12-08-2023

Il rispetto della materia secondo Alberto Toè, chef del ristorante Horto, a Milano

Usare la parola "sostenibilità" si può, purché lo si faccia con una consapevolezza maturata sul campo, imparando a conoscere i cicli naturali: ce lo spiega chi è al timone del progetto milanese firmato Norbert Niederkofler

Alberto Toè, executive chef del ristorante Horto,

Alberto Toè, executive chef del ristorante Horto, a Milano

 

Ph. credits/ Christian Bazzo

Ogni giorno Alberto attraversa la città in bici, passa per Parco Sempione e specie di questi tempi quando si svuota, Milano inizia anche a piacergli. Non che non l’apprezzi, ma non si vive come in un piccolo paese dove il tempo scorre più lento. È un luogo, però dove tutto può accadere, come veder nascere sul ciglio della strada dell'asparago pungitopo, un'epifania per Alberto, quando il ristorante era ancora chiuso. Ebbene, da quel momento qualsiasi cosa è parsa possibile.

Ora, l’Alberto in questione di cognome fa Toè ed è al timone del ristorante Horto, fondato da Osvaldo Bosetti e Diego Panizza, nonchè il progetto milanese firmato dallo chef alto tesino Norbert Niederkofler. Ci troviamo nel cuore della città ambrosiana, in cima al The Medelan, l’iconico palazzo che a lungo ha ospitato il Quartiere generale del Credito Italiano.

La vista dalla terrazza di Horto

La vista dalla terrazza di Horto

Al sesto piano che dà su piazza Cordusio e il suo contorno, il suono della città si disperde tra le nuvole e tra i tetti, fra il tintinnare dei calici e il chiacchiericcio all'ora dell'aperitivo nel giardino pensile en plein air, mentre all’interno la luce domina uno spazio molto ampio che si sviluppa in profondità, senza ingombri per lo sguardo, e che assembra tono su tono materiali di recuperodi ogni sorta (le pareti sono intonacate con scarti di riso e il parquet è stato ricavato da botti di vecchie acetaie, ndr). 

La luce naturale protagonista nella sala di Horto

La luce naturale protagonista nella sala di Horto

Eppure per quanto ci sia gradito conoscere la cornice, è al piatto e a chi lo prepara che rivolgiamo tutta la nostra attenzione.

Alberto è veneto e all’alberghiero vi arriva solo dopo un anno di enologia, dove si iscrive più o meno convintamente per quella sua attrazione verso la natura. Poi, in estate si ritrova in cucina ad osservare il papà mentre prepara un po’ di cose e in quei gesti Alberto intravede la possibilità di creare, di lasciare evolvere la materia tra le mani. Cambio di rotta, allora, iscrizione all'alberghiero e il lavoro arriva subito dopo: inizia dall’Alta Badia con un passaggio all’hotel La Perla e La Stüa de Michil, quindi Malga Panna, un’immersione da Igles Corelli e a soli 22 anni la sua prima esperienza da chef con la gestione di una vineria con cucina a Treviso. Raccolte le prime soddisfazioni, si riparte: la mappa segna prima la Spagna di Martin Berasategui, Nuno Mendes a Londra e tre anni alla corte di Andreas Caminada in Svizzera. «Se il Berasategui rimane il ristorante che mi ha introdotto alla cultura della materia prima e della tecnica - commenta Toè -, è con Caminada che ho percepito per la prima volta un’eleganza di fondo nella cucina che non avevo ancora conosciuto, una precisione che spero di poter coltivare nel tempo».

Risotto mantecato con silene, fiori di campo, olio al porro e kefir: uno dei piatti signature del ristorante Horto, il cui uso delle erbe varia di stagione in stagione
 

 

Ph. credits / Francesca Moscheni

Risotto mantecato con silene, fiori di campo, olio al porro e kefir: uno dei piatti signature del ristorante Horto, il cui uso delle erbe varia di stagione in stagione
 

 

Ph. credits / Francesca Moscheni

È nel corso di un evento proprio lì, in Svizzera, che Norbert nota Alberto e gli chiede di rientrare in Italia. Qualche tentennamento, ma alla fine Alberto accetta…D’altronde non avrebbe potuto scegliere momento migliore: Niederkofler, infatti, aveva fiutato i talenti da allevare e mettere insieme per farne la sua squadra, la stessa che si ritroverà al suo fianco alla conquista della terza stella Michelin nel 2018. Ma c’è un momento della vita di Alberto che va oltre l’essere cuoco, ed è l’essere umano: un periodo di volontariato in Uganda, ovvero l’origine di una personale consapevolezza in merito alla sostenibilità, ma diciamo anche molto semplicemente, al rispetto del cibo e delle persone a cui non sempre il nutrimento è garantito. Nessuna posa contemporanea, quindi, quell'etichetta che sembra non poter mancare a un ristorante nel 2023, ma il frutto di un’esperienza che ha lasciato un segno profondo nel suo modo di interpretare la cucina. Alberto in Uganda insegna a fare l’orto, a mettere insieme dei piatti semplici con quel che si rimedia nei villaggi, accorgendosi che con poco si può fare tanto; cambia l'approccio all’uso della materia e alle priorità sul lavoro, come nella vita. Visioni che cerca di trasmettere oggi ai suoi ragazzi in cucina a cui, nella realtà dei fatti, spesso manca una sensibilità allo spreco e a una rivalutazione dello stesso, fino ad annullarlo: solo quando inizi a conoscere il potenziale di un presunto scarto, infatti, la creatività si attiva e il pensiero domina quel gesto (in)naturale di buttare.

