04-12-2023

Vigne vecchie, un tesoro da tutelare

Molti dei vini da piante con più di 40 anni sono un patrimonio da proteggere. Dodici bottiglie consigliate dai nostri esperti

Le vigne  vecchie di Roncus a Capriva del Friul

Le vigne  vecchie di Roncus a Capriva del Friuli (Gorizia)

Più volte abbiamo potuto affermare che, nel mondo del vino, uno dei fattori più importanti è il tempo. Si può approfondire i tempi delle lavorazioni in vigna, così come i tempi di affinamento in botti e poi in bottiglia. Ma il tempo segna nel profondo soprattutto le vigne, fino alle radici. Ogni anno la pianta evolve, si adegua al terroir, affronta nuove condizioni climatiche. E anche il suo frutto, l’uva, ha un cambiamento. Ogni anno, ogni stagione, ogni vendemmia è diversa dalle altre. Le vigne vecchie, con più di 40 o 50 anni di vita, sono dei veri tesori da preservare, per diversi motivi. Il primo, che è quello che maggiormente conta per il viticoltore, è la qualità: anno dopo anno la vigna matura e, semplificando molto, se da una parte diminuisce la quantità prodotta di uva, dall’altra aumenta la qualità. Tanto che spesso il prodotto delle vigne più giovani, provenienti magari da uno stesso terreno, viene utilizzato per i vini più “quotidiani”, mentre per le selezioni maggiormente importanti si utilizzano le vigne vecchie. Un altro fattore fondamentale è la preservazione di un patrimonio storico: le vigne vecchie portano con loro la tradizione e la storia dell’agricoltura. Un ultimo fattore è legato alle emozioni: vedere queste piante dal tronco contorto e annodato fanno immaginare alla vita delle persone, tra gioie e sofferenze. E così è anche il vino: in ogni bicchiere dovrebbe esserci un’emozione. (Raffaele Foglia)

L’Alsazia che non delude. “Vecchie vigne”, suona come una promessa carica di fierezza  in quest’azienda alsaziana che ha ripreso il prezioso filo degli antenati nel 1984. Il Domaine Paul Blanck ha un forte legame con i suoi vigneti, ma anche con i degustatori che vengono da tutto il mondo. Le vigne hanno in media fra i trenta e i quarant'anni e ci si spinge anche oltre per l’Alsace Grand Cru Furstentum Gewurztraminer 2017 Vieilles Vignes. Un vigneto a 400 metri di altezza, esposizione piena a Sud. Ed è un vino autorevole, senza essere austero.  Perché è vero che ha un bouquet particolarmente ricco, con le note floreali che si rivelano di istante in istante, giocando anche con le spezie. Così come al palato troviamo un Gewurztraminer secco, dalle sfumature nettamente agrumate. Ha una tale complessità da poter apparire un vecchio saggio in effetti, noioso tuttavia mai. Fa da contraltare l'estrema freschezza, che prolunga il desiderio di scoprire ulteriori sfumature attardandosi nella degustazione o magari riprendendola più tardi. Alla fine, l'incontro con questo vino pegno di Alsazia ci fa percepire la salda lontananza delle sue origini e allo stesso modo la piacevolezza del presente, di una tradizione che continua.
Marilena Lualdi

In quota con Ermes Pavese. L’azienda di Ermes Pavese, portata avanti a gestione familiare dai titolari e dai figli, è di quelle che si possono considerare eroiche: quasi venticinque anni di attività, una superficie piccola coltivata, con viti a pergola bassa, per mitigare il problema delle basse temperature, che sono situate ad un’altezza tra i 900 e i 1200 metri. Le viti hanno circa 40 anni, messe a dimora su un terreno sabbioso di montagna e sono di quelle a piede franco. Oggi parliamo di “Nathan”, Blanc de Morgex et de La Salle Valle d'Aosta Doc. Le uve, della varietà Prié Blanc, una volta in cantina vengono premute dolcemente a grappolo intero, compreso il raspo. Rimangono per due giorni a macerare al freddo,ad una temperatura che non supera i cinque gradi,  dopo di che viene effettuata una nuova pressatura. Il mosto ottenuto riposa in barrique per circa un anno e vengono effettuati numerosi batonnage, dopo di che il vino delle diverse barrique viene unito in un tino di acciaio per un anno e, dopo l’imbottigliamento, segue l’affinamento in bottiglia ancora per dieci mesi. Bello alla vista, dove si presenta cristallino, luminoso di un paglierino carico. Piacevole l’approccio al naso, di pesca ed albicocca, con sentori di mandorla e nocciola. Caldo l’attacco in bocca ricco senza essere eccessivo, elegante, con freschezza bilanciata, sapidità misurata e finale appetitoso.
Leonardo Romanelli

