Avete presente i Piatti del Buon Ricordo? Quei piatti colorati che vengono omaggiati dai ristoratori agli avventori che nel loro ristorante ordinano una pietanza che “rappresenta” il loro locale. Può essere una pasta, una riso, una carne, un pesce o un dolce. Ma dev’essere solo uno. Rigorosamente uno. E quella pietanza deve contribuire a fare di quel ristorante un “mito”. È un’idea interessante, divertente e memorabile appunto. Gli avventori tornano a casa felici, portando con sè un pezzo della propria storia gastronomica, talmente presente che molti attaccavano in bella vista questi piatti sul muro del tinello o del salotto, quasi moderni trofei di caccia, a imperitura memoria delle loro serate goderecce.
Ebbene… la memoria è fondamentale in gastronomia. Così come non c’è nulla di più efficace e coinvolgente che annusare un profumo per portarci alla mente la persona che lo portava, fosse egli o ella un amante perduto o un familiare amato, così un piatto, una pietanza, una preparazione gastronomica si trasforma spesso in storia, in memoria, in passato che rivive.
Vi sono cuochi famosi che hanno fatto di questo percorso gastronomico il loro cavallo di battaglia, come Pino Cuttaia, a Licata, in Sicilia, con le sue creazioni ispirate alla cucina della memoria, appunto, che pur essendo totalmente innovative ci riportano negli ingredienti e nel costrutto al ricordo delle mafie delle nonne. O come Niko Romito, a Castel di Sangro, o Enrico Crippa ad Alba o Antonia Klugmann a Vencò, vicino a Gorizia, che in alcuni piatti, ingredienti e menù attingono a piene mani dalla storica tradizione contadina o di corte, e trasformano ricette antiche rendendole moderne, leggere e fruibili, e ripresentandole in una narrazione contemporanea di grande interesse.

Gianni Frasi, torrefattore (1955-2018)
Ma questa cosa, io non l’avevo mai vista fare. Da nessuno. Con nessuno. Non avevo mai visto un cuoco “interpretare” un amico che non è più tra noi, raccontarlo e servirlo in un piatto della memoria. È successo l’altra sera a Padova. Anzi, per l’esattezza, a Rubano, al ristorante 3 stelle della famiglia
Alajmo, per mano dello chef
Massimiliano.
In una serata di autunno, in mezzo a piatti quali Crudo di pesce allo zenzero con caviale e galletta di patè di fegati di polpo”, o uno storico Cappuccino di seppie al nero “, Alajmo ci ha preparato un Risotto al distillato di caffè, polvere di capperi, bottarga di acciughe e tartufo bianco. Un piatto iconico, di memoria immediata. Non si può scordare. E non si può scordare la sua ragion d’essere, che ci ha fatto immediatamente venir voglia di raccontarlo: la dedica, iscritta sul piatto stesso, a un grande amico di
Massimiliano Alajmo e di molti grandi e piccoli chef:
Gianni Frasi.
Gianni è stato per molti che fanno il nostro mestiere un amico, un aiuto e un divulgatore, prima ancora che un torrefattore di grande qualità, pur nei piccoli numeri del suo
Caffè Giamaica. Ma sono le doti umane e la dedizione dell’uomo, più ancora che la qualità del suo prodotto, ad averlo reso caro alla grande ristorazione. E per ricordarlo, Alajmo forse per la prima volta ha portato fuori dalle sue cucine un ingrediente per “prepararlo” alla cottura. Il risotto infatti si prepara con una tecnica molto elaborata.

Massimiliano Alajmo, 47 anni (foto Brambilla/Serrani)
Si inizia portando in torrefazione, da
Simone Fumagalli, che continua l’opera di Frasi, la materia prima: rigorosamente Riso Carnaroli Autentico della
Riserva San Massimo. Portarlo “in torrefazione” significa proprio questo: portarlo nei locali di lavorazione per far assorbire al cereale, nelle prime tre ore di tostatura del caffè’ e nelle stesso ambiente dove avviene la lavorazione , umori e sentori della caffè’ stesso.
Poi il Carnaroli rientra a Rubano, in cucina dagli Alajmo, e qui viene cucinato utilizzando, al posto del brodo, un distillato di caffè che apporta ancora gusto e carattere al cereale. Completano la ricetta la “bottarga di acciuga” (in realtà acciughe essiccate e sbriciolate), polvere di capperi e tartufo bianco. Estremamente complessa, la lavorazione. Memorabile il risultato. E viene firmato con una dedica “a Gianni” per sottolineare la citazione. Un grande piatto. Dritto e rotondo. Intenso e buono. Come la memoria di un vecchio amico.