23-11-2023

Le rane in cucina, piccola storia d'un amore interrotto (e ora ripreso?)

Cibo povero e un tempo diffusissimo, perlomeno nelle aree irrigue del nostro Paese; ora cibo prezioso e raro, in gran parte d'importazione (ma Cesare Battisti ci svela alcune eccezioni...): tutto sulle rane, con una ricetta del ristorante Lino di Pavia

C'è un momento, nel meraviglioso Viaggio nella valle del Po di Mario Soldati - prima trasmissione televisiva dedicata (anche) alla cucina, era il 1957 - il cui lo scrittore incontra a Pavia il grande giornalista Gianni Brera, e questi gli fa da cicerone in un'osteria di Borgo Ticino, l'Antica Trattoria Ferrari (esiste ancora e ci siamo stati, come vedremo), dove alcune donne sono intente a mundà i ran, ossia pulire le rane, il che vuol dire spellarle ed eviscerarle prima di cucinarle. Soldati chiede a una signora se non le faccia un po' ribrezzo tale mansione, lei risponde di no, «ne ho pulite a quintali!», ma la domanda rivela un certo disagio di chi - come, evidentemente, l'intellettuale torinese - non era abituato a veder lavorato e poi gustare un alimento però consumato da secoli e secoli - da noi almeno dall'Alto Medioevo - ma solo in alcune aree del mondo, di certo nell'Asia orientale (dove le rane entrano anche in zuppe e sashimi), poi negli Stati Uniti (ma lì soprattutto le cosce di rane-toro, grandi come quelle di una faraona), in Europa invece in Francia (non a caso gli inglesi chiamavano con disgusto i transalpini con l'appellativo di frog eaters, "mangiarane". Ma Curzio Malaparte scrive ne L'Arcitaliano, del 1928, la Cantata dei pratesi detti anche granocchiai o mangiatori di granocchi. Siam tutti sulla stessa barca). E in Italia? Rane nel piatto ovunque, un po' da Nord a Sud ma soprattutto, è logico, nelle aree irrigue della Pianura padana, dove erano parte integrante della cucina popolare.

Gianni Brera e Mario Soldati, sulla destra, mentre assistono alla pratica secolare di mundà i ran, all'Antica Trattoria Ferrari di Borgo Ticino, Pavia, era il 1956, telecamere di Viaggio nella valle del Po, la trasmissione sarebbe andata in onda nel gennaio successivo

Gianni Brera e Mario Soldati, sulla destra, mentre assistono alla pratica secolare di mundà i ran, all'Antica Trattoria Ferrari di Borgo Ticino, Pavia, era il 1956, telecamere di Viaggio nella valle del Po, la trasmissione sarebbe andata in onda nel gennaio successivo

Cibo contadino appunto, le rane, e importante; fonte di molte proteine innanzitutto; e persino di calcio, è lo stesso Soldati a spiegare come nel Vercellese, nel Novarese, in Lomellina e nel Pavese «si mangiano soprattutto per le ossa, che sono tenere, fragili, croccanti», un modo per integrare il calcio nella propria alimentazione, giacché «le aree sulla riva sinistra del Po ne sono poverissime, mentre gli affluenti di destra, quelli che scendono dall'Appennino, sono ricchi di carbonati di calcio e di magnesio, e infatti in Emilia non c'è l'abitudine di mangiare le rane», anche se evidentemente gli anfibi imperversavano pure da quelle parti.

Perché fino a non molti decenni se ne trovavano a bizzeffe tra stagni, risaie, terreni paludosi, marcite e fossi; la loro caccia era concessa gratuitamente da nobili e signori, ai tempi; tanto che quando ci si voleva liberare di uno scocciatore gli si diceva "ma va' a ranare!", ossia a catturare rane. Come dire: non continuare ad assillarmi e impiega il tuo tempo in modo più utile. Ranare pare fosse piuttosto agevole, in fondo, vista l'abbondanza di materia prima e la semplicità della cattura, si poteva acchiapparle anche con le mani, o con banali retini (la pesca degli esemplari selvatici è adesso regolamentata dal Ministero delle Politiche agricole alimentari e permessa dal 1 ottobre al 30 giugno, per favorire la riproduzione. Il limite massimo giornaliero di catture corrisponde a 5 chilogrammi pro capite o 50 esemplari, e sono vietati l’utilizzo di ami ad ancorina, le trappole e le catture notturne, soprattutto con l’uso di fonti luminose, in passato largamente utilizzate). Vuole la tradizione - almeno in Lombardia - che la caccia alle rane potesse avvenire solo "nei mesi con la r", quindi sostanzialmente a inizio primavera e autunno, perché in quelli senza r, ossia da maggio, vanno in amore.

