17-02-2022

Il rilancio di Ricasoli, dal 1993 sino al Casalferro

Francesco Ricasoli ripercorre le vicende della storica azienda del Chianti Classico: «Sempre più "Sangiovesizzati"»

Francesco Ricasoli presenta il Casalferro

Francesco Ricasoli presenta il Casalferro

L’anno chiave è il 1993. Francesco Ricasoli, impugnando un diritto di prelazione, riacquistò la storica azienda di famiglia dagli australiani. «Mentre il Chianti Classico era in ascesa, noi eravamo in caduta libera». Ma Francesco Ricasoli voleva riportare l’azienda di famiglia in auge e per questo fece grandi sforzi, non solo economici.

Così, presentando il Casalferro 2018, ripercorre gli ultimi trent’anni della Ricasoli, con l’entusiasmo di chi sa di aver fatto davvero un’impresa, da quel 1993, e con la voglia di stupire ancora.

Una fotografia dall'alto mostra il Castello di Brolio e i vigneti

Una fotografia dall'alto mostra il Castello di Brolio e i vigneti

«Voglio ripercorrere la strada dell’azienda da quando l’ho riacquistata a oggi. Nel tempo abbiamo cercato di tornare al Sangiovese. Siamo già nella seconda fase di reimpianti dei vigneti, le varietà internazionali vengono soppiantate dai nostri Sangiovesi. Torniamo ad essere più “Sangiovesizzati”, per tanti motivi: perché abbiamo fatto ricerca, perché abbiamo studiato, perché utilizziamo i nostri cloni. Anche Castello di Brolio, che per tanto tempo è stato realizzato usando altre varietà, è diventato Sangiovese in purezza. La Ricasoli ha fatto dei grandi balzi in avanti e ci siamo concentrati sul Sangiovese, ma non ci siamo dimenticati delle altre chicche, come il Merlot del Casalferro».

Il tutto grazie al lavoro dell’enologo interno Massimiliano Biagi, con la consulenza di Carlo Ferrini

Francesco Ricasoli: «Puntiamo sempre di più sul Sangiovese»

Francesco Ricasoli: «Puntiamo sempre di più sul Sangiovese»

Se il focus è sui vini rossi, il Torricella 2019 è invece il vino bianco che rompe un po’ gli schemi: Chardonnay in purezza, vinificato in acciaio, e poi un affinamento sur lies  per 9/10 mesi in tonneau non nuove. Un vino di grande eleganza e complessità, quasi “aristocratico” e con uno stile molto francese, ma anche con il nerbo toscano.

Poi si passa subito ai Chianti Classico, quelle Gran Selezioni che rappresentano le migliori espressioni del territorio: tutte le annate sono 2018. E tutti affinano per 22 mesi in tonneaux da 500 litri di cui 30% nuovi e 70% di secondo passaggio: cambia “solo” il vigneto.

I Chianti Classico della Barone Ricasoli in degustazione

I Chianti Classico della Barone Ricasoli in degustazione

Il primo è il Colledilà, che «nasce da un vigneto su un terreno alberese, particolarmente povero, calcareo e pietroso, a 390 metri di altitudine». Il Sangiovese riesce a esprimersi con una buona intensità ed eleganza, con una splendida bevibilità.  

Il Roncicone, invece, nasce a 320 metri di altitudine, su terreni nati da depositi marini con fossili, argilla e sabbia. Un Chianti Classico meno immediato, più austero, ma che se si lascia aprire nel bicchiere riesce pian piano a uscire, con una bella prospettiva futura.

Il vigneto di Roncicone

Il vigneto di Roncicone

Poi c’è il Ceniprimo, con le uve che arrivano dalla valle del fiume Arbia, a 300 metri, su terrazze pluviali e presenza di ciottoli, con un suolo antichissimo. È un vino complesso, ampio, equilibrato e ottimo fin da subito, ma con indubbie prospettive di un felice miglioramento nel tempo.

L’ultimo Chianti Classico Gran Selezione è il vino “simbolo” dell’azienda: il Castello di Brolio. Arenaria, galestro, alberese sono i terreni che contribuiscono a rendere questo vino il più equilibrato tra i Gran Selezione dell’azienda.

Il castello di Brolio

Il castello di Brolio

«Il Casalferro, invece, è la rivisitazione di un vino che ripercorre questi anni di vita dell’azienda – sottolinea Francesco Ricasoli – Oggi questo vino ha una valenza particolare, è il simbolo di quanto fatto per riportare in alto l’azienda».

Rappresenta la volontà di realizzare il miglior Merlot in purezza possibile, con una selezione di tre diversi vigneti: non solo il Casalferro da cui prende storicamente il nome, ma anche dalla vigne Pecchierino e Sodacci. Questo per sfruttare al meglio le singole caratteristiche e amalgamarle sapientemente insieme.

Casalferro è un Merlot in purezza

Casalferro è un Merlot in purezza

Il risultato sono 9mila bottiglie di grande carattere, elegante ed espressivo, dove il Merlot si esprime al meglio senza eccessi, in sottile gioco di equilibri dove la parte varietale non prende mai il sopravvento, ma diventa un “plus” a prodotto di grande complessità aromatica. Anche in questo caso l’affinamento è di 21 mesi in tonneaux e barriques, ma i legni nuovi sono solo il 30%.

La cura dei dettagli è meticolosa per un vino di questa importanza. «È il suo rilancio» ripete Francesco Ricasoli. Per celebrarlo, è stata realizzata anche una particolare carta che avvolge le bottiglie, prodotta da artigiani di Fabriano, dove al suo interno sono stati inseriti minuscoli frammenti dei tralci di vite che arrivano proprio dai vigneti del Casalferro.


In cantina

Storie di uomini, donne e bottiglie che fanno grande la galassia del vino, in Italia e nel mondo

a cura di

Raffaele Foglia

giornalista de La Provincia di Como, sommelier e appassionato di birra artigianale. Crede che ogni bicchiere di vino possa contenere una storia da raccontare. Fa parte della redazione vino di Identità Golose

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