16-10-2020

Chef vs barman: chi fatica di più?

È più logorante lavorare in un ristorante o in un cocktail-bar? Gestire i clienti dell'uno o dell'altro? Alcune riflessioni

Si parla spesso di chef esauriti e logorati. Indubbiamente i ritmi di un servizio in cucina possono essere molto incalzanti: non è possibile concedersi pause, il team agisce secondo le direttive dello chef, che ha sulle spalle la responsabilità della buona riuscita dei piatti. Tenere alto il livello è conditio sine qua non per mantenere la propria reputazione; ogni sera è diversa ma la sfida per le cucine è sempre la stessa. Dalle osterie più semplici ai ristoranti stellati la pressione cui viene sottoposto lo staff “invisibile” è molteplice.

Non si tratta solamente di avere tempi stretti tra una portata e l’altra; ma si aggiunge l’attenzione alla pulizia del piatto, alla temperatura di servizio, alla cottura adeguata, all’uscita in contemporanea delle portate per lo stesso tavolo, la consapevolezza che quel piatto andrà a qualcuno del settore o a un collega... Stress quantitativo ma anche qualitativo: anche con pochissimi tavoli, il lavoro può non essere inferiore o altrettanto esigente di quello di una trattoria con tante sedute. Lo chef non agisce da solo ma guida una brigata. Ogni membro è responsabile di una partita di piatti ma il lavoro deve svolgersi all’unisono; la coordinazione è vitale e così il sentirsi parte della stessa macchina.

E i barman? Si tende sempre a credere che, rispetto al ristorante, un cocktail bar possegga un’infrastruttura più agile. In realtà non è così. Un locale di livello è strutturato per mettere il drink al centro di tutto: oltre a barman qualificati, prevede uno o più barback - la figura che assiste il primo barman nelle preparazioni e nel servizio stesso -, personale di sala formato in materia di spirit e quello addetto al lavaggio. Sono tutte figure che lavorano insieme, parte della stessa catena di servizio. Così come una cucina ha una linea da preparare (taglio verdure, realizzazione pasta fresca e pane, composizione dolci, precottura carni, pulizia pesce...), anche il bar ha la sua: spremute fresche, sciroppi, sherbet, liquori fatti in casa, taglio della frutta, peel di garnish, infusioni di spezie, eccetera. Che si tratti di un locale molto grande o di una piccola realtà, la realizzazione del drink richiede poi un tempo che è la somma del numero di ingredienti, del tempo di shakerata, del raffreddamento del bicchiere e della guarnizione prima del servizio... Una volta pronto al pass, occorre servirlo tempestivamente.

A differenza di uno chef, il barman lavora di fronte al cliente, che può interagire ma allo stesso tempo può richiedere il suo cocktail più in fretta, prima di altri, più forte, fatto con un distillato diverso o una tecnica differente; insomma le variabili sono infinite. In tarda serata, poi, la clientela può risultare invadente e meno rispettosa verso chi lavora dietro ai banconi. Questo non succede agli chef e al loro team che restano tendenzialmente “protetti” dalle mura della cucina. Il barman, poi, agisce sotto gli occhi della clientela: ogni errore o sbavatura è additabile. Il rifornimento scorte è fatto al momento (succhi, spremute, ghiaccio, alcolici) e l’imprevisto è sempre dietro l'angolo – quello più classico, è il bicchiere che si rompe nella vasca del ghiaccio che di conseguenza va interamente svuotata pulita e riempita di ghiaccio nuovo. L’emergenza va gestita tempestivamente ma soprattutto pubblicamente, senza paraventi o protezioni.

Il rispetto del tempo di servizio di un piatto o di un cocktail è croce e delizia che accomuna chef e barman. Così come quando si aspetta troppo tra una portata e l'altra, allo stesso modo, fare attendere eccessivamente per bere il drink non è cosa mai gradita. A differenza della cucina, in cui numerosi escamotage accorciano i tempi di servizio, nei cocktail bar tradizionali ogni drink viene realizzato assemblando gli ingredienti al momento e questo inevitabilmente comporta una procedura più lenta. Negli ultimi anni sono infatti sempre più diffusi i cosiddetti cocktail pre-batched, "pre assemblati": generalmente si uniscono le parti alcoliche della ricetta lasciando a parte eventuali ingredienti freschi, che sono aggiunti al momento. In certi casi si presentano già anche diluiti e quindi pronti al servizio.

Un'ulteriore novità che inizia a diffondersi anche nella miscelazione di qualità sono i cocktail alla spina, che velocizzano il servizio di grandi volumi. Chiaramente interessano una categoria ristretta di drink ma costituiscono una svolta interessante.

Nonostante il mondo della cucina sia notevolmente più strutturato in termini di classificazioni, riconoscimenti internazionali e interessi economici, il mondo beverage, pur viaggiando su volumi minori, non presenta meno complicazioni: come i ristoranti stellati, anche i cocktail bar possono raggiungere livelli strepitosi di qualità, attenzione e professionalità nel servizio e nel prodotto finale.  Chef e barman si ritrovano ogni giorno a dover affrontare il giudizio di un pubblico che non sempre è realmente competente e preparato su ciò che sta bevendo e/o mangiando. 

Chi è dunque sottoposto a stress maggiore? La verità è che lavorare con un pubblico, qualsiasi esso sia, è logorante a tutti i livelli. Provare per credere.


Shake & shock

ll mondo dei cocktail e dei bartender raccontati da Identità Golose.

a cura di

Chiara Buzzi

piemontese di ferro, classe 1986, laurea in Economia per i beni culturali, dopo anni di militanza nei locali milanesi, è co-titolare insieme a Edoardo Nono del Rita & Cocktails - storico American bar di MIlano e del Rita’s Tiki Room, spin-off caraibico polinesiano aperto nel 2019. Viaggia per passione, lavora per passione, mangia con passione

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