20-11-2020

Tenuta Sette Cieli, il sogno toscano con radici ben piantate tra... i sassi

L'azienda a Monteverdi Marittimo, a un passo da Bolgheri, di Ambrogio Cremona Ratti, con un progetto di rilancio

Ambrogio Cremona Ratti porta avanti l'eredità

Ambrogio Cremona Ratti porta avanti l'eredità della madre Erika alla Tenuta Sette Cieli a Monteverdi Marittimo

Dalla Lombardia alla Toscana, dal regno della seta di Como a quello del vino di Bolgheri. Questa è la storia di Ambrogio Cremona Ratti, 35 anni, che ha voluto mettere tutto se stesso in un progetto di rilancio di quella Tenuta Sette Cieli a Monteverdi Marittimo tanto amata dalla madre Erika.

Alle rive del lago di Como, dove la dinastia dei Ratti ha fatto grande negli anni il nome della seta lariana, Ambrogio Cremona Ratti ha invece preferito le coste e le colline toscane e ha cercato di portare avanti l’eredità della madre, che acquistò la proprietà nel 1994, con il primo obiettivo di allevare cavalli. «L’azienda si sviluppa su circa 80 ettari – spiega – Quando l’abbiamo acquistata era una tenuta praticamente abbandonata, in quanto molto sassosa».

Ambrogio Cremona Ratti ed Elena Pozzolini in cantina

Ambrogio Cremona Ratti ed Elena Pozzolini in cantina

Sassi che in realtà sono diventati una ricchezza, dal punto di vista del terroir, che allora non potevano immaginare. «Nel 2001 abbiamo trovato un’area particolarmente vocata per la vinificazione e abbiamo impiantato le prime vigne. Nel 2006 viene a mancare mia madre, e io sono tornato qui nel 2012, e con Elena Pozzolini abbiamo avviato il nostro progetto per cercare di fare il vino migliore possibile da questi terreni. Abbiamo fatto molta ricerca, per valorizzare quest’area decisamente particolare. Al momento abbiamo 10 ettari vitati, dei quali 3 impiantanti nel 2016, caratterizzati da un terreno molto argilloso e sassoso, a un’altitudine di 400 metri. Nel 2018 abbiamo acquistato un’altra proprietà con 32 ettari e 5 già vitati, all’interno della Doc Bolgheri».

I vigneti dell'azienda si trovano a 400 metri di altitudine, ma vicini al mare

I vigneti dell'azienda si trovano a 400 metri di altitudine, ma vicini al mare

Un’analisi che viene meglio evidenziata dall’enologa Elena Pozzolini: «Il terreno è in prevalenza argilla e sasso; siamo di fronte al vigneto storico di Sassicaia, che si chiama così proprio per la presenza dei sassi, e la nostra area ha lo stesso profilo».

La filosofia aziendale è molto legata a una tipologia di produzione in biologico. Ma non solo, c’è anche un’importante attenzione alle singole vigne: «Lavorare per ricette non funziona, ogni anno è diverso, ovviamente. Il nostro modo di lavorare è quello di capire quali sono le esigenze della vite. Basta camminare in mezzo ai filari: le vigne “parlano”, bisogna avere la sensibilità di capire quello di cui hanno bisogno».

Un momento della vendemmia

Un momento della vendemmia

E poi serve l’esperienza: «Mi hanno dato carta bianca – spiega ancora Elena Pozzolini - senza alcun compromesso in vigna, e in più abbiamo un posto unico». Le varietà coltivate sono in prevalenza Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc, Merlot e Malbec, anche se è stato realizzato nel 2016 un piccolo impianto di Sangiovese. «Amo il Sangiovese – racconta l’enologa – e a Bolgheri non lo avrei mai piantato. Ma in questo caso abbiamo delle condizioni particolari, nella nostra vigna, che mi fanno pensare a un Sangiovese che possa dare qualcosa di diverso, di particolare».

Di diverso c’è sicuramente il clima e l’altitudine, che portano ad avere acidità interessanti: «È un’impronta data direttamente dal territorio – spiega Ambrogio Cremona Ratti – Questa acidità penalizza questi vini nella fase giovane, perché ovviamente all’inizio può essere molto aggressiva. Noi usciamo molto tardi con i vini anche per questo, per favorire l’evoluzione».

Indaco - Toscana Igt - è realizzato con Malbec, Cabernet Sauvignon e Merlot

Indaco - Toscana Igt - è realizzato con Malbec, Cabernet Sauvignon e Merlot

L’azienda punta molto a due vini, prodotti su questi terreni appena fuori dalla doc Bolgheri: Indaco e Scipio.

«Personalmente – spiega l’enologa – cerchiamo di assaggiare subito tutte le uve. Noi trattiamo in maniera uguale tutte le parcelle, la differenziazione la facciamo proprio con l’assaggio del chicco, dove cerchiamo l’equilibrio tra acqua, zucchero, acidità e, masticando la buccia, tannino. Parcellizziamo molto, quello che ci piace di più va in Indaco, il resto va nel vino di partenza. Indaco è un taglio di tre varietà: Malbec, Cabernet Sauvignon e Merlot, circa un terzo ciascuno. Le macerazioni abbastanza lunghe, ma ogni volta andiamo all’assaggio. L’affinamento, separato per ogni varietà, è di circa 18 mesi, in barriques francesi, con 35-45% di legno nuovo, al quale segue un periodo in vasca per la decantazione, e infine in bottiglia per quasi 2 anni».

Abbiamo assaggiato l’annata 2016: è un vino dalla buona complessità e da una certa ricchezza, con 14,5 gradi alcolici che, fortunatamente, sono ben supportati da un’acidità sostenuta, che lo rendono un vino dal buon potenziale per il futuro.

Scipio è un Cabernet Franc in purezza

Scipio è un Cabernet Franc in purezza

«Scipio, invece, è un Cabernet Franc in purezza, dove il nostro obiettivo è arrivare a piena maturazione, fattore che all’inizio era problematico a queste altitudini. L’affinamento è di circa 22 mesi in barrique e poi bottiglia per altri due anni, per una produzione di circa 9.000 bottiglie». Sempre annata 2016, c’è un’ottima eleganza, e una trama tannica molto interessante: anche qui gradazione alcolica e acidità riescono a trovare un discreto equilibrio.

Vini in prospettiva: sicuramente esprimeranno il loro meglio tra qualche anno.


In cantina

Storie di uomini, donne e bottiglie che fanno grande la galassia del vino, in Italia e nel mondo

a cura di

Raffaele Foglia

giornalista de La Provincia di Como, sommelier e appassionato di birra artigianale. Crede che ogni bicchiere di vino possa contenere una storia da raccontare. Fa parte della redazione vino di Identità Golose

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