segue dalla prima parte
Tra la prima cena organizzata al Ristorante Gaia, executive chef Paolo Monti, chef Paolo Morresi, e la seconda tappa al ristorante The Dining Room dell’esclusivissimo Aberdeen Marina Club gestito dall’executive chef Laurent Varachaud, coadiuvato dallo chef Ryan Crawford, abbiamo avuto una giornata libera per respirare la vera aria del “porto profumato” e vedere qualche posto particolare.

Pera al vin brulé, crema di nocciola delle Langhe, mousse di cioccolato bianco e wasabi, erba cedrina, germogli di pisello e tartufo bianco d’alba, piatto presentato da Eugenio Boer nelle cene asiatiche
Conosciuto quasi esclusivamente dai
locals ma consigliato dagli amici
jet-gourmetter Gianmaria e
Valentina, abbiamo iniziato con un pranzo da
YinYang, un indirizzo atipico di cucina tradizionale con metodi ancestrali ma creativi, i cui prodotti provengono tutti da un’
organic farm certificata nelle campagne dei
New Territories. Invece a cena abbiamo potuto godere dell’ospitalità dello chef
Pino Lavarra nel suo
Tosca, al 102esimo piano del grattacielo più alto di Hong Kong, quello dell’hotel Ritz-Carlton, la vista più mozzafiato dell’intero tour e un’impronta ben definita di cucina al cui centro si trova la materia fisica, che incentrata sulla ricerca, assume la forma di un complesso intreccio di diverse componenti. E per finire un passaggio all’ultimo piano nell’
Ozone bar, una terrazza aperta, a quanto pare il bar più alto del mondo.
La mattina dopo partenza per Macau, la fabbrica dei divertimenti. L’isola di Taipa in cui siamo stati è una piccola Las Vegas. Già arrivando in aliscafo il cellulare è bombardato da messaggi di promozione dei vari casinò. Lo skyline è costituito di grattaceli dai mille colori su cui svetta nell’isola di Taipa l’Altira nel cui pluripremiato ristorante Aurora ci hanno ospitati e seguiti l’executive chef Michele dell’Aquila e lo chef Koji Miyazato per l’ultimo evento del tour.

Insalata con tuorlo d'uovo marinato con perlage di tartufo e caviale di Christian Milone
Certo non sarà facile dimenticare tutte le persone che abbiamo conosciuto, le cose che abbiamo imparato la grande professionalità e quella immediata e palpabile sensazione di affiatamento che si percepisce all’interno delle cucine in cui siamo stati ma che dall’esterno come cliente si fatica a immaginare. In questi giorni da
insider quello che ho visto è un’unione di intenti, gesti naturali, condivisi da persone che hanno scelto lo stesso mestiere e che ogni giorno si battono per far capire a chiunque decida di porre loro la domanda, che essere uno chef è prima di tutto essere un cuoco, stare ai fornelli, coordinare un team internazionale, e fare miracoli per arrivare al
break even senza mai mettere in secondo piano qualità e rispetto con grande professionalità e senza compromessi.
Le luci della ribalta sono solo un machiavellico mezzo per un fine, quello di far capire l’importanza della cucina vera e del meticoloso lavoro sia fisico che mentale che sta dietro. Questo è il punto di vista di una persona che nella vita fa altro, che ha visitato tanti posti, che ha vissuto anni all’estero e che per varie ragioni ha avuto l’onore di conoscere tanti professionisti della ristorazione al di qua ed al di là del pass.

La Schiuma di patate, anguilla affumicata, caviale di tartufo e tartufo bianco di Giuseppe Iannotti
Giovani chef italiani e non, emigrati e non, accomunati da capacità e passione uniti nello stesso luogo per un momento dall’ingegnosità di
Paolo Montanaro, un altro italiano che si è votato a far conoscere il vero tartufo bianco D’Alba nel mondo e da
Mosun Abrate, italiana di adozione. Condividere idee e sforzi, dando prova di impegno, ingegno e capacità per poter fare un vanto della propria italianità all’estero (una vera eccezione alla visione di
Frank Bruni), in cui la percezione della ricchezza di questo meraviglioso paese non è ancora stata intaccata.
2. fine