Un Barolo denso di storiaG.D.Vaira uno dei nomi storici delle Langhe, una famiglia del vino piemontese oggi conosciuta e apprezzata che sin dalla fine degli anni ‘60 si prende cura di questo angolo di bellezza. Tra i vigneti storici della zona del BaroloBricco delle Viole, è quello più alto e più vicino alle Alpi a circa 450 metri sul livello del mare: il suo nome deriva dalle viole che qui sbocciano ogni primavera grazie alla splendida esposizione a sud e dove gode di tutta la luce del giorno, dal primo sole della mattina fino all’ultimo raggio del tramonto. Aldo Vaira ama raccontare che è il vino che, con la sua natura, ha guidato lo stile dell’azienda e li ha educati alla pazienza: un Barolo di grande eleganza che proviene da un vigneto di Nebbiolo dove le piante più vecchie toccano quasi i cento anni e che da cinquanta è difeso con un inerbimento spontaneo. L’annata 2019 racconta la verticalità, i toni vibranti ma anche energia nonostante i tannini siano leggermente più delicati rispetto ai vini fratelli. È un vino equilibrato ed evocativo con profumi ampi e intriganti: Barolo re dei vini, vino dei Re. Proprio come questo Bricco delle Viole
Salvo Ognibene

Alle origini del Nebbiolo del Monferrato
. Nel racconto di Piero, il “patriarca” dei Bava, vino, territorio e famiglia si intrecciano: «Un tempo - ricorda Piero Bava - quasi tutti a Tuffo avevano un pezzetto di terra; una parte veniva coltivata a vite, ed era la parte alta delle colline. Già nel Settecento, la nostra famiglia aveva terreni di proprietà sui bricchi delle Serre, un punto panoramico della frazione da cui si vedono chiaramente l’arco alpino e il Monviso, sul crinale dell’antica Strada delle Serre. A inizio Novecento la famiglia si spostò nel fondovalle, accanto alla ferrovia, dove fu fondata la cantina che ancora oggi, a distanza di un secolo, è sede dell’azienda». Da questa lunga tradizione nasce Serre di San Pietro, il nuovo vino della cantina BavaMonferrato DOC Nebbiolo Superiore dalle prime vigne storiche di Tuffo. Il vino esce con l’annata 2020: dieci mesi di invecchiamento in botti di legno che fanno meritare al vino l’appellativo Superiore. Dei tratti del Nebbiolo del Monferrato, in Serre di San Pietro si ritrova il colore rubino brillante, il profilo olfattivo floreale e speziato, il tannino tipico, ma rotondo, che assicura al vino longevità. Questa storica vigna, dal suolo bianco calcareo e ruvido copre le marne affioranti, regala al calice il suo carattere, per un sorso fragrante e fresco, con un bel mix di eleganza e struttura.
Annalisa Cavaleri

