Tre giorni di sole e tepore primaverile hanno orlato a Parigi la 3 giorni di Cultural, Festival di Cultura Alimentare giunto alla quarta edizione. Aggettivo non esplicitato nella headline: cultura “italiana” giacché le masterclass del Bastille Design Center, a due passi dal Marais, erano firmate al 90% da cuochi, pizzaioli e pasticcieri che operano sotto le Alpi.
E il restante 10% esprimeva anch’esso un profondo timbro tricolore. Come quello impresso dal funambolo brasiliano Mauricio Zillo, da un anno mezzo nella Ville Lumiere dopo un fondamentale apprendistato al Rebelot di Milano («Mi mancate», ci ha rassicurato «penso che tornerò»). O Christophe Santaigne, solido bistrottaro parigino che ha annullato con un piatto di trippa le distanze geografiche che separano la Sicilia dalla nativa Normandia.
O ancora, l’antipasta del colombiano di Roma Roy Caceres, zuppa di pesce disidratata fatta a tagliatella, una laboriosa esplorazione del principio futurista-marinettiano che rigettava la pasta. O, in apertura del Festival, i ricchi giri d’olio extravergine nel piatto del parigino Bruno Verjus di Table, un mezzo sacrilegio nella Ville Lumière allevata a burri e fondi.

Corrado Assenza, professionista di punta nella 3 giorni parigina
La cucina italiana tira più che mai, insomma. Ma non basta perché occorre comunicare, comunicare e comunicare. Ai media francesi, soprattutto, ma anche ai buyer, latitanti. E sforzarsi di tenere la barra sempre dritta, evitando di prolungare facili stereotipi (tipo: «basilico, mozzarella, pomodoro, bianco-rosso-verde, viva l’Italia») che hanno dilagato nei decenni, diffondendo nei cinque continenti una foto che non ritrae per nulla lo stato attuale delle cose. E bisogna concentrarsi sempre e più di tutto sulla valorizzazione delle idee dei cuochi, in ombra a
Cultural per gli intoppi organizzativi e logistici.
Che non ci hanno impedito di ascoltare religiosamente i precetti di
Corrado Assenza, pasticciere in
Noto, Sicilia, vera guest star della rassegna parigina: al bando semilavorati e addensanti vari e sì sempre e solo alle dolcezze naturali e alle suggestioni che arrivano dal Mediterraneo tutto - non solo quello dell'Occidente. Tutti concetti concretizzati in due assaggi che hanno rapito la platea, attratta da un’idea di pasticceria antipodale alle geometrie sfoggiate dalle vetrine della città.

Peppe Guida, Mauro Bochicchio, Eugenio Boer, Christian e Manuel Costardi, Vitantonio Lombardo, Roberto Petza e Antonio Biafora (foto Marco Varoli)
Abbiamo poi assaggiato i gusti prepotenti dello Spaghetto cotto in acqua di limone e provolone del
vicano Peppe Guida, l'ormai iconico Risotto al pomodoro dei
Costardi, l'esplosivo Cibreo di
Eugenio Boer, l'eleganza mare/terra di
Roberto Petza, la
struncatura rimossa dal dimenticatoio di
Antonio Biafora, la verve di
Michele Farnesi, toscano di casa a
Parigi. Abbiamo ascoltato attenti le trame di
Oro e oro del
calabrese Nino Rossi, ancora pomodoro e olio, pilastri della nostra cucina. Ci siamo instradati nel binario del chilometro buono di
Cristoforo Trapani, napoletano di stanza in
Toscana che fa di necessità virtù «Se trovo una materia prima buona a mille chilometri di distanza, non vedo perché io non la debba rincorrere».
Su un punto, gli italiani che sviluppavano concetti vicino alla Bastiglia, sembravano concordare: «Semplicità non vuol dire facile». Lo hanno spiegato con grande efficacia, tra gli altri, due pizzaioli,
Gennaro Nasti e un secondo
Gennaro,
Battiloro, altro napoletano che ha chiesto asilo politico nel
Tirreno più nord: impastare, ha spiegato molto bene, non è un gesto meccanico da replicare con alienazione, ma una somma di gesti responsabili, che chiamano un’attenzione non inferiore a quella con cui si selezionano farine e ingredienti di ogni topping.

Antonio Biafora, Nino Rossi e Roberto Petza
Non sono mancati, infine, momenti di festa e cordoglio. Le celebrazioni erano tutte alla fine delle due cene di gala organizzate da
Mauro Bochicchio da
Flow, un bateau-mouche arenato sulla Senna all’altezza del magnifico Pont des Invalides, con la Tour Eiffel che puntava i suoi fasci di luce sulla sinistra. Le due squadre di grandi cuochi italiani hanno fatto al solito un figurone, sostenendosi l’un l’altro in cucine di fortuna. Encomiabili, applauditissimi.
Il velo di malinconia è calato al turno delle masterclass di
Angelo Sabatelli e
Christian e
Manuel Costardi. «Dedichiamo le nostre lezioni a
Bob Noto», hanno spiegato commossi, «un signore che col suo talento ha contribuito in modo importante alla crescita nostra e di tutto il sistema».