Un buon vino nasce sicuramente dalla somma delle caratteristiche intrinseche del territorio, dalle premure adottate già in vigna, da scelte coraggiose capaci di incidere sul risultato finale, al calice.
Ma c’è qualcosa che va oltre il terroir, oltre la capacità di saper applicare conoscenze ereditate e maturate nel tempo, un valore aggiunto che consente di raggiungere vette di eccellenza partendo da scommesse audaci, bensì ragionate: questo è il plus che l’Alto Adige custodisce in ogni sfera della sua realtà sociale, vale a dire una forte e vivace coesione comunitaria, la conditio sine qua non che ha ‘coordinato’ da sempre un agire sinergico di questo comparto produttivo (sono circa 5000 i viticoltori in Alto Adige) che, in realtà, è vero pilastro del tessuto culturale e identitario altoatesino.

© IDM Alto Adige / Florian Andergassen
Ed è proprio questa partecipazione estesa e condivisa a orientare e alimentare il futuro vitivinicolo locale, animato da una brillante evoluzione creativa, ma anche da tanta curiosità e prontezza nel saper cogliere le sfide legate alla valorizzazione di un particolare vitigno e alla sua potenzialità espressiva da svelarsi negli anni.
Chi riesce, quindi, a esprimere in maniera unitaria il valore dell’eterogeneità di ogni singola produzione, e a sostenere una cultura ‘del diverso’, traduce in opportunità, l’ambizione di puntare su un vitigno autoctono: entra in intimità con gli uvaggi per delineare la personalità dei vini, elimina gradualmente le sottili imperfezioni per donare, infine, un nettare seducente.

© IDM Alto Adige / Florian Andergassen
L’esempio del
Lagrein, a tal proposito, è calzante: è un vitigno autoctono a bacca nera che dà vita a un rosso ‘ fuori dal coro’, dove il coro è, prima di tutto la preziosa collezione a bacca bianca – e quindi Gewürztraminer, Riesling, Müller Thurgau, Pinot Bianco, Sylvaner, Chardonnay, Sauvignon – e a bacca nera: sarà sufficiente citare la sontuosa regalità del Pinot Nero altoatesino.
L’esuberanza al calice, la leggerezza con la quale ci si accosta a questo vino, la perseveranza dei produttori nelle costanti migliorie apportate al Lagrein, focalizzandosi più sulla resa qualitativa e arginando, allora, quella meramente quantitativa (notevole nel caso di questo vitigno), suscitano un rinnovato interesse in questa varietà, una delle più antiche tra quelle storicamente documentate, tanto è vero che una prima traccia scritta risale già al 1318. Sebbene il suo nome sembri derivare dalla Val Lagarina, uno dei frammenti più a meridione dell’Alto Adige, in realtà è nella conca di Bolzano, e in particolare nel quartiere di Gries, che si concentrano i cru vocati per questa varietà: il suolo alluvionale trattiene il calore, i terreni ghiaiosi e sabbiosi giovano allo sviluppo di tannini pregiati e incidono sulla pienezza dei vini e sulla loro amabile acidità.

© IDM Alto Adige / Alex Filz
Sebbene in passato il
Lagrein bianco abbia condiviso la scena con il
Lagrein a bacca nera (seppure i due non fossero geneticamente imparentati), oggi ad affascinare è quest’ultima varietà assieme al
Lagrein Kretzer, la sua versione rosé: in comune, persiste un affine tratto fruttato – la mora, le amarene, le ciliegie fresche, la violetta – con spiccati sentori di cioccolato e caffè, di pane ancora caldo. Il rosato – che ricorda molto i vini ottenuti per mezzo dell’antica fermentazione del mosto – si presenta con una calda colorazione salmonata e custodisce nella sua struttura la succosità acidula di piccoli frutti rossi, una irresistibile fragranza, mentre il classico
Lagrein è un concentrato di frutta matura dal rosso intenso, granato, al sorso molto vinoso; esprime l’acme della sua eleganza dopo una fase di affinamento in barrique, che aggiunge al palato e al naso note di frutta essiccata, in grado di domare quell’inclinazione del tutto naturale di un finale lievemente amaro. Come abbinarli? Il primo predilige bocconi leggeri e stuzzicanti o i salumi della tradizione dalle leggere affumicature; il secondo, invece, ricerca una pari robustezza e carattere, come la selvaggina, o un buon formaggio stagionato.

© IDM Alto Adige / Frieder Blickle
Ma la versatilità accattivante del
Lagrein si traduce anche nel suo più attuale uso nel mondo delle bollicine: ha un colore brillante, un perlage fine e una vivace acidità; resta per certo un vino corposo, ma è anche divertente, accogliente, dai freschi profumi di frutti di bosco, e si presta ad accompagnare le cucine orientali, riuscendo ad armonizzare l’incontro con le spezie.

© Associazione Turistica Val Senales / Helmuth Rier
Insomma, l’eredità storica vitivinicola altoatesina segue un doppio binario, destinato a incrociarsi: da una parte, c’è lo spirito aggregativo dei viticoltori e di tutti quegli attori chiamati a offrire il proprio contributo a una florida realtà produttiva, che è prima di tutto cultura, identità – basti pensare al graduale sviluppo del sistema delle cantine produttori, alla loro eccellenza, o alla sensibile azione promozionale, ma anche divulgativa delle conoscenze condivise esercitata dal
Consorzio Vini Alto Adige; dall’altra c’è il perseguimento di una produzione sempre più sostenibile, in grado di custodire la tradizione attraverso la libera espressione dei vitigni autoctoni, puntando con audacia e una maturata fiducia sulla rivelazione di un carattere sorprendente e multiforme: in una parola, il
Lagrein.