Dove e cosa mangiava Gualtiero Marchesi? Si sa come il Maestro, specie negli ultimi anni, si dimostrasse assai alieno dagli indirizzi di alta cucina, almeno in Italia. Preferiva posti più semplici, dove gustare la nostra tradizione: proprio lui, che era stato il più grande innovatore! In Where chefs eat, la guida internazionale pubblicata da Phaidon con le preferenze dei più grandi cuochi del mondo, indicava tre indirizzi: il Corale Verdi di Parma, categoria “Al solito posto” («A due passi dal Giardino Ducale, è il regno dello chef Sante. Ordino sempre i tortelli ripieni di zucca, erbette o carne. Mi piace per l’atmosfera, il giardinetto estivo e il programma musicale»).
Poi due indirizzi meneghini, Zazà Ramen del suo allievo olandese Brendan Becht, categoria “A buon prezzo” («Propone vari tipi di ramen, è interamente arredato in legno chiaro e non esistono tovaglie. Un ambiente contemporaneo, piacevole, veloce, interessante») e soprattutto la Trattoria del Nuovo Macello, categoria “Il preferito in città” («L’antico quartiere dei macellai di Milano non è certo la zona più elegante della città, ma è la destinazione naturale di chi cerca la versione old school della famosa cotoletta. Questo ristorante a conduzione familiare, autentico ma non senza un suo stile, è qui dal 1928. La cucina rispetta fedelmente l’interpretazione originale della cotoletta impanata: alta, coll’osso e a cottura media, ben diversa dalle sconfinate fettine di vitello proposte dalla maggior parte dei locali. La trippa, la pasta e fagioli e l’ossobuco sono preparati con la stessa cura, ma ci sono anche tante opzioni più “internazionali”, tra cui il filetto di maiale con salsa di nocciole tostate, sale con sesamo nero e miele. Per concludere, date un’occhiata al carrello dei formaggi»).

Marchesi con Gianni Traversone della Trattoria del Nuovo Macello e, a destra, mentre cena da Zazà Ramen
Scelte discutibili ma non certo improprie, le due insegne meneghine fanno anche parte stabilmente della nostra guida: insomma, la qualità c’è. Altri spunti per questo discorso vengono da un pezzo pubblicato tempo fa sul
Corriere della Sera a firma della brillante scrittrice e giornalista
Beba Marsano, che di
Marchesi era molto amica. Indica undici “posti del cuore” del Maestro: alcuni francesi (la mitica
Maison Troisgros a Roanne, ma anche un bistrot lì vicino, il
Restaurant Aux-Anges, dove cucina un suo discepolo, il milanese
Marco Viganò), quindi il
Kitchen di Como, perché all’epoca vi lavorava l’allievo prediletto,
Paolo Lopriore; poi altri indirizzi parmensi, l’
Antica Corte Pallavicina di Polesine Parmense, ossia il regno goloso di
Massimo Spigaroli, e la trattoria
Ai Due Platani di Coloreto, per i tortelli di zucca e perché vicina a Colorno, dove c’è l’
Alma della quale era rettore.

Una bellissima foto del novembre 2016: Gualtiero Marchesi all'Antica Corte Pallavicina

Di nuovo Marchesi all'Antica Corte Pallavicina, ma nel maggio 2014, con l'intera brigata. Ha commentato l'altro ieri Luciano Spigaroli, fratello di Massimo, alla notizia della morte del grande cuoco: "Buon viaggio Maestro. Oggi per il mondo della ristorazione è un giorno di lutto. Chi non conosceva Gualtiero Marchesi? Per tutti noi è sempre stato un esempio. Un ideale da raggiungere. In tantissimi abbiamo avuto la fortuna di conoscerlo personalmente e lui non ha mai risparmiato una battuta che profumava di insegnamento. La buttava come se niente fosse con il suo modo scanzonato. Ma se poi ci ripensavi ne traevi ispirazione per il lavoro futuro. Io non sono un cuoco come lui amava definirsi. Lavoro dall'altra parte della barricata. Quella parte che lui ha sempre voluto valorizzare. Non basta il piatto tecnicamente perfetto ma serve che sia presentato bene e servito con sorriso e competenza. Questo il suo insegnamento. Ora non servono foto che ci ritraggono con il Maestro. Quelle le teniamo dentro di noi. Oggi serve solo una preghiera. Grazie Maestro"

