31-10-2025

La pasticceria non convenzionale di Federico Andreini al Sustanza di Napoli

Tra i migliori pastry chef italiani, Andreini è fondatore di Collettivo Punto Zero, il manifesto che rompe gli schemi della pasticceria da ristorazione, ribalta il risultato e prosegue un racconto già avviato

Federico Andreini, nato a Lucca nel 1998, è il pa

Federico Andreini, nato a Lucca nel 1998, è il pastry chef del Sustanza di Napoli. Nel 2017 ha partecipato a Bake Off Italia, trampolino di lancio che gli permette di aggregarsi alla brigata di Marco Ambrosino al 28 Posti di Milano. Sono seguite esperienze internazionali in Spagna, in Slovenia presso l'Hiša Franko di Ana Roš, e in Danimarca, dove si è specializzato nell’arte del pane e dei lievitati presso la bakery Bageriet Benji. Dal 2023 ha raggiunto di nuovo Ambrosino, questa volta sotto il Vesuvio

C’è un filo teso, consapevole, che lega ogni piatto ed ogni gesto da Sustanza. Il ristorante guidato da Marco Ambrosino fa sempre più rumore nel portfolio gastronomico napoletano e ci riesce come organismo coerente, un’intenzione che si muove dalla cucina fino all’ultima nota suonata dal pastry chef Federico Andreini. Quest’ultimo, tra i più interessanti interpreti della scena italiana, oltre al 28 Posti di Milano condiviso con lo stesso Ambrosino, è passato per le cucine più innovative d’Europa, affinando stile e approccio concettuale al piatto. Una visione, la sua, che lo ha portato a fondare Collettivo Punto Zero, il manifesto che ridefinisce la stessa pasticceria, potenziandola di sapori nuovi e senza più costringerla nel range delle aspettative legate al fine pasto.

 

Che cos’è un dessert

Thalassa: sorbetto di lime nero, alghe sciroppate, albicocche in conserva, olio al finocchietto, spuma di finocchio, meringa al finocchietto e lattuga di mare

Thalassa: sorbetto di lime nero, alghe sciroppate, albicocche in conserva, olio al finocchietto, spuma di finocchio, meringa al finocchietto e lattuga di mare

In un momento in cui la pasticceria da ristorazione rischia spesso di rimanere una decorazione o, addirittura, un inciampo dopo percorsi salati ben costruiti, Andreini rilancia e sfida l’ospite su cosa possa e debba essere un dessert. Che con lui, in sintonia ideologica con chef Ambrosino, non chiude il pasto, ma lo estende. Lo compie, perfino. Utilizzando un linguaggio che non rincorre la compiacenza, ma la logica: meno zucchero, meno scena, più narrazione. Da Sustanza, il dolce è ancora cucina, una cucina netta, moderna, capace di leggerezza e concentrazione al contempo. Ambrosino è uno chef dal pensiero lucido che non abbandona il piacere, ovviamente sempre centrale a tavola. Il suo però è di quei piaceri sottili, scovati, anche perché derubati del corteggiamento, il momento che facilita toni e risultato. In un mondo siffatto, la (non) pasticceria di Andreini prosegue il discorso senza interrompere, ma accompagnando fino ai saluti finali. Nessun decoro, ogni ingrediente è lì perché serve.

 

La spesa nel Mediterraneo
I fondi marini perlustrati e serviti da Ambrosino, quell’acidità che ti taglia di netto, l’umami vegetale, l’assenza di barocchismo e pur sempre la bellezza in ogni piatto: nel monocromatico, nei prestiti culturali che non sono ornamento, ma contesto, c’è un Mediterraneo che cambia pelle e si rimescola. Ci sono tracce arabe, andaluse, africane, levantine, ma nulla dell’etnico compiacente tristemente abusato. Non una cartolina, ma uno studio meticoloso per giungere a un gusto multiforme. Abbiamo assaggiato diverse proposte e il comun denominatore è nella sensazione che la proposta a tavola rappresenti la conclusione di un ragionamento partito prima, magari da un brodo, da un rito, da una verdura fermentata.

