16-01-2018

Il mio amico Gualtiero Marchesi - La prima volta in Bonvesin de la Riva...

Toni Sarcina, fondatore di Altopalato, racconta il suo rapporto col Maestro, che è anche un pezzo di storia della nostra cucina

Gualtiero Marchesi ritratto durante una sua lezion

Gualtiero Marchesi ritratto durante una sua lezione ad Altopalato

L’appuntamento con Toni Sarcina è in via Ausonio, sede storica di Altopalato, il Centro di cultura enogastronomica che ha fondato nel 1981, in collaborazione con la moglie Terry. Ci accomodiamo al tavolo, arrivano dolcetti siciliani di Caltagirone e una bottiglia d’acqua (per restare sobri e lucidi) con due bicchieri di cristallo: «Sono importanti, vengono dal primo locale di Gualtiero Marchesi, in Bonvesin de la Riva». Comincia la chiacchierata… (In tondo il testo di Toni Sarcina, in corsivo le sue parole raccolte da Carlo Passera)

Eravamo negli anni 78-80, Milano non brillava per alta ristorazione; oltre ad un buon numero di trattorie toscane, qualitativamente discrete, emergevano alcuni locali simbolo come Savini, Giannino, Collina Pistoiese, Alfredo Valli, Bice e le sue sorelle, Boeucc e poco altro. Tuttavia, a muovere l’atmosfera sulla cucina innovativa, da poco aveva aperto La Scaletta con Pina Bellini e, da pochissimo (se ne parlava in città come di una cosa “misteriosa”) Gualtiero Marchesi con il suo ristorante in via Bonvesin de La Riva.


«Io da subito considerai Gualtiero come un elemento fuori dalla mischia. Non era un cuoco, era molto al di sopra, davvero un altro campionato. Lui stesso non era granché cosciente di questa sua caratteristica. Gli dicevo: non devi metterti a discutere, tu non c'entri con loro, sono convinti di essere tuoi colleghi, ma non lo sono. Loro erano i facitori, lui era altro».

Un recente scatto di Gualtiero Marchesi con Toni Sarcina

Un recente scatto di Gualtiero Marchesi con Toni Sarcina

Io, allora, mi occupavo di cose diverse (dirigevo un gruppo Assicurativo internazionale) ma, da patito del cibo di qualità e perennemente fuori casa per motivi professionali, ero sempre alla ricerca di luoghi interessanti; nel mio peregrinare, visitavo spesso, per esempio i celebri Cantarelli di Samboseto, nel Parmense, davvero sopra le righe. Da Marchesi non ero ancora passato; mi avevano detto che fosse piuttosto caro, soprattutto in rapporto alle dosi minimali dei piatti serviti. A questo proposito, cominciò a circolare a Milano anche una specie si slogan: “Se vai da Marchesi poi, per saziarti, dovrai cercarti una pizzeria”; oggi la definirebbero “fake news” e vi dirò poi il perché.

Cercai di informarmi sul personaggio e alcuni amici mi dissero che si trattava di persona raffinata, un po’ sfuggente, forse supponente, entrava poco in sala, il servizio era sicuramente inappuntabile, con un sommelier molto qualificato e i piatti assolutamente innovativi.


«Ricordo una volta che entrò nel suo ristorante un signore, era stato già lì tre o quattro volte e spendeva parecchio, d’altra parte il Marchesi era un ristorante caro, per quei tempi, costava mi pare 45mila lire all’inizio. Questo tizio era con amici, e si sa come a ciascuno piaccia far intendere di essere un habitué, ami dire di aver provato i piatti, goda a essere riconosciuto e così via. Entrò allora questo cliente, Gualtiero gli andò a chiedere cosa volesse ordinare. Quello: “Come l’ultima volta”. Un altro cuoco avrebbe detto: “Ma certo!”, e sarebbe andato in cucina a spulciare le vecchie comande, oppure si sarebbe informato con quelli del servizio e della brigata. Gualtiero no: “Ma perché, lei è mai stato qui?”».

