16-09-2024
Carrellata di dolci siciliani all'interno del chiostro dell'ex convento domenicano Santa Caterina d'Alessandria
Impossibile non cadere in tentazione. Impossibile non peccare. Se arrivate fino all'ex monastero domenicano di Santa Caterina d'Alessandria, alle spalle della Fontana Pretoria nel centro di Palermo, scoprirete che si può peccare (di gola) anche alle porte del paradiso. Ma non sentitevi in colpa, la lunga fila di chi vi sta precedendo in questo insolito girone dei golosi vi metterà in pace con voi stessi. Su una delle facciate del monastero c'è l'entrata della dolceria I Segreti del Chiostro, una delle espressioni più genuine del nostro made in Italy. Senza bisogno di assoldare influencer, affidarsi a campagne marketing, strateghi della comunicazione o pasticceri iridat,i questa dolceria si è conquistata non follower patacca, ma entusiasti estimatori grazie all'accuratezza e serietà delle ricerche e a una sperimentazione appassionata.
Lo strepitoso cannolo che a I Segreti del Chiostro viene farcito esclusivamente con ricotta di pecora della provincia palermitana
Quando le foto erano ancora in bianco e nero: le monache all'interno del chiostro del monastero di Santa Caterina
Questo monastero, aperto nel 1311, chiuse nel 2014 con il trasferimento delle ultime tre domenicane, suor Gesua, suor Aurora e suor Grazia, ormai anziane e di salute malferma a Rieti. Nel 2017 per volontà della Diocesi, della Soprintendenza e del FEC (Fondo edifci di culto, ndr) il monastero è stato affidato alla cooperativa sociale Pulcherrima Res che lo ha riaperto come polo museale, aggiungendo la dolceria (così la chiamavano le monache) a salvaguardia di una sapienza secolare gastronomica ormai in via di estinzione. All'interno del progetto de I Segreti del Chiostro c'è un lungo lavoro di ricerca storica e di incontri dal vivo portato avanti da Maria Oliveri, operatrice museale e tra i gestori della dolceria: per recuperare le ricette ha incontrato le monache più anziane di tutta la Sicilia, ha carpito ricordi dalle testimonianza dei famigliari, studiato appunti e testi secolari tra i quali quelli del 1700 dell'abate Giovanni Meli, che in realtà i voti non li ha mai presi: era un poeta travestito da prelato per poter mangiare le squisitezze dei conventi.
La frutta martorana è un classico della tradizione conventuale siciliana: fatta con pasta di mandorle e colorata a mano
Lo spettacolare affaccio sulla Fontana Pretoria, nel centro di Palermo, dall'alto del monastero
A Palermo nel '700 vennero censiti 21 monasteri di clausura femminile che si ridussero a due negli anni '80 del secolo scorso, il monastero di Sant’Andrea delle Vergini e quello di Santa Caterina, considerato uno dei più importanti con le religiose provenienti da nobili famiglie e invidiatissime dalle “colleghe” perchè grazie a una dispensa papale potevano uscire dalla clausura 4 volte all'anno per recarsi in campagna.
Questo monastero era molto rinomato per la produzione di dolci che «inizialmente - spiega la Oliveri - non avevano fini commerciali ma erano piuttosto un modo per ingraziarsi i favori di un confessore, di un vescovo, di un cardinale o per ringraziare il medico o un benefattore. A seconda della carica il vassoio di paste (comunemente chiamato guantiera, ndr) era più o meno grande. Ma ben presto quei dolci diventarono un mezzo per autofinanziarsi e sostenere le spese del monastero, anche se fino a oltre il dopoguerra acquistarli alla domenica restava un lusso per benestanti e quindi uno strumento di classificazione sociale. Lo zucchero era un ingrediente costoso, non tutti se lo potevano permettere. Abbondava nei monasteri e rispetto ad oggi caratterizzava in maniera molto più decisa i dolci che poi le monache vendevano attraverso una ruota di metallo, l'unico strumento per avere un contatto con l'esterno. Non era domenica senza i dolci delle monache».
Le minni di vergini definite "paste impudiche" da Giuseppe Tomasi di Lampedusa nel Gattopardo
Maria porta lo stesso nome della nonna che fin da bambina l'ha coinvolta nella preparazione dei dolci tradizionali. E alla maniera delle monache non mancavano mai i buccellatini nel periodo natalizio, i pupi con l'uovo (biscotti di pasta frolla a forma di colomba con un uovo sodo al centro, ndr) a Pasqua, la martorana (riproduzione reale di frutta con pasta di mandorle e colorata a mano, ndr) per i morti, i biscotti duri da inzuppare per san Martino. E poi ancora cassate, cassatelle, genovesi (dolci di pasta frolla ripieni di crema e cotti al forno, ndr). Un patrimonio straordinario che si stava perdendo in una società in corsa verso un'altra direzione. «Me ne sono accorta con mia mamma - spiega Maria -. Il '68 aveva spinto le donne ad allontanarsi da tutto quello che le poteva identificare nel ruolo di casalinghe. E così se prima la cucina era uno spazio di realizzazione, poi diventa una gabbia da cui fuggire. Il risultato? In famiglia io sapevo fare i dolci e lei no. Ho iniziato presto a sentire l'orgoglio di tenere in vita una memoria dolce che rischiava di scomparire. Per sempre».