 

I nostri assaggi

Pesce bianco cotto nelle foglie di fico, alghe, salsa di pinoli e pepe

Pesce bianco cotto nelle foglie di fico, alghe, salsa di pinoli e pepe

Partiamo dall'inizio, ossia dalla cucina salata del Sustanza. Un benvenuto di grande golosità dipanato tra Danubio alle erbe, impalpabile, autosufficiente o da intingere nell’olio, poi Flan al prezzemolo, Radicchio farcito di arachidi profumate di fiori d’arancio ed infine, più di tutti, Macaron con burro e acciughe: abbinamento tra i più classici, in un involucro discreto, ma non banale, perfetto per chi vuol farsi percepire, senza togliere luce ai protagonisti della storia. A seguire, piatto dopo piatto, si dipana un gran lavoro fatto sui vegetali e sul loro potenziamento gustativo. Ci sono brodi soleras, presi in prestito dal mondo del vino e dei distillati, un affinamento che avviene attraverso il rabbocco quotidiano. È il vecchio che si rivitalizza con il nuovo, conservando sé stesso e trasformandosi costantemente. Nelle foto ci sono i nostri assaggi e c’è soprattutto la Chiajozza: uno schiaffo, un affondo tra i più rappresentativi dello chef Ambrosino: crudo di canocchia con olio al pino marittimo, gelato ai ricci di mare, polvere di carapaci ed insalata di cavolo cappuccio. Più che iodato, ben oltre il salmastro, un piatto che sprigiona potenza e, al netto di tutto, grande piacevolezza. Le Lumachine grigliate con seppie, quinto quarto di pesce, salsa agli agrumi secchi e zafferano sono servite con bottarga fatta in casa ed olio mediterraneo. Generoso in ogni senso, spicca nella moltitudine di minestre di pasta corta con fondi di pesce più e meno assortiti, molto in voga ultimamente. La proposta di Ambrosino è un pensiero a sé, ma conforta ugualmente, cucchiaiata dopo cucchiaiata. Ancora foglie, stavolta di fico, per avvolgere e cuocere il pesce bianco, con alghe, salsa di pinoli e pepe. L’agnello è cotto alla griglia con un intenso pot-pourri di spezie, olive e rucola: focus su di un animale che, insieme alla pecora, non manca mai nei menu dello chef: simbolo di ruralità mediterranea, in un sognato incontro tra le genti, tra Oriente ed Occidente. Le sue non sono mai scelte casuali, sempre attualissime e piene di speranza.

 

Tocca ad Andreini

Federico Andreini

Federico Andreini

Da questo momento parte la carrellata del pastry chef Andreini: nelle foto ci sono i nostri assaggi, tra sorbetti, risotti, insalate, gelati, semi, fermentazioni, ventate acide e salmastre colme di richiami storici, etnici. C’è anche la tumminia con il suo profumo che incrocia miele e fiori di campo, un grano duro antico che, oltre al sapore, porta con sé tutta la tenacia dei contadini siciliani. Ci risulta difficile definire Andreini "pasticcere", almeno non in senso classico. È un artigiano, un autore, quello che fa ha un senso limpidamente collegato al tutto. Un tutto chiamato Sustànza, luogo dove nulla viene mai interrotto. Ogni passaggio, dal salato al dolce, costruisce una narrazione coerente e silenziosa. C’è molta professionalità in sala, ma anche sincera allegria: consci di muoversi su sentieri impervi, ci mettono sempre il sorriso, ma sanno bene che il pensiero non va spiegato, arriverà. Al palato, prima di tutto. E poi, per chi ne ha desiderio, anche altrove. Tra le stanze di Sustànza tutto è verticale, ma non c’è oscurità. Invece c’è un’atmosfera simile alla marea: costante, si riempie, si svuota, come un cuore che batte, un corpo che respira. È qualcosa che, semplicemente, accade.

Qui una carrellata delle sue realizzazioni più recenti e significative. Spesso... commentate.