Un giovanissimo Marchesi al bancone del ristorante-albergo di famiglia, Mercato

Un giovanissimo Marchesi al bancone del ristorante-albergo di famiglia, Mercato

Mi venne subito in mente di andare a verificare di persona ma le cose andarono in altro modo poiché, a un party, mi capitò di incontrare Gualtiero Marchesi, di intervistarlo, di simpatizzare e di essere in perfetta sintonia con lui e le sue idee sulla cucina innovativa. Insomma, scoppiò una nuova amicizia.

Lo andai a trovare nel suo ristorante con un gruppetto di amici, curiosi come me di vederlo alla “prova dei piatti”.


«Il suo ristorante in Bonvesin de la Riva aveva il problema di farsi conoscere, perché nei primi anni era spesso vuoto; anzi, a mezzogiorno era sempre deserto, alla sera ci andavano in pochi, poi iniziarono ad arrivare le top model, un pubblico di un certo tipo. Andavano lì perché non c’era niente, a Milano: o Marchesi, o Marchesi. E poi lui aveva questo aspetto fisico così diverso da tutti, un linguaggio differente, e non perché fosse forbito: era colto. Esprimeva la sua grande passione; sembrava abbastanza egocentrico come carattere, però solo all’apparenza, in realtà era molto timido. Non usciva in sala, si limitava a guardare dalle quinte per vedere l'effetto che facevano i suoi piatti».

Marchesi e brigata in via Bonvesin de la Riva

Marchesi e brigata in via Bonvesin de la Riva

Via Bonvesin de La Riva, già il nome sembrava scelto non a caso ma con degli indirizzi precisi tra l’illustre detentore della targa e l’inquilino del luogo che diventerà, probabilmente senza saperlo, oggetto di culto.

Il locale, arredato in modo elegante, assolutamente senza fronzoli, già dall’ingresso faceva intuire al visitatore attento parte della personalità del padrone di casa; si scendeva con due rampe di scale al piano sottostante, nella sala da pranzo, anch’essa ricca di buon gusto e senso artistico, con tavoli che, invece dei soliti fiori al centrotavola, molto in uso in quel periodo, proponeva sculture di gran pregio e di autori celebri. Io trovai gli ambienti assolutamente fuori del comune e di un’eleganza essenziale. Il personale di sala, molto professionale con un maitre – sommelier (Giuseppe Vaccarini)  che al momento era nientemeno che il campione del mondo dei sommelier. Sedemmo a tavola, venne Gualtiero al quale dicemmo di scegliere tre portate esemplificative.


«Marchesi proponeva un concetto di cucina nuova, difficile, anche ostica. E avrebbe potuto solo a Milano, perché questa non è una città provinciale. Così poco a poco iniziò a “fare fino” andare da lui: se mangiavi lì eri qualcuno, la moda prese a portarvi le top model, anche perché le porzioni erano piccole e chi pagava non aveva limiti di budget. Lui era molto signore, poco vivace; tutto era ovattato, tranne quando arrivavo io con i miei amici a fare un po' di casino, eravamo pur sempre a mangiare!»

Cito solo una portata per un aneddoto: portarono delle fondine con sul fondo piccole teste di splendidi funghi porcini, assolutamente delle stesse dimensioni; su queste il cameriere versò un brodo limpidissimo mai visto prima. Piatto fantastico e memorabile per la pulizia, nell’aspetto, nella delicatezza e nel sapore. A mio avviso, quel piatto era l’esempio concreto di un mondo gastronomico in mutazione totale. Da quel momento, avvertii in pieno la sensazione che, nel futuro, avremmo dovuto parlare della cucina esistente con un “prima di Marchesi

Parlammo a lungo dopo la cena, dando inizio ad una serie di conversazioni che sarebbero andate avanti negli anni e lo invitai a visitare la scuola di cucina di mia moglie Terry.


