Nel 2001 Pietro Pellegrini, presidente della Pellegrini Spa, distributore di vini e distillati di qualità, enologo e grande scopritore di talenti enoici incontra Luigi Moio: «L’incontro con Luigi Moio e la nascita di Quintodecimo hanno accompagnato la crescita della nostra azienda. La totale condivisione di vedute sul mondo del vino è stata senza dubbio la nota distintiva - afferma Pietro Pellegrini nella sala conferenze di Identità Golose Milano la scorsa settimana - Quintodecimo è per me, dopo più di vent’anni, una di quelle aziende che mi emoziona parlarne perché dai confronti con Luigi Moio oggi nasce Taurasi Riserva Grand Cru Luigi Moio 2019, che esprime il suolo Irpino e l’Aglianico con questa espressione identitaria del sogno di Luigi, creando grandi vini con il valore aggiunto delle competenze e del lavoro di squadra».
Luigi Moio è uno dei massimi cattedratici italiani in materia enoica, Presidente
OIV (Organisation Internationale de la Vigne et du Vin) e creatore di
Quintodecimo. «Questo incontro milanese mi emoziona perché nasce un nuovo vino, ma soprattutto mi permette con grande gioia di avere l’occasione per ringraziare
Pietro Pellegrini che ha creduto fortemente in quest’avventura fin dall’inizio - afferma
Moio - Io studio la vigna e il vino dall’ età di 13 anni ma voglio vivere con il vino e non di vino.
Quintodecimo è sintesi del sogno che si realizza, poter vivere con l’oggetto che ho studiato e dormire con mia moglie
Laura accanto alla vigna».
Ascolteresti per ore le narrazioni del professor Moio e, in ogni caso, dalle parole si comprende che il vino è un filo rosso che lo lega al padre Michele, che lo vuole enologo sin da ragazzino. Non solo diventa uno dei più autorevoli enologi al mondo, si laurea in Scienze Agrarie all’Università degli Studi di Napoli Federico II e proprio l’incontro con il professor Addeo, docente di Chimica e Tecnologia del Latte, inizia il suo studio sulle proteine del latte.

Pietro Pellegrini con Laura e Luigi Moio, sulla soglia di Identità Golose Milano
Dal latte al vino complice è la trasferta in Francia, a Digione, per il dottorato presso il laboratorio di Ricerca degli Aromi. Fatale una passeggiata nei vigneti della Côte d'Or, proprio nel mese autunnale, dove comprende quanto il mondo del vino sia un universo da studiare, attitudine imperante per il giovane
Moio. La Borgogna, gli aromi del Pinot Nero e dello Chardonnay diventano elementi di studio quotidiano.
«Il vino è un paradigma di diversità e quanto penso al concetto di terroir - afferma Moio - visualizzo il suolo, il clima, il paesaggio, la topografia e le biodiversità. Ecco il mio concetto, in sintesi, di un vino di terroir: l’espressione di un’uva che nasce in un vigneto in equilibrio. Genesi perfetta di un vino di equilibrio. Lo stesso che, per mia fortuna, mi ha dato mia moglie Laura che venne a Digione per il suo dottorato. Lei è biologa e ricercatrice. Insieme abbiamo condiviso una visione tramessa in seguito ai nostri figli».
La sosta borgognona dal 1990 al 1994 è fondamentale per aver compreso cosa fare al rientro in Irpinia. I coniugi Moio prestano i loro talenti per ricercare, sperimentare e studiare il territorio Irpino, comprendere quanto la visione del padre di Luigi Moio, Michele, fu sul Falerio e quanto invece il futuro enoico di quest’area vitivinicola potesse accogliere vigne di Aglianico, Fiano e Falanghina. Proprio le colline di Mirabella Eclano accolgono la nascita di Quintodecimo nel 2001.
Una tenuta situata a 460 metri sul livello del mare e circondata dalle vigne che i Moio hanno piantato con una scelta maniacale di pendenze, esposizioni, composizione dei suoli per godere appieno del microclima di questa porzione di terra: inverni rigidi, estati miti, abbondanti piogge e intense escursioni termiche.
Per
Luigi Moio il vino è una combinazione perfetta tra scienza e poesia, ma non fa mistero di essere un grande tifoso del Napoli e di Maradona, di possedere una vena pittorica con chiara ispirazione a Van Gogh, tuttavia, restare fedele al vino affermando: «Ho trascorso la mia vita a studiare la composizione chimica degli acini. E dico sempre alle mie lezioni che non è possibile fare un vino se non lo si ha in testa. Ora, io posso averlo in mente solo se conosco bene la materia. L’aroma di un vino è costituito da ciò che si produce durante la fermentazione alcolica e in quel caso serve massima precisione nel gestire questo importante passaggio. Poi ci sono i cosiddetti precursori aromatici che, nel mio libro,
Il Respiro del Vino, ho descritto usando la metafora dei palloncini legati al sasso. Lì bisogna evitare al massimo di perderli, specie con varietà di uve non particolarmente aromatiche. Perché più precursori aromatici riesco a conservare in un vino, maggiormente si apprezzerà la purezza olfattiva legata alla varietà e identitaria del suolo. Nel vino non ci sono ingredienti, per il codex alimentare è un mono ingrediente completato da additivi che non si devono identificare come ingredienti».
Un percorso di oltre un ventennio e la nascita di vini, etichette, progetti liquidi chiara espressione del vino di terroir. Ci soffermiamo sulla novità: Il Grand Cru Luigi Moio. Un vino che nasce dall’assemblaggio di vini derivanti da tre micro-terroir di Aglianico della tenuta.
I terreni differiscono per pendenze ed esposizioni e in vendemmia la raccolta delle uve avviene in tempi diversi. Un naso che cattura per un’esplosione di frutti di bosco, in primis mirtillo, per poi essere alternato a sentori floreali di lavanda, e speziature di chiodi di garofano, senza scordare le note di cuoio sul finale.
All’assaggio svela un rosso equilibrato, con un chiaro richiamo alla ciliegia nera e spezie esotiche. Un affinamento di 24 mesi in botti nuove lo eleva arricchendolo con note vibranti di un grande vino. «Sono molto soddisfatto di questo vino - chiosa Moio - perché è il risultato della perfetta sintonia della pianta con il suolo».
Una produzione limitatissima che si affianca alle altre sette etichette Quintodecimo di cui tre rossi e tre bianchi oltre alla Grande Cuvée Luigi Moio creata con un blend di Greco, Fiano e Falanghina.