Bongiovanni e la riscoperta dell’Enantio. In Trentino la vite si è sempre coltivata con il sistema della pergola. Un metodo, dove la chioma viene stesa su un tetto orizzontale, non molti diffuso negli atlanti vitivinicoli ma molto presente nel nordest d’Italia. Ed erano proprio le pergole di Enantio quelle descritte nel I secolo d.C da Plinio il Vecchio nella sua “Naturalis Historia”, durante il suo passaggio sulle pendici del Monte Baldo, fra il Garda e l’Adige. Un vitigno selvaggio, risparmiato dall’epidemia di fillossera della metà del 800, grazie alle caratteristiche sabbiose del terreno e della pianura fluviale dove cresceva. Arrivato sino ai tempi d’oggi senza essere innestato, l’Enantio – oggi presidio Slow Food per questa sua meravigliosa storia – è un vitigno a piede franco, quindi senza barbatella, con un carattere spigoloso, rustico, resistente capace di vivere e dare uva per centinaia di anni. Fra l’alto veronese e il basso Trentino l’Enantio della famiglia Bongiovanni – viticoltori da tre generazioni in quel di Avio, ai piedi del Castello di Sabbionara – è un vino intenso sotto ogni profilo, dal colore all’acidità, fino al gusto. Rosso rubino, secco, con tannini fini e distinti e ben equilibrati, l’Enantio di Bongiovanni è prodotto dopo una vendemmia manuale e tardiva. Parte dell’uva appassisce per una paio di mesi. Il mosto fermenta in acciaio per una decina di giorni a 26° prima di passare alle botti di rovere da 550 litri dove riposa per un anno. L’affinamento in bottiglia dura fino a 10 mesi e regala un vino dai profumi speziati, ricchi di frutti di bosco e tannini che l’invecchiamento rende morbidi. Da degustare con una fetta di formaggio di Malga ben stagionato o, passando dalla parte lombarda del Garda, con una scaglia di mitico Bagoss.
Maurizio Trezzi

Il Bianco di Roncus si è preso il giusto tempo. Il Vecchie Vigne Bianco di Roncus – con Marco Perco che è la terza generazione in azienda - ha un primato: si tratta infatti del primo vino bianco friulano dichiaratamente prodotto con uve da vigne vecchie, che hanno un’età media di oltre sessant’anni, coltivate in biologico nella DOC Collio, zona vocata che dà grandi bianchi che non temono di invecchiare, ma che anzi hanno nella longevità uno dei loro punti di forza. Un giusto tempo, senza fretta, è dedicato anche alla vinificazione: prima la fermentazione spontanea con lieviti indigeni, poi le botti grandi di Slavonia per un anno e infine la sosta di 22 mesi in acciaio. Una generosa biodiversità vegetale - boschi e piante selvatiche - circonda i vigneti di Roncus, che sono divisi in piccole parcelle su terreni differenti, fattore che rende i vini ancor più interessanti e originali espressioni di micro-territori. E il Vecchie vigne racconta proprio di questa bella varietà, essendo un blend di tre vitigni autoctoni quali la Malvasia Istriana (nella percentuale prevalente del 60%), Tocai Friulano e Ribolla Gialla, la cui combinazione porta al vino rotondità, una fine speziatura e spunto di agrume, piacevoli note decise di erbe mediterranee, come la lavanda e il rosmarino. Un sorso elegante, complesso, un friulano che vorrete riassaggiare. Nel tempo, naturalmente.
Amelia De Francesco

Conte d’Attimis Maniago e il nettare Picolit. Il Picolit di Conte d’Attimis Maniago è un vino prezioso, non solo per il suo colore dorato e perché già in passato utilizzato come pregiata merce di scambio, ma soprattutto per la complessità della sua produzione. I vigneti dell’azienda friulana, situata sulle colline di Buttrio (Udine), hanno una lunga storia e lo stesso Picolit, vitigno autoctono a bacca bianca, deriva da vigneti antichi. Si tratta di una varietà che non ha una grossa produzione, con grappoli radi e dagli acini piccoli, da qui “Picolit”, ma che sono un concentrato di sapore. Per questo motivo è un’etichetta che viene prodotta solo nelle migliori annate. Raccolte le uve a maturazione avanzata, la vinificazione avviene in bianco, con una pressatura soffice a bassa temperatura, così come la fermentazione, in modo da garantire lo sviluppo e la conservazione dei profumi varietali più caratteristici. Un vino tanto prezioso che, terminato il periodo di maturazione, viene imbottigliato e lasciato maturare e custodito nella cinquecentesca bottiglieria sotterranea dell’azienda. Elegante e raffinato, il Picolit regala ricchezza anche al naso e al palato, unendo le note immediate di miele, albicocca e fichi secchi, a quelle più nascoste di fiori e agrumi, in un connubio suadente. Un nettare prezioso che non ha bisogno di alcun abbinamento.
Stefania Oggioni