Marchesi nel maggio 2016 alla Maison Troisgros. La foto è stata postata dallo stesso Gualtiero, con questo commento: "Il mio grande amico Pierre Troisgros; qui a Roanne, quasi cinquant'anni fa, ho capito cosa volevo fare... e come poterlo fare. Grazie a Pierre e a Jean Troisgros!"
Ancora:
Il Banco di Novi Ligure («Sorprende con sapori inattesi. Come la panissa, la farinata cotta nel forno a legna e, soprattutto, le frittelle di baccalà, un piccolo capolavoro di armonia tra la croccante crosticina esterna e il cuore caldo, morbidissimo della pastella. Un contrasto irresistibile, una pura emozione del palato, che da sola vale un viaggio. Ho chiesto la ricetta in cambio di quella dei miei
marchesini», ossia bocconcini di riso, grana e zafferano,
ndr), sulla via di quella Liguria che amava e frequentava e dove desinava volentieri anche al
Puny di Portofino (il cui titolare storico,
Luigi Miroli detto
Puny, è mancato lo scorso ottobre, a 84 anni). Per finire l’elenco: l’
Osteria della Villetta a Palazzolo sull’Oglio («Una cucina vera, ruspante»). E l’
Antica Meridiana Relais-Art di Vicoforte (Cuneo), «in tavola, una ricetta di
Giovannino Guareschi, il cotechino in maschera, e un piatto mio che non facevo da tempo, l’
Insalata di spinacini e fegatini di pollo».

Gualtiero Marchesi lo scorso anno con Luca e Lino Gagliardi
Ma, al di là di tutti questi, c’era un altro luogo dove il Maestro si sentiva davvero a casa: l’
Antica Osteria Rampina di San Giuliano Milanese, appena alle porte della città. Indirizzo storico, addirittura con radici cinquecentesche, e che
Marchesi ha frequentato in due periodi della sua vita. Il primo negli anni Settanta, quando la
Rampina era il regno di
Lino e
Angelo Gagliardi (quest’ultimo è mancato nel 2013,
ndr), «allora
Marchesi non era ancora
Marchesi, non era famoso – spiega il figlio di
Lino,
Luca, che ora ha preso in mano le redini della cucina, dandole vesti più contemporanee, mentre il babbo continua a presiedere alla tradizione lombarda – Io ero piccolissimo, lui tornava dalla Francia e si fermava da noi a mangiare, dandoci molti consigli,
le rane cucinale così, le lumache cosà, perché non prepari il tal piatto. Poi ci perdemmo di vista a lungo, lui era diventato una celebrità».

Marchesi assaggia un piatto di Lino Gagliardi
Il ravvicinamento è stato causale:
Gagliardi jr ottenne di poter fare uno stage all’
Albereta («Fu l’ultimo anno di
Gualtiero là, il 2013»), si presentò allo chef che non lo riconobbe, però il cognome gli ricordava qualcosa: «
Gagliardi, Gagliardi… Io conosco dei
Gagliardi, sono miei amici…»). Da quel momento rimise la
Rampina in cima ai suoi luoghi del cuore: «Voleva venire sempre. Telefonava, “mi aiuti?”, allora io andavo a prenderlo in auto, a volte con certa nebbia! Arrivava praticamente tutte le domeniche, negli ultimi tempi si presentava alle 17, magari anche alle 16. Si sedeva e mi diceva: “Prendi della carta”. E si metteva a raccontarmi cose, a darmi consigli: ho chili di appunti, che resteranno sempre privati». Che persona era? «Estremamente semplice, cordiale, buona. Mi suggeriva piatti che avessero le stesse caratteristiche: grande materia prima, qualità, non c’era bisogno a suo dire di fare molto altro, diceva “in giro vedo troppe seghe mentali”, sosteneva che l’ingrediente perfetto andasse bene così com’era o quasi».

Marchesi ha festeggiato alla Rampina anche il suo ultimo compleanno, l'87esimo, il 19 marzo scorso. Sul volto, i segni della malattia

Un abbraccio tra Marchesi e Luca Gagliardi
Poco a poco
Marchesi ha trovato nella
Rampina e nei
Gagliardi quasi un approdo di famiglia, «e noi lo accoglievamo come fosse un nostro caro. All’inizio c’era tensione, “oddio sta arrivando il Maestro”. Ben presto però, anche grazie al suo atteggiamento, si iniziò a respirare aria di grande serenità. Ci spiegava: “Io vengo qui per voi, per come siete. E poi perché la vostra è la cucina delle donne, fatta cioè con amore”. Si rivolgeva a me e mi diceva: “Sei fortunato, perché dietro di te c’è gente che ti vuole bene e ti sostiene”. Ed era gentilissimo, squisito. A volte entravano clienti alla porta, lui se ne accorgeva per primo e si precipitava alla cassa, “non preoccupatevi, li accompagno io al tavolo”». Era ghiotto di mozzarelle, ma ordinava soprattutto lumache e risotti. «Dopo cena, quando si faceva l’ora dei saluti, era triste: “Peccato che non abbiate delle camere per pernottare, qua sopra”». Non voleva andarsene.