19-10-2024
Sua maestà, la Bomba di piccione, prima del taglio: un piccolo grande capolavoro di Ostreria Fratelli Pavesi, indirizzo goloso a Gariga di Podenzano (Piacenza)
“Andiamo a pranzo all’Ostreria Fratelli Pavesi?”
“Sì, a patto di ordinare la Bomba di piccione”.
Ma cos’è?
È una rielaborazione della tradizione: l’idea nasce riprendendo il ricettario della famiglia di Giuseppe Verdi, prevedeva una “bomba” con meno crosta e un riso quasi bollito. Oggi è un’esplosione vera: intingolo di piccione brasato con vino rosso, porcini e battuto di verdure che diventa il cuore di un risotto alla parmigiana racchiuso in una crosta croccante al burro e pan grattato.
Nel cuore della Bomba
La descrive così il nostro Carlo Passera (potete leggerne qui), dopo un assaggio rubato in occasione della quarta edizione dell’evento Roots of Excellence, in Alta Badia. Una cupola di riso, scrigno di un piccione carnoso, umido, così ben condito; il palato che viene continuamente stuzzicato dall’alternarsi delle consistenze, vinto da quella crosticina abbrustolita, croccante e da un cuore fumante. Un piccolo capolavoro da condividere, presente quasi su ogni tavola dei tanti pellegrini adoranti che giungono all’insegna di Podenzano, in provincia di Piacenza per godersela.
Ma guai a fermarsi solo a questo boccone, perché son tante le delizie che rendono l’Ostreria una tappa obbligata per quanti sono affezionati a una cucina profondamente materica, ragionata al millimetro, in grado di rendere l’ingrediente il baluardo sul quale costruire una fortezza di gusto. E non è tutto, perché l’Ostreria Fratelli Pavesi è anche meta di un’accoglienza lodevole e vi spieghiamo perché.
La Faggiola, la cornice che ospita l'Ostreria Fratelli Pavesi
Senza canovaccio, a mano libera, a misura del luogo e della sostanza nei piatti. Una maniera di ospitare, tale da rammentarci la pluralità di sfumature individuabili nell’universo sala, che passa inevitabilmente per l’individualità delle persone. La loro identità, infatti, entra a servizio di un mestiere; la singola cultura gastronomica diventa un cibo succulento da proporre al cliente, che prima ancora di assaggiare, può assaporare nelle parole e nei gesti la consistenza di quel che poi coglierà al palato. Eppure tutto questo non fa parte di una narrazione, di quel che troppo generalmente viene indicato come “story telling”, ma fa parte piuttosto di un leggero ed efficace “processo” educativo alla buona tavola italiana. Per cui il ristorante può diventare luogo culturale, proprio quando dimentica di esserlo perché è innata la ricerca della naturalezza, di persone che non separano mai etica e qualità, di ingredienti che abbiano una propria connotazione stagionale, e allora poco importa la storia del contadino che ogni giorno consegna a mano le verdure del suo orto, perché è il sapore stesso degli ingredienti a suggerirlo, l’integrità degli quegli ortaggi che compongono una giardiniera dalle mille e una notte, ulteriore presenza pressoché immancabile sulle tovaglie dell’Osteria.
I fratelli Pavesi in uno scatto di Andrea Di Lorenzo
Ma cosa vuol dire esattamente essere osteria? La risposta ci giunge direttamente da Giacomo Pavesi - fondatore del progetto assieme ai suoi fratelli Camillo e Giuseppe - ed è, almeno apparentemente, semplice.
«Far star bene tutti». È questa la formula… Ma con la consapevolezza di non poter piacere alla totalità degli ospiti. Far star bene tutti e, quindi, anche i propri dipendenti: «Qui da Ostreria – commenta Giacomo - abbiamo una bella squadra, che lavora in maniera estremamente professionale, ma spontanea; persone positive, nonostante il nostro non sia un lavoro leggero».