Castello di Querceto, La Corte è nella storia. Non solo vigne vecchie, ma anche una storia che ha praticamente 126 anni. Non pochi. Quella del Castello di Querceto, che ha festeggiato i suoi primi 125 anni lo scorso anno all’Hub di Identità Golose, è una delle belle storie del Chianti ClassicoAlessandro François, che per anni ha lavorato come ingegnere industriale, ha infatti sentito il richiamo della terra, del Castello, e ha ripreso in mano l’azienda puntando decisamente sul vino. Una vera rinascita, per la storica cantina, con il figlio Simone che negli ultimi anni ha affiancato il padre in questa avventura. Il vino simbolo è sicuramente il Chianti Classico Gran Selezione La CorteCarlo François acquistò la tenuta nel 1897. «Mio nonno era un giovane avvocato con sua moglie – racconta Alessandro François – A quei tempi non esistevano vigneti “specializzati”, ma c’erano solo coltivazioni promiscue. La prima vigna che realizzò mio nonno fu La Corte e decise che doveva essere un monovitigno, il Sangiovese, uscendo da quella prima ricetta del conte Ricasoli, che suggeriva di realizzare i vini con due vitigni a bacca rossa e due a bacca bianca». All’inizio degli anni Settanta il vigneto è stato reimpiantato, sempre a Sangiovese. In una recente visita al Castello, abbiamo assaggiato in anteprima l’annata 2020, che uscirà solo nel 2024. L’eleganza è insita in questo vino, che – come già detto – ha nel tempo un suo alleato. La Corte, al momento, è un vino elegante e austero, che avrà modo di aprirsi sempre di più al naso. Al sorso la spiccata freschezza è una garanzia di persistenza e longevità. RF

È Iss a “sconfiggere” la fillossera​
. Un serpente di tornanti che attraversa le gole tortuose dei Monti Lattari, in un Comune che non ha centro, ma si articola in tredici frazioni che conducono adagio dal Valico di Chiunzi alla costa: questo è Tramonti, gioiello nascosto nell’entroterra amalfitano, terra di boschi di castagni e querce, figlia della Costa d’Amalfi meno conosciuta. Su pezzi di terra coltivati a gradoni da cui si scorgono meravigliosi scorci di mare, più simili a giardini pensili che a terreni agricoli, sono piantati i 12 ettari di vigna di Tenuta San Francesco, azienda nata nel 2004 e oggi capofila della vitivinicoltura di qualità della Costa d'Amalfi. Fiore all'occhiello della produzione è il Tintore, una varietà autoctona della Costa d'Amalfi, tardiva, ricca di antociani e di spiccata acidità, rinvenuta in antiche vigne a piede franco allevate a pergola o raggiera nel territorio di Tramonti. È Iss nasce da uve tintore in purezza, provenienti esclusivamente da ceppi ultrasecolari e pre-fillossera. Un vino dai richiami di more e sottobosco, con soffusi rimandi di cenere, grafite e incenso. Il sorso è pieno, stratificato e verticale, con trama tannica importante ma ben tessuta e deciso allungo salino.
Adele Granieri

Profumo di Vulcano, l’energia di Federico Graziani. Federico Graziani è diventato sommelier a 19 anni, si è laureato in Viticoltura ed Enologia nel 2007 per poi collezionare premi, scrivere libri, lavorare con i più grandi cuochi italiani e stranieri. Tuttavia, nel 2008 decide di acquistare una piccola vigna centenaria in Sicilia, dal macellaio di Passopisciaro, per diventarne il custode. In questa porzione di Etna, dal 2010, crea un rosso indimenticabile chiamato Profumo di Vulcano. Qui le vigne sono distese sulle pendici settentrionali etnee a 600 metri sul livello del mare, mezzo ettaro di terreno che oggi è seguito da un secondo appezzamento di pari superficie in Contrada Feudo di Mezzo, frazione di Passopisciaro, nel comune Castiglione di Sicilia, una delle zone più vocate del vulcano. Il connubio tra Nerello Mascalese e Nerello Cappuccio si integra con l’Alicante e il Francisi. Quest’ultima una rarità autoctona che i siciliani chiamano “uva francese”, forse con qualche affinità al Cabernet Franc. Fermentazione spontanea e lieviti indigeni, senza controllo della temperatura. Un vino senza tempo che affina 20 mesi in tonneaux di primo e secondo passaggio oltre una sosta di 4 mesi in bottiglia. Un colore rosso rubino intenso che esprime sentori di frutti di bosco, dai mirtilli ai lamponi per evolversi in agrumi, erbe aromatiche e un finale speziato dolce. All’assaggio cattura per profondità e una complessità identitaria di ogni annata degustata. Chi scrive ha avuto la fortuna di assaggiarle tutte le annate prodotte, dalla 2010 a oggi e può confermare sia uno dei grandi vini dell’Etna.
Cinzia Benzi