Apotropaico: ruta, aglio nero, fico in conserva, “ossa dei morti” con rosa canina e idromele montato. «Nel Mediterraneo l’autunno è tempo di passaggi: la fine dei raccolti, l’accorciarsi della luce, l’emergere della memoria dei morti. È anche la stagione in cui si intensificano pratiche di protezione contro il male invisibile, che nelle culture locali ha preso la forma del malocchio: fascinum per i Romani, jettatura in area napoletana, baskanía in greco, nazar in turco, ʿayn al-ḥasad in arabo. Ernesto De Martino, in Sud e Magia, ha mostrato come il malocchio rappresenti un dispositivo culturale che traduce vulnerabilità e invidia in un linguaggio simbolico. Non si tratta di semplice superstizione: lo “sguardo che nuoce” è un modo di dare forma a tensioni sociali, a paure di perdita, a crisi della “presenza”. Uno sguardo capace di sottrarre forza vitale e destabilizzare l’individuo e la comunità. Difendersi significava allora dotarsi di un lessico materiale e rituale che andava dal cibo agli scongiuri fino ai gesti delle mani. Si appendevano trecce d’aglio alle porte: se col tempo annerivano, significava che avevano assorbito il malocchio. E ancora amuleti in corallo, gesti come la “fica” o le corna, pani incisi: il Mediterraneo ha costruito una vera grammatica della prevenzione, in cui anche il cibo partecipa come barriera simbolica. In questa logica l’apotropaico non elimina il pericolo, ma lo devia, lo tiene a distanza, consente alla comunità di abitare la propria fragilità senza soccombere»

Apotropaico: ruta, aglio nero, fico in conserva, “ossa dei morti” con rosa canina e idromele montato. «Nel Mediterraneo l’autunno è tempo di passaggi: la fine dei raccolti, l’accorciarsi della luce, l’emergere della memoria dei morti. È anche la stagione in cui si intensificano pratiche di protezione contro il male invisibile, che nelle culture locali ha preso la forma del malocchio: fascinum per i Romani, jettatura in area napoletana, baskanía in greco, nazar in turco, ʿayn al-ḥasad in arabo. Ernesto De Martino, in Sud e Magia, ha mostrato come il malocchio rappresenti un dispositivo culturale che traduce vulnerabilità e invidia in un linguaggio simbolico. Non si tratta di semplice superstizione: lo “sguardo che nuoce” è un modo di dare forma a tensioni sociali, a paure di perdita, a crisi della “presenza”. Uno sguardo capace di sottrarre forza vitale e destabilizzare l’individuo e la comunità. Difendersi significava allora dotarsi di un lessico materiale e rituale che andava dal cibo agli scongiuri fino ai gesti delle mani. Si appendevano trecce d’aglio alle porte: se col tempo annerivano, significava che avevano assorbito il malocchio. E ancora amuleti in corallo, gesti come la “fica” o le corna, pani incisi: il Mediterraneo ha costruito una vera grammatica della prevenzione, in cui anche il cibo partecipa come barriera simbolica. In questa logica l’apotropaico non elimina il pericolo, ma lo devia, lo tiene a distanza, consente alla comunità di abitare la propria fragilità senza soccombere»

Epiméleia: petali di rosa alla brace, sedano rapa, cera d’api, brodo di colatura di melanzane, cipolla e agrumi neri

Epiméleia: petali di rosa alla brace, sedano rapa, cera d’api, brodo di colatura di melanzane, cipolla e agrumi neri

Zulema: pera alla brace, curry e vino rosso

Zulema: pera alla brace, curry e vino rosso

Iftar: «È più di un dessert: è un percorso in tre atti, un omaggio a storie e sapori lontani. Si apre con la Muhallabiya alle rose, un dolce di latte e amido, un pilastro mediorientale le cui radici affondano in influenze persiane e bizantine, portando con sé eco di antiche tradizioni. Il percorso prosegue con Ricotta di mandorle, sommacco, limone salato e cenere di agrumi, un equilibrio di contrasti che esalta la purezza degli ingredienti. Infine, l'Injera al farro monococco e ghiande, un pane fermentato tipico di Etiopia ed Eritrea e simbolo di comunità e resilienza culturale, che chiude il cerchio di questo dessert. Iftar è la nostra visione del dessert come ponte tra culture»

