03-12-2014

Non solo Romito

Meet in Cucina: l'Abruzzo che scalpita dietro all'esempio di Niko. La cronaca della giornata

Foto di gruppo per i relatori di Meet in Cucina, m

Foto di gruppo per i relatori di Meet in Cucina, meeting di chef abruzzesi che ha avuto luogo lunedì scorso a Chieti. Da sinistra a destra, Nicola Fossaceca, Andrea Di Felice (Unione Cuochi Abruzzo), Leo Giacomucci (decano dell'Associazione Cuochi Pescara), Mattia e Marcello Spadone, il curatore del meeting Massimo Di Cintio, Niko Romito, l'ospite illustre Pino Cuttaia, Lorenzo Pace, Matteo Iannaccone, Arcangelo Tinari, William Zonfa  (foto Poesia Ritratto)

Ha montato il grandangolo sul corpo macchina della gastronomia abruzzese, l’organizzatore Massimo Di Cintio, che ha voluto evidenziare il cordone ombelicale con il congresso di Identità Golose e il suo organizzatore Paolo Marchi, citato a più riprese sul palco. “Contaminarsi per capire” è stato infatti il motto, estrapolato da XXL, di una giornata intensissima e assai partecipata, destinata a segnare un prima e un dopo nella ristorazione regionale.

Non più periferia di qualche impero, e nemmeno palcoscenico di one man show. La nuova generazione dei cuochi abruzzesi straborda dal cono d’ombra di sua maestà Niko Romito: 5 giovani stelle selezionate con la Michelin in mano, che qui, contrariamente ad altre zone, non sembra aver commesso ingiustizie palmari. Ciascuna rilucente di personalità propria, nessuna transitata per gli spogliatoi del Reale, tutte impegnate in un’orbita originale.

Ad accomunarle la struggenza della nostalgia, tema dominante dell’evento, quella ricordanza dove “la sensazione presente non deriva immediatamente dalle cose, non è un’immagine degli oggetti, ma della immagine fanciullesca”, per dirla con Leopardi, sempre svolta con acribia tecnica e rigore concettuale. Ma in platea si sono accomodati professionisti provenienti da tutto il centro Italia (probabile antipasto di manifestazioni a venire nelle regioni confinanti), coinvolti in una simpatica lotteria di menu degustazione da gustare presso i relatori, al fine di incentivare lo scambio.

FARO. Niko Romito, 3 stelle Michelin al Reale-Casadonna di Castel di Sangro (Aq)

FARO. Niko Romito, 3 stelle Michelin al Reale-Casadonna di Castel di Sangro (Aq)

Innegabile in ogni caso l’effetto Romito, un terremoto che da queste parti ha costruito, piuttosto che distruggere, contribuendo a colmare il gap con le capitali gastronomiche internazionali. “Ѐ successo, ed è successo”, ha esordito Niko sul palco, emozionato per lo scambio in atto. Al centro del suo intervento il processo di creazione delle ricette, che partono sempre dalla maternità di una materia, su cui lo chef tenta talvolta per mesi diversi tipi di lavorazione, fino a scoprirne personalità inconsuete che possano esprimersi per via di monologo, senza il sottofondo di altre voci moleste.

Si compie così il passaggio dalla superficialità (l’iniziale estraneità del cuoco) alla profondità dello studio, fino alla “super-superficialità” di piatti universali. Spesso attraverso un lavoro di stratificazione, esemplificato dalla Melanzana glassata con succo di melanzana iniettata di olio al basilico; dallo Scampo proposto in tagliatella con l’albumina al posto delle uova, ravioli agli agrumi e “cocktail” di scampi con maionese di teste; dalla Mandorla in tortellini con brodo affumicato o in marinatura del vitello. “Il cuoco si deve togliere dall’equazione gastronomica”, ha concluso delineando una cucina lunare, intimista, silenziosa. Puristica secondo i trend dominanti eppure del tutto personale.

Dal canto suo Matteo Iannaccone del pescarese Cafè Les Paillotes non si è fatto intimidire. Fra gli allievi più eminenti di Heinz Beck (ma ha fiancheggiato anche Perbellini e Ducasse), applica il suo elegante paradigma culinario ai giacimenti abruzzesi, cominciando dalla pasta, nonostante le origini campane. Ecco allora i fagottelli di carbonara, dove il condimento passa dall’esterno all’interno, secondo uno schema di elBulli; seguiti dalla pasta mista, piatto “cafone” e casareccio adagiato su una nuvola onirica di spuma alle patate.