Kudos di Curtaz, alle radici dell’Etna. «La Sicilia è stata l’opportunità di poter interpretare un territorio, attraverso il tessuto dell’esperienza che ho elaborato in tutti questi anni di mestiere». Enologo e agronomo valdostano, Federico Curtaz, dopo aver affiancato per quindici anni Angelo Gaja, con determinante contributo al successo dell’azienda di Barbaresco, e dopo un periodo da libero professionista, conquista l’Etna nel 2007 accompagnando Roberto Silva e Silvia Maestrelli nell’attività di Tenuta di Fessina. Dal 2015 inizia a produrre etichette che portano il suo nome: Kudos di Federico Curtaz & Eredi Di Maio è un Etna Bianco Superiore Doc, 100% Carricante. Le sue uve vengono coltivate in un ettaro di vigna centenaria ad alberello, su uno strato di ceneri scure e sabbie vulcaniche, in contrada Rinazzo a Milo, versante nord-est dell’Etna, a circa 750 metri di quota. Si vendemmia tra la metà e la fine di ottobre, gli acini vengono lavorati con decantazione statica a freddo e la fermentazione avviene in legno con lieviti selezionati; il vino matura poi 12 mesi in botti di rovere francese da 25 ettolitri con periodico rimescolamento delle fecce fini. L’annata 2019 ha colore paglierino dai riflessi dorati; al naso è vulcanica, decisa, intrigante di camomilla, erbe mediterranee e note ferrose, cedro e pepe bianco, miele e sensazioni burrose. Il sorso è deciso, sapido, fresco, di personalità e le parti dure ben si integrano con quelle alcoliche e gliceriche; scia lunga e ampia, gustosa e saporita. Potenza e prosperità: in greco si traduce κῦδος
Davide Visiello

Jerzu racconta il Cannonau e la sua storia
. Siamo in Ogliastra, nella costa centro-orientale della Sardegna, qui, dove il mare incontra la montagna, si trova la Jerzu Antichi Poderi, una realtà cooperativa che conta 500 ettari di vigneti distribuiti nei Comuni di Jerzu, Ulassai, Osini, Gairo, Cardedu e Tertenia. L’areale produttivo è molto esteso e tra un vigneto e l’altro si arriva a distanze di oltre 60 chilometri, un’area affascinante con scenari unici dove nelle acque turchesi si specchiano falesie imponenti. I vini di Jerzu provengono dalla terra dei centenari e si alimentano della storia millenaria della civiltà nuragica. Negli ultimi anni la cooperativa ha studiato il territorio arrivando alla mappatura e all’individuazione di nove macrozone contraddistinte da una certa omogeneità, e all’interno di queste all’individuazione di singole vigne di particolare pregio qualitativo. Da questa mappatura prende vita il DOC Cannonau di Sardegna Riserva Jerzu Baccu Is Baus 2019, dove Baccu - nel dialetto oglistrino - indica una zona particolarmente impervia. Il vigneto di Baccu Is Baus misura 10 ettari ed è costituito da piante di circa quarant’anni di età, allevate sia ad alberello sia a guyot; è contraddistinto da un suolo sabbioso d’origine granitica, a circa cinquecento metri sul livello del mare, beneficia di ottime escursioni termiche, elementi che gli donano profondità, freschezza e grande espressione aromatica. Un vino comunicativo, succoso, asciutto ed espressivo del suo luogo di provenienza, connotato da buona trama tannica e persistenza.
Fosca Tortorelli


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Storie di uomini, donne e bottiglie che fanno grande la galassia del vino, in Italia e nel mondo

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