È un personaggio poliedrico, Luca Cutrufelli, socio operativo di Feat: messinese con radici veneto-romane, ingegnere edile, artista, responsabile f&b per retail e hotellerie, bartender e imprenditore (suo è Il Giardino di Lipari, bar e bistrò stagionale sorto 11 anni fa in un agrumeto abbandonato e recuperato nel centro del borgo dell’isola delle Eolie). Ha aperto solo lo scorso febbraio ai margini del quartiere periferico di Barona (si sa, la periferia milanese si sposta velocemente, spinta sempre più in là da nuove costruzioni e gentrificazione), tra Romolo, San Cristoforo e le prime risaie del Parco Agricolo Sud e i Navigli. Ma le ambizioni di Feat si sono già alzate, e pure la sfida. Quella di creare un cocktail bar con cucina “a disposizione del quartiere” ma anche di un pubblico internazionale. «Prima che aprissimo noi, in Via Zumbrini non c’era niente: in sette mesi hanno aperto un izakaya giapponese (Donburi House) ed è arrivato AlTatto che si è appena spostato qui dalla sede di Greco» ci dice, da dietro il bancone, per poi sganciare la bomba.

Feat ridisegna il concetto di "bar di quartiere" con design, originalità e l'attenzione all'intrattanimento dell'ospite offrendo di vivere più esperienze, sotto la stessa insegna
Best Drink list
«Abbiamo fatto un colpo di calcio mercato». Terminata la collaborazione con
Samuele Lissoni, a metà ottobre è arrivato
Andrea Pagliarini, 24 anni, quattro anni dei quali trascorsi lavorando al
Paradiso di Barcellona, già migliore bar del mondo e attuale numero 4 nella classifica
World’s 50 Best Bars, dove è stato senior bartender. Con sé porta tutta la sua esperienza nella creazione di cocktail contemporanei. Due le drink list proposte, che si sdoppiano come il locale, sviluppato su due livelli progettati da
Studio Ganko e dallo stesso
Cutrufelli nel
Feat.Bar, il cocktail bar su strada al piano terra, e nel
Feat.Club, spazio dedicato a eventi e musica al piano inferiore.
«Inizialmente al bar abbiamo pensato di partire da una drink list di dieci grandi classici proposti con attenzione alla perfetta temperatura di servizio e alla texture del drink, con una chicca: il Bellini realizzato seguendo la ricetta originale di Cipriani» dice Cutrufelli. Diversa la lista del Club, aperto solo venerdì e sabato e che vuole dare la giusta valorizzazione alle competenze di Pagliarini.
Siamo in uno spazio minimalista con un piccolo bancone e un impianto hi-fi, postazione per dj e illuminazione creativa, nato con in mente l’esperienza di certi locali parigini «con quelle salette interne arredate come dei salotti, dove sembra di essere a una festa in casa di qualcuno».

Feat Vov è uno dei drink firmato da Pagliarini alla guida del bancone di Feat
La prima lista, concettuale, da cocktail bar internazionale, è un inno all’autunno. Cinque signature dai colori e aromi caldi e avvolgenti che vanno dal
Banana Joe (rum alla banana, cordiale di bucce di banana ossidate, proteine del latte) al
Feat.Vov (rum scuro, zabaione, sherry amontillado, lievito), passando per il
Pistacchio (gin ridistillato con gelato al pistacchio, Umami Tonic) e il
Caldarrost (wine blend, caldarroste, legno di quercia, vaniglia) per concludersi con l’analcolico
Mango Beer (mango, infuso di orzo, bucce di mango e fava tonka, Co2). Durante la settimana, ci sarà la possibilità di ordinare al bar, sempre aperto, due dei drink della lista “underground”.
Musica fondamentale (ma non chiamatelo “listening bar”)
«Ci provano tutti a darci del listening bar, ma io mi oppongono perché so cosa sono: vengono da una storia molto bella nata in Giappone negli anni ‘50 in un locale con un proprietario appassionato di musica che importava vinili dall’estero, e i clienti arrivavano la sera per mangiare e bere e ascoltare le novità. Ora a Berlino e Londra si fa quel tipo di lavoro in cui la musica è protagonista, a Milano è diventata una moda: basta che metti due casse, diffondi la musica ed esponi due copertine e sei un listening bar. Io ho sempre investito sulla musica, ho sempre pensato che la musica abbia pari importanza di drink, cibo e design per rendere l’esperienza del locale soddisfacente. Siamo un bar dove c’è un ottimo impianto audio ma è stato anche fatto un intervento a livello di fonometria, qua non succederà mai che ti siedi a un tavolo e senti shakerare i cocktail, i piattini che sbattono, quello che dice la persona a tre tavoli da te. Di solito quello sull’acustica è l’ultimo investimento che si fa in un locale. Eppure è ciò che ti fa stare due ore in un bar serenamente».

Gli interni del club che fa di Feat un locale poliedrico e plasmabile dall'ospite a seconda delle proprie esigenze
La cucina
Il locale ha due cucine, guidate dal giovane chef
Kevin Orellara, anche lui 24 anni, che proviene da un’esperienza da
Nobu. Al centro della proposta ci sono tre burger che richiamano piatti tipici della tradizione nazionale: con polpette di manzo (un omaggio ai milanesissimi mondeghili) e verdure marinate e aromatizzate al tabacco; con polpo e crema di patate e la versione vegetariana con funghi. «L’idea era partire con una proposta street food e pop, ma visto che siamo alla base di un condominio [
Forrest in Town, nuovo complesso residenziale che occupa l’area degli ex magazzini della Galbani,
ndr] con tante famiglie e ragazzi che hanno il desiderio di mangiare sano durante la settimana, è nata l’idea di unire al panino un piatto vero e proprio».
Non solo: con il condominio è stato attivato un servizio che è una via di mezzo tra delivery e room service. Ogni appartamento ha un QR code, inquadrando il quale si visualizza un menù apposito fatto di piatti casalinghi, quotidiani, «quei piatti che i ritmi milanesi non ti permettono di fare a casa come lasagne o polpette, cucinate con cura». Vengono consegnati direttamente dal cortile interno. «Stiamo cercando, e non è facile, di trovare un equilibrio tra il rapporto con il pubblico del quartiere e l’ambizione di raggiungere anche un pubblico internazionale e di altre parti della città». La sfida è aperta, al suono (ovattato) dello shaker e della buona musica.