«Sono sempre stato il primo a sperimentare le sue novità, mi guardava con affetto perché sapeva che comunque si sarebbe potuto fidare anche di un mio giudizio negativo. Ricordo un piatto che non mi aveva colpito per niente: "Triglie e capesante, le due salse", ossia la salsa dell’una che condiva l’altro elemento e viceversa. Era geniale, ma me lo fece provare nel momento sbagliato: ero a cena con amici, tra cui don Zega, allora direttore di Famiglia Cristiana. Eravamo ormai arrivati al dolce, al termine di un menu abbastanza ricco, quando Gualtiero uscì dalla cucina: “Non te ne andare, voglio farti assaggiare una cosa”. Degustai e rimasi perplesso. Glielo dissi, lui mi mandò a quel paese (eufemismo) e mi tolse il saluto per 15 giorni, fino a quando lo implorai: “Gualtiero, non è che puoi prepararmelo di nuovo?”. “Neanche se piangi, neanche se mi paghi 10 volte il costo. Non te lo faccio più”. Ma alla fine si convinse. E aveva ragione lui, non io. Il piatto era straordinario».

E' il 1984: Marchesi riceve il premio Europa a tavola da Toni Sarcina, sulla destra

E' il 1984: Marchesi riceve il premio Europa a tavola da Toni Sarcina, sulla destra

Terry, insieme ad una celebre gastronoma dell’epoca, nome d’arte “Lisa Biondi” (in realtà Lydia Salvetti Cipolla, gran signora e vera esperta di cucina), aveva aperto da qualche tempo una scuola di cucina dove, per la prima volta si insegnavano agli appassionati, con lezioni pratiche, le tecniche di cucina semiprofessionale. Per  dare a questa attività una sede adeguata, avevamo acquistato un albergo che aveva al suo interno un ristorante e una grande cucina. L’avevamo ristrutturato, il ristoratore andò altrove e nella cucina, perfettamente attrezzata, si svolgevano i corsi, uno di base ed uno di alta cucina. Al termine del corso più elevato, gli allievi, insieme ad un cuoco professionista, realizzavano un “saggio” per ospiti appositamente invitati. In una di queste occasioni, arrivò Gualtiero che fu entusiasta e commentò: «Ma perché queste belle cose non le proponi anche ad un pubblico esterno?». Ne parlammo un po’ coinvolgendo anche il comune amico Eugenio Medagliani, storico “calderaio” di Milano e, alla fine di questi conversari, nacque Altopalato. Ma ciò merita un altro capitolo.


«Lui era un precursore. Vedo i grandi chef odierni, che sono orgogliosi delle loro innovazioni, ma noto che Marchesi in molti casi c’è arrivato assai prima. Non con emulsioni, sferificazioni, sifonate, eccetera. Non servivano. Lui faceva delle cose che chiamava “Oggi…”: voleva dire che ti avrebbe portato circa 14 assaggi sublimi, ricordo una parmigiana di melanzane in un cucchiaio da dessert. La mangiavi, era un sapore assoluto. Questo, molto prima di Adrià. Era un percorso di un’intelligenza assolutamente superiore che nessuno potrà mai replicare. Si arrivava e lui ti diceva subito: spumante o saké? I più sceglievano il sakè. Niente vino, perché per lui rovinava i piatti».


Dall'Italia

Recensioni, segnalazioni e tendenze dal Buonpaese, firmate da tutti gli autori legati a Identità Golose

a cura di

Toni Sarcina

nato a Milano, a lungo gran professionista nel campo finanziario-assicurativo, dal 1977 ha iniziato la sua attività di giornalista specializzato nella ricerca culturale del settore alimentare. Al suo attivo ha collaborazioni con Famiglia Cristiana, La Cucina Italiana, Grand Gourmet e tanti altri. Tiene seminari per medici-dietologi ai corsi di specializzazione dell’Università di Milano. Da molti anni è presidente della Commanderie des Cordons Bleus. Ha fondato nel 1981, in collaborazione con la moglie Terry, il Centro di cultura enogastronomica Altopalato

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