GENERAZIONI. Pascal e Arcangelo Tinari, Villa Maiella a Guardiagrele (Chieti)

GENERAZIONI. Pascal e Arcangelo Tinari, Villa Maiella a Guardiagrele (Chieti)

Meno accademico e più neorurale, ma altrettanto evoluto e riflessivo, lo stile di William Zonfa della Magione Papale, che ha eletto a tema del suo intervento la carne. Per cominciare la battuta di manzo (o meglio tartara) con cialda di tuorlo e ingredienti di rito, la cui consistenza imita una carne cotta, mentre la forma esprime una pulsione geometrizzante alla Thierry Marx, che finisce per evocare un covone di fieno sui campi. Oppure il castrato, crasi di due specialità regionali, il ragù della domenica e la grigliata estiva, dove il parallelepipedo di brasato è avvolto in un foglio di carne e pomodoro.

Ma se il confronto è l’altro sale della cucina, c’è stato posto anche per un papa straniero: Pino Cuttaia de La Madia di Licata che ha incendiato il congresso con nuove scintille di memoria. “Fra l’artista e l’artigiano si pone la figura cardine della maestranza: noi cuochi cresciamo insieme agli ingredienti, che consideriamo di volta in volta diversamente, e siamo sempre incinti”, ha esordito. Lo hanno testimoniato la mozzarella in trompe-l’oeil (in realtà brasiana peau de lait ripiena di spuma); la finta pizza di merluzzo affumicato alla pigna, memore della pizzaiola della mamma, che la spuma di patata trasforma in monocromo; il paesaggio marino del polpo con lo scoglio di acqua di polpo croccante (sifonata al microonde, secondo una tecnica bulliana applicata all’usanza sicula di bere il brodo di cottura); il capocollo nuovamente illusionistico ma per nulla esibito, glassato non con un lucido sugo d’arrosto ma col fondo di cottura di acqua di pomodoro, altrettanto caramellato e acidulo.

Brezze di Spagna, dopo le quali è spirato sul palco un profumo di Pescatore. Promanava dai piatti di Peppino e Arcangelo Tinari di Villa Maiella, genealogia fra le più solide della scena italiana, evolutasi senza soluzioni di continuità dalla fiaschetteria dei nonni all’alta ristorazione attuale. Reduce da uno stage a Laguiole, da Michel Bras, il Tinari junior si è rivelato capace di innesti sorprendenti. Come quando ha applicato una marinatura pressurizzata nel sifone alle superbe carni del suino nero, di cui la casa vanta il totale controllo di filiera, in modo da evitare lo sfinimento organolettico delle basse temperature. Una lavorazione from scratch, dal coltellaccio infilzato nella mezzena alla rosolatura nel “burro” di lardo fuso agli agrumi, fino alle strisciate di purè di zucca sul piatto.

L'interesse della sala

L'interesse della sala

E ancora Nicola Fossaceca di Al Metro, fra i giovani chef più quotati del panorama nazionale, che ha portato sul palco una sola ricetta, epitome di una cucina che ha definito “frenetica”, fatta di cotture velocissime e accostamenti aromatici fulminanti, praticamente priva di grassi aggiunti. Nella fattispecie la triglia rassodata nel sale e marinata con zucchero di canna e aceto di mele, poi bruciata al cannello, accompagnata da diverse salse evocative dell’Oriente (l’ostrica frullata, l’agrodolce di aceti, mosto e colatura di alici) e dal proliferare delle erbe spontanee raccolte attorno al ristorante. Pungenti, balsamiche, ittiche. Con un ricordo di carpione attraverso i continenti.

In chiusura la classe della famiglia Spadone del ristorante La Bandiera, ormai una certezza dei gourmet. Marcello e il giovane Mattia hanno scelto di chiudere il menu della giornata con due dessert leggeri nelle calorie e nelle ispirazioni, contraddistinti da una freschezza tutta energia e grinta. Per cominciare la bolla di mele e mele cotogne, sulla falsariga dello zucchero soffiato ripescato da Jordi Roca nel Lete della pasticceria classica. In questo caso farcita di gelato di frutti affumicati e spuma di yogurt, in omaggio al Celler, dove Mattia ha compiuto uno stage decisivo. E poi il cannolo croccante di pasta sigaretta con cachi, ricotta di pecora, miele e pane croccante all’olio, funambolismo fra le nuvole dei gusti e delle testure.


Dall'Italia

Recensioni, segnalazioni e tendenze dal Buonpaese, firmate da tutti gli autori legati a Identità Golose

a cura di

Alessandra Meldolesi

Umbra di Perugia con residenza a Bologna, è giornalista e scrittrice di cucina. Tra i numeri volumi tradotti e curati, spicca "6, autoritratto della Cucina Italiana d’Avanguardia" per Cucina & Vini

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