20-03-2016
Il Pujol di Enrique Olvera, a Città del Messico, è considerato uno dei migliori ristoranti del mondo, al numero 9 nella 50 Best dell'America Latina, numero 16 nella 50 Best mondiale. Gabriele Boffa, già a Identità Expo, vi sta concludendo uno stage. Gli abbiamo chiesto di raccontarci le sue impressioni su una tradizione culinaria così diversa
La cucina e i viaggi sono imprescindibilmente connessi tra loro: presuppongono conoscenza, ricerca, curiosità. Partire significa mettere in discussione il già noto, regalarsi uno di quei momenti magici in cui ci si trova a riflettere su quello che si sta facendo, per poi rendersi conto delle mille possibilità alternative: una consapevolezza che deriva proprio dal confronto con gli altri. Quando un cuoco, quale io sono e voglio essere, decide di prendere un aereo e vivere un’esperienza all’estero, dà voce alla propria voglia di superare confini anche mentali. E’ la forza della libertà, per riprendere il tema di Identità Milano. Quando due cucine s’incontrano o si scontrano, indipendentemente da quali siano e da che prodotti utilizzino, finiscono coll’influenzarsi a vicenda, anche se una delle due è ben più nota e celebrata, persino arrogante.
Sono in Messico da alcuni mesi, per uno stage al Pujol, dal grande Enrique Olvera; vi resterò ancora qualche settimana. Ho quindi avuto il tempo di capire quanto l’Italia gastronomica deve alla tradizione che, in questo periodo, ho imparato a conoscere e apprezzare. Certo, il primo riferimento possibile è facile: il pomodoro, importato in Europa dallo spagnolo Hernán Cortés nel 1540.
Boffa & friends
Sono sicuramente rimasto impressionato dai tanti tipi di frutta e verdura che non esistono nel nostro Paese, ma che però rimandano ad aromi simili, tali per cui possono rientrare nei nostri parametri culinari, ci si può lavorare sopra. E’ stata un’emozione poterli assaggiare e sentirsi come un neonato che scopre sapori mai provati prima, anche se magari non immediatamente graditi al palato.
E’ pazzesca la varietà di peperoncini che si trova in Messico, più di 60 varietà, ognuna con caratteristiche e aromi specifici; si rimane sorpresi nel vedere come, miscelati nella maniera giusta, possano creare sapori straordinari. Per di più ognuno di essi può essere lavorato differentemente (fritto, bollito, tostato in forno) e questo moltiplica ulteriormente le tante combinazioni gustative a disposizione nel risultato finale di una salsa.
Un altro ingrediente fantastico - che sempre dobbiamo agli aztechi - è il mais, ve ne sono più di 80 varietà, con colori differenti. Ha innumerevoli possibilità di lavorazione ed è onnipresente nella cucina messicana, dalla tortillas alla tostada, dalla gordita alla tlayuda e così via. Viene consumato intero, bollito oppure grigliato. L’impasto per la tortillas e tutti i derivati viene realizzato, ed ho la fortuna di poter assistere ogni giorno al Pujol a questo fantastico processo, tramite una tecnica che si chiama nixtamalizzazione: il chicco del mais è lavorato in acqua bollente con calce viva; qui il cuoce, però rimane intero e non si rompe grazie all’alcalinità dell’acqua che crea una sorta di crosta intorno al chicco stesso. Il tutto viene poi passato al mulino, vi si ricava una pasta che è la base di un infinità di preparazioni.
Piatti di chapulines
Recensioni, segnalazioni e tendenze dai quattro angoli del pianeta, firmate da tutti gli autori legati a Identità Golose
a cura di
Piemontese, classe 1987, dalla primavera 2017 chef del Castello di Guarene (Cuneo), dal 2018 alla Locanda del Sant'Uffizio. Ha lavorato per 6 mesi nelle cucine di Identità Expo, al fianco di Andrea Ribaldone