»), affrontato la questione di genere («Sogno un mondo in cui uno chef è uno chef, non importa di che sesso. Un mondo in cui uomini e donne hanno le stesse opportunità»). L’intervista che segue è centrata su un altro argomento ancora, centrale per quasi tutta la lezione di Crenn: il benessere di chi lavora in un ristorante.

Dominique, lei ha aperto il suo intervento con un tributo a Luciano Zazzeri, il cuoco toscano scomparso il 18 marzo scorso. Vi conoscevate?
Andai a mangiare nel suo ristorante nel novembre del 2007. Ricordo ancora la strada avventurosa per arrivarci. Scorgemmo questa baracca vicino al mare. Hello chef e lui sorrise gentile. Appena dopo, cucinò il miglior calamaro della mia vita. Mi commosse. Tornai a San Francisco con quell’immagine nel cuore. Mi ha cambiato la vita. Alla notizia della sua morte ho avuto un momento di grande sconforto.

L'omaggio a Luciano Zazzeri (1956-2019), chef della Pineta di Bibbona (Livorno), in apertura della lezione di Crenn

L'omaggio a Luciano Zazzeri (1956-2019), chef della Pineta di Bibbona (Livorno), in apertura della lezione di Crenn

Un episodio isolato nella cucina?
Non direi. L’anno scorso avevo perso un altro amico, Anthony Bourdain. Proprio l’altro giorno leggevo che, negli ultimi 3 anni, i suicidi tra i cuochi sono aumentati del 25%. Se sono su questo palco è per celebrare la cucina ma anche per sottolineare i lati oscuri del nostro mestiere.

Quali sono?
In generale, oggi non scriviamo più lettere, non chiamiamo più gli amici, non leggiamo libri, non siamo più attenti e curiosi. E i cuochi vivono in uno stato di disconnessione ancora superiore rispetto agli altri. È sempre peggio perché la pressione è sempre più elevata. Abbiamo la tendenza a spingere [to push], a non fermarci mai. E siamo sempre più disconnessi, disinteressati [disengaged].

Quali rimedi opporre?
Nel mio ristorante cerco di far sentire tutti al sicuro: il personale delle risorse umane si confronta quotidianamente con i nostri cuochi. Organizziamo incontri e trasferte culturali, sessioni di yoga, partite di calcio, tanti momenti di aggregazione. Ognuno è unico, ha la sua storia. Dobbiamo sforzarci di ascoltarla. E di mostrare il nostro vero volto, non fingere di essere quello che non siamo.

Crenn con il giornalista di Fine Dining Lovers Ryan King, sul palco dell'Auditorium

Crenn con il giornalista di Fine Dining Lovers Ryan King, sul palco dell'Auditorium

Quali sono i ritmi di lavoro all’Atelier Crenn?
I cuochi lavorano per 8 ore al giorno, non 16 o 18. Voglio che i ragazzi abbiano una vita anche fuori, che bilancino lavoro e vita privata. Quando siamo insieme, deve sempre prevalere il senso del rispetto, lo spirito familiare, l’amore. È così gratificante vedere il sorriso sui volti di tutti. Me l’hanno insegnato i miei genitori.

Come selezionate il personale?
Non guardiamo mai i curriculum, non ci interessano. E non interroghiamo mai gli aspiranti cuochi sul cibo o sulle tecniche: quelle le impareranno dopo. Al colloquio cerchiamo soprattutto di capire chi abbiamo di fronte, se c’è umanità nel candidato. Spieghiamo loro che ognuno ha un nome, che è importante dire agli altri ‘buongiorno’, ‘com’è andata la giornata?’. Che avranno a che fare con tante persone diverse, e che la diversità è un valore.

Qualche giorno fa Carlo Petrini ha spiegato che i ristoranti dovrebbero abbandonare il modello delle brigate militaresche in cucina di Georges Auguste Escoffier.
Sono d’accordo, io non credo per nulla nelle brigate. Dev’esserci uno chef, quello sì. Ma tutti gli altri vanno trattati allo stesso modo, allo stesso livello, senza gerarchie o ranghi rigidi. La cosa bella è che questa impostazione non ci penalizza. Trattiamo bene la gente, ridiamo, balliamo, facciamo buon cibo e abbiamo lo stesso 3 stelle Michelin.

Crenn sta per aprire il primo coffeeshop senza tazze: "Se ami davvero il caffè, portati la tazza da casa"

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Cosa rispondi a chi sostiene che un cuoco deve cucinare, non esprimersi su temi che vanno oltre il suo mestiere?
Che è una sciocchezza. I cuochi devono pensare prima di cucinare. Non può esistere il secondo esercizio senza il primo. It is your attitude, more than your aptitude, that will determine your altitude. È il comportamento, più dell’atteggiamento, a definire la tua altezza.

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