Ph. credits/ Mattia Parodi

Ph. credits/ Mattia Parodi

Al resto ci pensa la natura: «Perché se pianti oggi, non significa che raccogli domani; devi darle tempo di compiere il suo ciclo, portare pazienza e imparare ad osservarla; solo così, dopo qualche anno di simbiosi, il cuoco matura una sensibilità che riesce a battere sul tempo il raccolto che viene, immaginando il piatto prima ancora di avere l’ingrediente a disposizione. Perché una volta tra le mani di chi cucina, sarà già troppo tardi per mettersi a pensare. E se c’è un insegnamento che, in maniera particolare, la montagna mi ha lasciato, è che lì sei quasi sempre in ritardo»

Così, Milano diventa il contesto in cui Alberto e la sua brigata intendono iniettare il germe della semplicità che è «il più grande dei cambiamenti»: a partire dalla sala, coordinata da Ilario Perrot, squisito padrone di casa, appassionato di piccole produzioni vinicole che rendono il percorso al calice un piacevole itineraio.

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Alcuni dei vini proposti nel corso del nostro pranzo da Ilario Perrot

Alcuni dei vini proposti nel corso del nostro pranzo da Ilario Perrot

Poi, naturalmente, la cucina di Horto che, in questo senso, asseconda una purezza gustativa e accende l’attenzione oltre che sugli ingredienti, usati integralmente e “a più riprese”, sui produttori – perlopiù cascine, aziende agricole di piccola taglia in buona parte made in Lombardia.

Cagliata di latte vaccino, carpaccio di Varzese e caviale di storione

 

Ph. credits / Francesca Moscheni

Cagliata di latte vaccino, carpaccio di Varzese e caviale di storione

 

Ph. credits / Francesca Moscheni

Pensiamo alla prima portata, una Cagliata di latte vaccino servita con carpaccio di Varzese dell’azienda agricola Baronchelli: siamo nel lodigiano, con due aziende avvicinate all’interno del piatto che ci danno rispettivamente la carne e il latte. Quest’ultimo, impiegato nella lavorazione della cagliata, proviene dallo stesso animale che ritroveremo poi alla fine del percorso. Quindi, si parte dal latte dell’azienda Salvaderi e i suoi pascoli di mucche razza Guernsey che, sebbene abbiano bassa resa produttiva, compensano con un prodotto davvero eccellente sia dal punto di vista nutritivo (con un alto livello di beta carotene) che organolettico. La carne, invece, da animali a fine carriera, verrà servita cruda e poi cotta su pietra direttamente al tavolo dal commensale.

Spalla di vacca Guernsey cotta su pietra

Spalla di vacca Guernsey cotta su pietra

Il cuoco diventa un mezzo per servire la natura e avvicinarla al commensale introducendolo a ecosistemi neanche così lontani, recuperati da un'approssimativa conoscenza delle eccellenze locali o dalla pigrizia di rivolgersi costantemente agli stessi mercati. Da qui scaturiscono possibilità creative che, a cospetto dell'integrità della materia selezionato e della sua congenita bontà, non devono essere necessariamente esasperate, ma orientante a un bilanciamento di sapori che, quindi, non sviino da un'idea di naturalezza, di raffinatezza, ma anche di immediatezza, tanto è vero che l'ingrediente non tarda a rivelarsi sul palato e a lasciarne traccia.

Plin di Strachitunt, zafferano e lievito

Plin di Strachitunt, zafferano e lievito

Il Plin di strachitunt - lo stracchino tondo, specialità casearia orgogliosamente lombarda, le cui muffe si sviluppano naturalmente grazie alla foratura manuale - racchiude nella sua sfoglia i tipici sentori erborinati, in questo caso maturi e piccanti, frenati dalla presenza del miele e poi dello zafferano, omaggio a Milano, dolce e balsamico.

Trota in brodo di tartufo, (serviti separatamente) la sua pelle croccante, rapa bianca e chips di cavolo nero

Trota in brodo di tartufo, (serviti separatamente) la sua pelle croccante, rapa bianca e chips di cavolo nero

Le fibre animali sono rispettate nei secondi rimarcando che esiste una filiera sostenibile animale e che non è necessario sottrarre elementi dal piatto - la sola eccezione è il mare - per sentirsi allineati a un modello di cucina "corretto", cioè che non penalizzi la vita e la crescita di specie alcuna. Purchè lo si faccia con criterio, con gusto e con semplicità: quella che appaga e che resta; quella che ritroviamo da Horto.


Dall'Italia

Recensioni, segnalazioni e tendenze dal Buonpaese, firmate da tutti gli autori legati a Identità Golose

a cura di

Marialuisa Iannuzzi

Classe 1991. Irpina. Si laurea in Lingue e poi in Studi Internazionali, ma segue il cuore e nella New Forest (Regno Unito) nasce il suo amore per l'hospitality. Quello per il cibo era acceso da sempre.  Dopo aver curato l'accoglienza di Identità Golose Milano, oggi è narratrice di sapori per Identità Golose. Isa viaggia, assaggia. Tiene vive le sue sensazioni attraverso le parole.

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