Le fedde del cancelliere, conchiglie di pasta di mandorle ripiena di crema di latte e marmellata di albicocche
Maria Oliveri spiega come il lungo percorso che l'ha portata a dar vita alla dolceria si è trasformato anche in un libro (I Segreti del Chiostro, ed. Il Genio, 14 euro) che ripercorre non solo la storia dei monasteri femminili ma fornisce anche un ricettario per replicare a casa in versione originale i dolci della tradizione, con tanto di ingredienti, dosi precise, fasi di lavorazione. «Non volevo che quei dolci– spiega - restassero miei ma diventassero di tutti. Per riuscirci ho fatto moltissimi esperimenti a casa, aiutata dal palato allenato di mio marito Ferruccio. Di cosa vado più fiera? Di essermi fatta svelare al monastero delle Vergini da suor Giuseppina, 92 anni, la segretessima ricetta della torta Trionfo di gola che il web diffondeva in modo sbagliato. Sono felice perché oggi le pasticcerie hanno ripreso a fare dolci dimenticati da oltre 100 anni e le signore mi mandano le foto di quelli preparati da loro a casa..».
Le genovesi sfornate e servite ancora calde, dopo una spolverata di zucchero
Oggi il laboratorio de I Segreti del Chiostro dà lavoro a una decina di persone, in prevalenza donne e giovani che svolgono qui il servizio civile. «Abbiamo due pasticceri – spiega Maria - a cui abbiamo dovuto insegnare tutto perchè quei dolci erano sconosciuti anche a loro. E poi ci sono pure Patrizia e Giusy, mamme che per l'età non speravano più di rientrare nel mondo del lavoro e invece non solo ci sono riuscite, ma hanno riconquistato fiducia e indipendenza economica».
Il laboratorio ha recuperato dolci di cui si era persa l'esistenza come le fedde (natiche, ndr) del cancelliere (una conchiglia di pasta di mandorle ripiena di crema di latte e marmellata di albicocche, ndr), le minni di vergini (pasticcini di pasta frolla definite nel Gattopardo le impudiche paste delle Vergini per la loro forma che richiama le mammelle) o i miliddi (biscotti di pane, semplici e digeribili, adatti a bambini e malati), ma il più venduto resta il cannolo: ne vengono realizzati circa 4 mila alla settimana ma non sempre bastano a soddisfare le richieste. «Li prepariamo rigorosamente secondo la ricetta delle monache – sottolinea Maria -, non ci siamo adeguati alla moda imperante che vuole variazioni al pistacchio o al cioccolato. Usiamo solo ricotta di pecora della nostra provincia, la cialda è fritta nello strutto e ogni cannolo è farcito al momento per mantenerne la croccantezza. Chi sceglie i nostri cannoli dice sempre che sono i più grandi della città ed è sempre stato così anche per le monache che, nonostante i vincoli di digiuni e astinenze, erano golose, soprattutto di cioccolata: dai famigliari ne ricevevano in regalo persino un chilo e mezzo a testa». Oggi come ieri l'intrusione della tecnologia in laboratorio è limitata a una sfogliatrice, a un'impastatrice, a un minipimer ad immersione e a poco altro, mentre è ancora visibile (e funzionante) il forno a legna sostituito negli anni Sessanta da quello a gas.
Il libro di Maria Oliveri, operatrice museale e tra i gestori de I Segreti del Chiostro, racconta storie e ricette dei monasteri di Palermo
In laboratorio non si utilizzano conservanti e si fa tutto senza ricorrere a semilavorati: pan di spagna, frolle, persino la farina ricavata dalle mandorle, è preparato artigianalmente. «Non tradiamo lo spirito delle monache – racconta la Oliveri – che con cura maniacale cercavano il meglio e sempre bio. La spesa veniva ordinata sempre allo stesso ortolano, fruttivendolo, macellaio... e toccava alla suora dispensiera tenere la cucina sotto controllo, operando tutti gli accorgimenti per risparmiare. Non si sprecava nulla e si si utilizzavano i propri limoni, arance, pesche, nespole che diventavano alleati preziosi nella preparazione dei dolci».
Le monache nel 1800 erano infaticabili, per rispettare tutte le ordinazioni in cucina facevano l'alba e pagavano persone per impastare fino a 40 chili alla volta di dolci. La cucina era spartana ma dotata di ogni utensile: rotelle dentate, stampini in gesso o legno, formelle in terracotta, il bilancino con i pesi, i mortai... A Santa Caterina sono conservati anche i mattarelli con tante scanalature da passare sulla sfoglia stesa e persino le canne per friggere i cannoli ancora unte dopo secoli di inutilizzo. Poi qualche innovazione è arrivata, negli anni '50-60 è comparso il lievito Bertolini e negli ultimi anni di apertura del convento si è ricorsi addirittura alla planetaria. Ma con il trascorrere degli anni quei dolci diventarono sempre più difficili da piazzare, stritolati dalla concorrenza delle pasticcerie. Per il monastero di Santa Caterina il colpo di grazia è stato... tecnologico: le monache nel 1986 smisero l'attività di vendita perché, complice l'età avanzata, non riuscivano a gestire i registratori di cassa appena introdotti. Da quel momento i loro dolci si limitarono a far felici i famigliari e le studentesse del convitto. Ma i loro insegnamenti resistono all'usura dei tempi e, siamo certi, che a I Segreti del Chiostro un peccato di gola lo avrebbero commesso volentieri anche loro.
La cassata fredda, un'opera d'arte da gustare anche con gli occhi
Anticipazioni, personaggi e insegne del lato sweet del pianeta gola
di
giornalista professionista, nata in un'annata di vino buono. Ha spaziato in ogni settore, dallo sport alla politica perché far volare in alto la curiosità è il sistema migliore per non annoiare e non annoiarsi. Non ha nessuna allergia né preconcetto alimentare, quindi fatele assaggiare di tutto. E se volete renderla felice, leggete il suo libro di fotostorie, Il tempo di uno sguardo