A prima vista possono essere tante le “lezioni” utili alla vita quotidiana impartite dalla pandemia. Ma quella che più mi tocca è l’urto negativo con la nuova realtà, che ha provocato una vera e propria ferita alla nostra identità professionale. Ferita di identità lavorativa, per così dire.
Caro Paolo, già prima della pandemia ti avevo confidato del mio essere stanco. Attenzione: non stanco del lavoro, che continua ad avere come ingrediente principale la passione; ma stanco di ciò che gli gira intorno, del sistema e dello stress che inevitabilmente compromette le relazioni sociali e familiari. Che mette in difficoltà i rapporti umani.
Dopo due anni di pausa, in cui si è goduto del calore familiare, della casa e della tavola, in tanti iniziano a cercare un nuovo modo di affrontare il difficile mondo della ristorazione, chiedendo turni e ritmi differenti. Si moltiplicano figure professionali - come camerieri, cuochi, barman - che non gradiscono più “il turno spezzato” .
Ed ecco l’attuale crisi del personale, che spesso viene addebitata al reddito di cittadinanza. Ma in realtà le motivazioni sono da ricercare nella volontà di una diversa qualità della vita. Infatti, anche gli istituti alberghieri stanno registrando un importante calo di iscritti e chissà quanti di questi ragazzi diplomati faranno effettivamente fronte ai grandi sforzi fisici e psichici imposti da questo lavoro.
È insomma ormai svanito l’effetto Masterchef.
Credo dovremmo tentare di sperimentare un nuovo approccio, orientando i cambiamenti a nostro favore.
La soluzione potrebbe essere intercettare un nuovo flusso di risorse umane, come gli immigrati, ovviamente regolari, che già usufruiscono di un reddito di cittadinanza. Con un accordo nazionale di settore sarebbe forse possibile convogliarli verso le nostre attività ricettive per un anno di formazione
vera. Per poi essere successivamente integrati nel nostro organico.
È una mia modesta proposta, che affido al pubblico dibattito: far diventare il reddito di cittadinanza e l’immigrazione una opportunità.
(Nelle prossime ore pubblicheremo una risposta a Pietro Zito, a firma Alessandro Gilmozzi, presidente degli Ambasciatori del Gusto)