06-12-2015
Giacomo Bulleri e il lavoro, un binomio inscindibile. Proprio per questo Milano onorerà questo suo figlio adottivo, con l'assegnazione dell'Ambrogino d'Oro
Scena prima: anno 1980, Giacomo Bulleri è reduce da un grave incidente automobilistico per colpa del quale è immobilizzato col gesso dall’inguine in su. Mesi di riposo forzato, poi un giorno si stufa proprio: toglie tutto e s’infila in cucina. Esclama: «Voglio fare la riabilitazione qui, ai fornelli. Il lavoro sarà terapeutico». I medici inorridiscono, tentano di convincerlo a desistere, ma lui è un toscano cocciuto. Esito: «Si è ripreso molto prima del previsto. Si è trasformato: un attimo prima non si reggeva in piedi, quello dopo era ad affaccendarsi senza sosta. Felice».
L’episodio ce lo racconta la figlia Tiziana, ed è esemplificativo della vita e del carattere di uno dei tanti personaggi che Milano ha adottato, e che gli deve molto. Anche onori, sì: come quello che gli verrà attribuito domani, il massimo riconoscimento cittadino, l’Ambrogino d’Oro. Pochi altri, nel mondo del cosiddetto food, lo hanno ricevuto: Gualtiero Marchesi, Carlo Petrini, Davide Oldani, Luigi Veronelli.
La storica trattoria di via Donizetti
Poi, era ed è abituato agli ospiti illustri: la prima Trattoria da Giacomo, in via Donizetti, si trovava a due passi dalla Camera del Lavoro, quindi ossobuchi, arrosti (ne era il re), capretti e bolliti sfamavano Giuseppe Di Vittorio, Giancarlo Pajetta, Luigi Longo, Umberto Terracini, Luciano Lama, Giorgio Benvenuto, fino a Susanna Camusso. E ancora: Maria Callas, Giuseppe Di Stefano, Riccardo Muti, Claudio Abbado, Carlo Ponti, Sofia Loren, Steven Spielberg, Robert De Niro, Bono Vox, Mike Jagger, Miuccia Prada, Giorgio Armani, Calvin Klein, persino i Kennedy. E molto più recentemente da Giacomo Arengario si è vista – quasi la storia si ripetesse - Michelle Obama accompagnata dalle figlie.
Vista sulle guglie da Giacomo Arengario
Proprio come Aimo, Bulleri è figlio della “valanga toscana” che s'abbatté sulla città popolandola d’innumerevoli ristoranti, tra gli anni Cinquanta e Sessanta. Oggi ribollite e fiorentine reggono a stento l’assalto di sushi e sashimi, l’invasione questa volta è targata jap. Tendenza verso la quale Giacomo fa spallucce: è sempre rimasto fedele al proprio stile di ristorazione, senza però inutili conservatorismi. Certo, è legato al passato, «la cucina a Milano è cambiata molto, anni fa era facile arrivare e con la fatica e la determinazione si poteva aprire un ristorante, oggi è più complicato e tutto si basa troppo poco sui veri sapori e sulla genuinità. Io amo uno stile tradizionale, adoro aggirarmi tra le pentole, selezionare gli ingredienti. Restituire gli aromi, senza nasconderli. Bisognerebbe essere più cuochi e meno chef, ritrovare l'amore per le proprie radici culinarie».
Eppure, sia chiaro, non è sclerotizzato sul già vissuto. «Ha sempre voglia di fare, di creare, di cambiare. Non si è mai seduto. E’ caparbio, davvero da ammirare. Crede nella vita», racconta con un filo di commozione la figlia Tiziana, che ora col marito Marco Monti e le figlie porta avanti un piccolo impero buono, prova provata di quanto stiamo dicendo: se non si fosse via via rinnovato, non sarebbe certo in piedi.
Un giovane Giacomo Bulleri con la moglie Miranda: «Dedico il premio a lei: mi è sempre stata accanto e mi ha seguito a Milano, diventando la carica della quale avevo bisogno per realizzarmi»
Si diceva, Milano deve molto a personaggi come lui, che hanno innervato di passione e sudore la vocazione imprenditoriale, dinamica della metropoli. Ma è un amore ricambiato, Bulleri ha parole d’affetto per la sua patria d’adozione: «Sono particolarmente felice di ricevere l'Ambrogino d'Oro perché mi sento meneghino ormai da tanto tempo. Questo premio è come se mi rendesse milanese a tutti gli effetti. Ne sono orgoglioso. Adoro questa città e sono grato per quanto mi ha regalato: qui mi sono realizzato. Milano mi ha insegnato che nella vita ci sono dei passaggi: se uno li sa prendere, se sa cogliere il momento giusto, allora le cose funzionano. E poi mi ha fatto capire come occorra crederci. Io l’ho fatto, e infatti le cose nelle quali ho creduto - piatti, lavori, amori - sono sempre andate bene. Prima ero chiamato Giacomino, sotto la Madonnina sono diventato adulto, uomo». Giacomo, appunto.
Recensioni, segnalazioni e tendenze dal Buonpaese, firmate da tutti gli autori legati a Identità Golose
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classe 1974, milanese orgoglioso di esserlo, giornalista professionista dal 1999, ossia un millennio fa, si è a lungo occupato di politica e nel tempo libero di cibo. Ora fa l'opposto ed è assai contento così. Appena può, si butta su viaggi e buona tavola. Coordinatore della redazione di identitagolose.it e curatore della Guida di Identità Golose alle Pizzerie e Cocktail Bar d'autore. Instagram: carlopassera