23-05-2019

Manuela Chiarolanza: e la carta degli Champagne finì anche in pizzeria

Conosciamo la signora del vino di Pepe in Grani a Caiazzo, promotrice di una piccola grande rivoluzione nella winelist

Parte della brigata della pizzeria Pepe in Grani d

Parte della brigata della pizzeria Pepe in Grani di Caiazzo (Caserta). Si riconoscono il patron Franco Pepe (in giacca) e, alla sua sinistra, la sommelier Manuela Chiarolanza

“Stargli appresso? Complicatissimo. I suoi pensieri viaggiano più veloci delle parole. Vede lontano. È un’anima in continuo movimento. Se c’è uno che potrebbe sentirsi arrivato e soddisfatto di ciò che ha creato, quello è lui. E invece, dal primo momento in cui sono arrivata a Pepe in Grani non fa che chiedermi dove sbagliamo, dove possiamo migliorare. In nettissima controtendenza con molti dei suoi colleghi. D’altronde parliamo di Franco Pepe, senza l’intelligenza del dubbio non si diventa il numero uno”.

Parola di Manuela Chiarolanza, classe 1973, 3 lingue parlate correntemente al proprio attivo più il napoletano stretto imparato al Vomero da bambina. Da febbraio è la signora del vino (e della birra) in quota a Pepe in Grani. Ovvero l’autrice della prima carta interamente dedicata agli Champagne introdotta in una pizzeria: 17 referenze, grandi maison ma soprattutto piccoli vigneron, stessa matrice che ha guidato la carta dedicata alla Campania, entrambe inserite di recente.

Per arrivare all’ennesima, piccola rivoluzione firmata a Caiazzo, bisogna sapere chi è Franco Pepe. E si sa. Chi è Manuela Chiarolanza, invece? Dieci, cento vite in una. E se c’è una che non avrebbe scommesso che ad avere la meglio sarebbe stata la sommelier, quella è lei. Sommelier in pizzeria, poi. Come dire caramelle sulla luna. È uno dei segmenti evolutivi nella marcia verso la pizzeria perfetta (o la migliore possibile) dell’inquieto pizzaiolo caiatino. Non è la prima volta, vero, ma di certo non è consuetudine.

“Mi sono reinventata più di una volta e ai bivi ho scelto sempre quello che mi portava più lontano da ciò che facevo prima”, nel raccontarsi le parole pronunciate ad alta voce le svelano che forse l’incontro in vicolo San Giovanni Battista con uno dei padri della pizza contemporanea, probabilmente non è stato un caso. Stessa tensione al cambiamento. Forse stessa irrequietezza. “Mi sono laureata in Chimica. Poi ho avviato un’impresa nel campo delle traduzioni, viaggiato ai quattro angoli del mondo. E fra un giro e l’altro alimentato una passione bruciante per il vino”.

Manuela Chiarolanza

Manuela Chiarolanza

Il tastevin finalmente acquisito di diritto, Manuela fa le prime prove nella ristorazione e dopo un paio di giri di valzer in sala giura a se stessa che in una pizzeria non ci avrebbe mai più messo piede. Almeno non per lavorarci. “Nelle pizzerie il problema principale è che il cameriere non è uno che fa quel lavoro per scelta. Ma ci si trova e lo fa per tirare a campare. A Napoli, lo scontro più grande era questo, io immaginavo certi livelli di professionalità e invece importavano solo i numeri: io speriamo che tra un anno sto facendo un’altra cosa, mi dicevo. Quando sono arrivata da Franco ho capito immediatamente che qui era tutta un’altra storia”.

“Sono donna di una sola parola – scuote la testa, ride -, Franco mi ha convinta in 10 minuti. Mi è stato chiaro sin da subito che chi si propone a questo indirizzo ci arriva con un altro approccio. Tre ragazzi che lavorano con me parlano inglese perfettamente. L’introduzione dei passisti (gli addetti al pass, ndr) nella filiera vuol dire avere al proprio fianco ragazzi che fanno il controllo-qualità, che si assicurano che la pizza non sia bruciata, che non sia infarinata, che non ci siano le bolle, che completano la pizza in uscita con gli elementi che vanno a crudo. E sono quelli che la pizza te la sanno spiegare, perché la fanno”.

“Gli altri cercano venditori di vino – prosegue -, Franco ha la religione dell’accoglienza dentro di sé, prima di ogni altra cosa. È quella che gli ha fatto concepire Authentica, la pizzeria più piccola del mondo, 8 ospiti ai quali pizzaiolo e sommelier si dedicano completamente. Ma attenzione, è aperta solo pochi giorni al mese, per non creare discriminazioni con il resto degli ospiti, ai quali riserviamo la maggior parte del tempo. A me è affidata la cura dei tavoli che richiedono una particolare narrazione. A tutti noi è richiesta, ciascuno per la sua parte, una soglia dell’attenzione altissima”.

Cosa ha ispirato l’introduzione di una carta dedicata ai soli champagne? “La vocazione di questo luogo è la scommessa sul territorio. Vale anche per i vini. In primavera è entrata a regime una carta di 38 etichette tutte campane, bollicine, bianchi, rossi, rosati. Dobbiamo essere noi i promotori delle nostre eccellenze, nessuno può farlo al posto nostro. Abbiamo legato la carta a un claim #iobevocampano, che non è certo un hashtag sciovinista. Champagne e Campania hanno la stessa etimologia, parliamo di campagna in un caso e nell’altro, e mi piaceva moltissimo l’idea di legare il nome di Franco a grandi vini, dove la grandezza è questione di qualità, naturalmente. La carta dedicata alle bolle conta 17 etichette quasi tutti piccoli vigneron, concepita nello stesso modo in cui è stata concepita quella autoctona”. “Non sono solo mie, queste carte – precisa -. Senza ragazzi come quelli che mi affiancano, capaci di riconoscere e raccontare il vino, l’intero progetto non avrebbe nessuna possibilità di funzionare”.

Qualche esempio di abbinamento perfetto? “Il Calzone con la scarola, molto napoletano, Franco ne fa una splendida versione con scarola a crudo, alicetta olive capperi e olio: ci bevo un Fiano d’Avellino. E con la Scarpetta invece, Grana padano, mozzarella, composta di tre diversi pomodoro, basilico liofilizzato: ci bevo uno champagne perché è grassa, golosa, rotonda”.

Non sono due bolle a fare la rivoluzione. Ma forse l’idea di un tempo lento e figure attrezzate umanamente e professionalmente per accompagnare una degustazione nel più chiassoso e frettoloso fra i luoghi dedicati al cibo. Alla corte del pizzaiolo più bravo del mondo, succede.


In cantina

Storie di uomini, donne e bottiglie che fanno grande la galassia del vino, in Italia e nel mondo

a cura di

Sonia Gioia

Cronista di professione, curiosa di fatto e costituzione, attitudine applicata al giornalismo d’inchiesta e alle cose di gusto. Scrive per Repubblica, Gambero rosso, Dispensa

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