Lo Champagne in tre dimensioni. Era questo il tema dell’Académie du Champagne, una giornata di approfondimento con 180 professionisti del settore, organizzata dal Bureau du Champagne, l’ufficio che si occupa proprio della promozione e della cultura di questo grande vino in Italia.
L’Académie ha permesso, soprattutto, di avere uno spaccato preciso di quello che sta avvenendo in Francia, di come i produttori si stiano muovendo per affrontare non solo i mercati, ma soprattutto i cambiamenti climatici. Perché seppure la zona dello Champagne si potrebbe “sedere sugli allori” per quanto questo prodotto sia apprezzato nel mondo, i produttori sanno che è necessario sempre guardarsi attorno, evolversi, migliorare, anche se ci si trova in una delle zone vitivinicole più affascinanti al mondo.

Quasi 200 professionisti hanno seguito i tre incontri
La zona di produzione dello
Champagne si trova all’estremo settentrionale per quanto riguarda la propagazione della vite. Però beneficia di un doppio clima: freddo, ma al riparo dai venti del nord. E’ suddivisa in quattro grandi regioni, cioè la
Côte del blanc, la
Vallèe de la Marne, la
Montagne de Reims e la
Côte de Bar, che a loro volta racchiudono 319
Cru. Per quanto riguarda i vitigni, il 38% è
Pinot Noir, il 32%
Meunier e il 30%
Chardonnay. La vendemmia 2018 è stata valutata come eccezionale, sia per quantità che per qualità: ma per assaggiare i vini bisognerà attendere parecchi anni.
Entrando nel merito della giornata di studio, lo Champagne è stato visto sotto tre dimensioni, a loro volta suddivise in altrettanti aspetti.

L'intervento di Pietro Palma
La prima dimensione è quella appunto dei tre vitigni principali, cioè
Pinot Noir,
Meunier e
Chardonnay: sono consentiti alcuni atri vitigni, ma rappresentano nel complesso solo lo 0,3% della produzione. Ognuno di questi vitigni ha caratteristiche proprie: il
Pinot Noir conferisce note di frutti rossi, ma anche maggiori corpo e potenza; il
Meunier, invece, ha un’evolzione più rapida, che aiuta ad avere una rotondità superiore; lo
Chardonnay ha tra le sue “armi” aromi floreali, ma anche finezza ed eleganza. Le cuvée infine servono proprio a trovare l’equilibrio che lo
chef de cave desidera per il suo
Champagne.
La seconda dimensione è quella delle fermentazioni: la fermentazione alcolica, la malolattica e la prise de mousse. E per capire l’importanza di questi passaggi, soprattutto per quanto riguarda lo studio dell’effervescenza, è necessario comprendere l’evoluzione di questo procedimento nella storia, dalla realizzazione di bottiglie più resistenti fino al controllo della pressione, determinato dopo anni di ricerche. Insomma, l’evoluzione dello champagne nella storia ha portato anche a una conoscenza sempre più meticolosa delle fasi di realizzazione dello Champagne, con quello che ne comporta nel prodotto finale. Per esempio, la malolattica è facoltativa, a seconda del “taglio” acido che si vuole conferire. Anche in tal senso, i cambiamenti climatici sono un fattore da tenere in considerazione, con la malolattica che potrebbe essere scelta sempre di meno dai produttori di Champagne in modo tale da mantenere una buona spalla acida.

La terza dimensione è quella che riguarda l’evoluzione, dove il valore più importante diventa il tempo. E anche qui tre i livelli: la giovinezza, la maturità e la pienezza. La decisione spetta più che altro all’azienda, su quando far uscire il proprio vino, dall’esuberanza della giovinezza, fino alla completezza della maturità. Ma anche il consumatore può decidere di far affinare il proprio
Champagne in cantina, ben oltre la data di sboccatura. E’ il fascino un po’ misterioso dell’evoluzione nel tempo.
Le tre dimensioni sono state declinate con l’assaggio di 14 Champagne che hanno mostrato, nella loro complessità, tutte le caratteristiche descritte durante le lezioni.
Durante l’
Académie, è stato inoltre possibile assaggiare un
vin claire, cioè un vino dopo la prima fermentazione, che poi diventerà
Champagne.
Si è trattata di un’occasione unica, in quanto è stato necessario un permesso speciale dal governo francese per portare in Italia questi campioni, il tutto grazie al lavoro del Comité du Champagne. Un modo per capire come un vino possa diventare, con il tempo, un grande Champagne.