Essere osteria vuol dire lavorare con aziende serie, virtuose, di persone buone che non possono che proporre un’altrettanta ottima materia prima. Aziende che tendono a figurare sempre meno nella descrizione dei piatti in menu, una forma di narrazione forzata quando a garantire c’è innanzitutto il gusto, ma soprattutto chi ha scelto di “adottare” quelle singole realtà: l’osteria stessa. «Piuttosto preferiamo menzionare tutte quelle aziende che hanno bisogno di supporto e di essere conosciute», precisa Giacomo.
Una materia prima sulla quale non sono ammessi sconti qualitativamente parlando e, di conseguenza, le va attribuito il giusto valore, giustificando uno scontrino medio non proprio basso. E non è l’unica motivazione: «Un posto che propone prodotti eccellenti e che paga adeguatamente i propri dipendenti non potrà mai avere uno scontrino da poco – precisa Giacomo -. Non solo. Stiamo investendo tanto sulla carta vini, perché oggi si possono stappare grandi bottiglie anche in osteria, il che, inevitabilmente, fa salire la spesa pro-capite». Molto dipende dal soggetto al quale l’osteria si rivolge e al tipo di ristorazione che decide di proporre, perché non tutte le osterie ragionano alla stessa maniera.
Pluma di maiale allevato allo stato brado servito con radicchio e porro fondente: impiattamento essenziale, cottura centrata (quanto è succoso questo maiale) e un porro dolce che si alterna all'amaro leggero del radicchio
La materia prima al centro, certo: ma anche le cotture, la conservazione, lo stoccaggio, l’impiattamento. Innovarsi, tenersi al passo con i tempi, ma fino a un certo punto. Altrettanto importante, infatti, è offrire “stabilità” alla propria carta, come ci spiega l’oste: «È giusto migliorarsi, ragionare sulle cotture, sulle frollature, aggiornare i menu tenendo conto della stagionalità dei vegetali e delle ricette. Ma non è necessario innovarsi continuamente. Faccio un esempio. Il plin di Ugo Alciati. È uno dei primi piatti più buoni di sempre, eppure la ricetta è rimasta pressoché invariata negli ultimi 40 anni. Certo sono stati apportati piccoli accorgimenti per renderla ancora più deliziosa, ma il plin, dopotutto, resta sempre il plin». Come in Ostreria una tagliatella resterà sempre una tagliatella. Dopotutto anche questa è una forma di accoglienza: offrire certezze.
E ora la nostra fotogallery con le delizie assaporate in un pranzo alla tavola dell'Ostreria.
Insalata di nervetti
Cervella di vitello fritte con spinaci freschi di Filippo Zoni e scorza di limone Una panatura importante, asciutta, è la "parete" da aggredire prima di affondare il morso nelle cervella, quasi spumose, lattee, delicate, da alternare a un boccone di spinaci, mente a poco a poco la scorza di limone rinfresca e prepara al prossimo boccone
Tagliolino fresco ai funghi porcini: necessità di stagione. Fuori carta
Il plin di coniglio con animelle saltate al Madeira Barbeito, timo fresco e olive taggiasche
Finale: ricco Gelato alla crema con gocce d'aceto balsamico e crumble al cacao
Last but not least: da qualche settimana Ostreria Fratelli Pavesi approda a Milano con il suo nuovo progetto Totost. Il pane è quello del maestro Davide Longoni, a "tutto quello che c'è dentro" ci pensa Giacomo assieme alla grande famiglia di Ostreria. Il resto è da scoprire morso dopo morso da Sidewalk Kitchen in Via Bonvesin de la Riva 3 a Milano.
Recensioni, segnalazioni e tendenze dal Buonpaese, firmate da tutti gli autori legati a Identità Golose
di
Classe 1991. Irpina. Si laurea in Lingue e poi in Studi Internazionali, ma segue il cuore e nella New Forest (Regno Unito) nasce il suo amore per l'hospitality. Quello per il cibo era acceso da sempre. Dopo aver curato l'accoglienza di Identità Golose Milano, oggi è narratrice di sapori per Identità Golose. Isa viaggia, assaggia. Tiene vive le sue sensazioni attraverso le parole.
L'evento A piedi nudi nel parco, che si è tenuto a Rivergaro (Piacenza), sul lungo-Trebbia. Tutte le foto sono di Barbara Bellocchio
Lo chef Matteo Merletti - Foto AC