Iftar: «È più di un dessert: è un percorso in tre atti, un omaggio a storie e sapori lontani. Si apre con la Muhallabiya alle rose, un dolce di latte e amido, un pilastro mediorientale le cui radici affondano in influenze persiane e bizantine, portando con sé eco di antiche tradizioni. Il percorso prosegue con Ricotta di mandorle, sommacco, limone salato e cenere di agrumi, un equilibrio di contrasti che esalta la purezza degli ingredienti. Infine, l'Injera al farro monococco e ghiande, un pane fermentato tipico di Etiopia ed Eritrea e simbolo di comunità e resilienza culturale, che chiude il cerchio di questo dessert. Iftar è la nostra visione del dessert come ponte tra culture»

Mare Clausum: raviolo di erbe di costiera e mandorle, brodo di alghe, olio di pino, agresto e baharat, granita di amaro mediterraneo

Mare Clausum: raviolo di erbe di costiera e mandorle, brodo di alghe, olio di pino, agresto e baharat, granita di amaro mediterraneo

Menzognere: pane di Tumminia, inoculato col penicillium candidum, nespola fresca e fermentata, harissa con limone macerato e sorbetto al lentisco

Menzognere: pane di Tumminia, inoculato col penicillium candidum, nespola fresca e fermentata, harissa con limone macerato e sorbetto al lentisco

Ossidiana: «Un dessert che è un ponte con l'antico Mediterraneo. Qui, il "rosa mediterraneo" prende forma nel sorbetto di petali di rosa alla brace e in una riduzione di rosa canina e cera d'api. Ispirato alla pietra vulcanica, Ossidiana simboleggia la trasformazione, unendo sapori come incenso, mela, curry e miele per un tributo ai significati profondi di questo mare»

Ossidiana: «Un dessert che è un ponte con l'antico Mediterraneo. Qui, il "rosa mediterraneo" prende forma nel sorbetto di petali di rosa alla brace e in una riduzione di rosa canina e cera d'api. Ispirato alla pietra vulcanica, Ossidiana simboleggia la trasformazione, unendo sapori come incenso, mela, curry e miele per un tributo ai significati profondi di questo mare»

Sa scova santa che, in lingua sarda, è l’elicriso. La leggenda narra che una donna piangeva per i suoi bambini gravemente malati. Questo pianto dolente la condusse ad addormentarsi e sognò i suoi piccoli in salute in una stanzetta fatta di fasci di elicriso. Quando la donna si svegliò, andò a raccogliere l’elicriso e ne preparo un decotto per i bambini che, magicamente, guarirono in pochi giorni. Qui il dessert è composto da elicriso, spuma di leben, battuto di cacomela e peschiole, maggiorana, cenere di agrumi e fumo di elicriso

Sa scova santa che, in lingua sarda, è l’elicriso. La leggenda narra che una donna piangeva per i suoi bambini gravemente malati. Questo pianto dolente la condusse ad addormentarsi e sognò i suoi piccoli in salute in una stanzetta fatta di fasci di elicriso. Quando la donna si svegliò, andò a raccogliere l’elicriso e ne preparo un decotto per i bambini che, magicamente, guarirono in pochi giorni. Qui il dessert è composto da elicriso, spuma di leben, battuto di cacomela e peschiole, maggiorana, cenere di agrumi e fumo di elicriso


Dolcezze

Anticipazioni, personaggi e insegne del lato sweet del pianeta gola

Nadia Taglialatela

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Nadia Taglialatela

classe 1977. Nata ad Ischia, gli ultimi quindici anni li trascorre a Roma collaborando con le più note scuole di cucina della capitale. Esperta food&wine, collabora con riviste del settore scrivendo di ristoranti, grandi alberghi, prodotti di nicchia ed eroici produttori. Sommelier Ais, attualmente si divide tra Ischia, Napoli e Roma, sempre a caccia di nuove storie da raccontare

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