Venditore di rane a Milano, 1930. Fonte: Civico archivio fotografico Milano

Venditore di rane a Milano, 1930. Fonte: Civico archivio fotografico Milano

Esisteva a Milano, e non solo, anche il mestiere del ranee, ossia del venditore di rane: nel periodo favorevole faceva bottino degli animaletti nei fossi e lungo le rogge della periferia, per poi venderli in città, dove erano molto richiesti e considerati una prelibatezza, usati soprattutto per fare il risotto (a quanto pare qualche ranee scorretto spacciava rospi per rane, era una truffa bella e buona). Lazzaro, il socialista, detto appunto il ranocchiaro, è un personaggio del racconto La pena del ritorno, scritto nel 1949 da Ignazio Silone.

Il quadro Rane fritte (2002) di Enrico Robusti, nella collezione di Franco Maria Ricci al Labirinto della Masone a Fontanellato (Parma)

Il quadro Rane fritte (2002) di Enrico Robusti, nella collezione di Franco Maria Ricci al Labirinto della Masone a Fontanellato (Parma)

Oggi di rane selvatiche se ne trovano molte, molte, molte meno, a causa delle bonifiche e dell'urbanizzazione; l'allevamento in Italia è impedito dalla Convenzione di Berna del 1979, entrata in vigore da noi nel 1981 e che mira alla conservazione dei biotipi europei e della vita selvatica in genere. Così non sono più un cibo povero, bensì ricercato, pregiato e piuttosto costoso; sul mercato se ne trovano perlopiù d'importazione, allevate in Cina, Taiwan, Thailandia, Malesia e Vietnam, oppure pescate in Turchia e Albania. Però alcuni risicoltori son tornati a catturarle per venderle ai ristoranti. Cesare Battisti del Ratanà, nel libro Cucina milanese contemporanea (scritto col nostro Gabriele Zanatta, illustrazioni di Gianluca Biscalchin, Guido Tommasi Editore, per acquistarlo clicca qui) rivela i suoi preziosi fornitori, ovvero le aziende agricole Moncucco di Vercelli ("Loro acquistano specie verdi italiane dai contadini della campagna circostante: sono piuttosto piccole, hanno carni bianche, sode e sono molto profumate") e a volte Riserva San Massimo di Gropello Cairoli, Pavia ("La loro proprietà ospita 1.500 aironi che si nutrono proprio di rane"). E precisa: "Noi utilizziamo solo queste rane italiane, ma quelle cinesi non vanno scartate a priori per la loro provenienza. Vale sempre la pena chiedersi se il meticciato giovi o meno alla nostra cucina, senza pregiudizi". E ancora: "Al mercato ittico (di Milano, ndr) resiste un ranaio anziano, che non garantisce però sempre la fornitura. Più facile che vi aiuti il vostro pescivendolo", facendo attenzione che non abbiano colorito giallastro, nel caso segnalerebbe che non sono fresche.

Gastronomicamente parlando, le rane hanno carni fini, un gusto a metà tra quello del pollo e dei pesci bianchi, valido sostituto di questi ultimi e dell'onnipresente baccalà nei giorni di magra, quando la carne era proibita e il pescato troppo costoso. Il gastronomo Marco Guarnaschelli Gotti nella sua Grande enciclopedia della gastronomia scrive: "La rana ha un aroma molto delicato, che bisogna fare attenzione a non cancellare, pur aiutandolo con i condimenti. In Italia si cucina anche l'animale intero. In Francia le sole cosce. Vi sono molte preparazioni di rana nella tradizione regionale italiana, naturalmente in prevalenza nelle aree risicole" e va a elencare le Frittelle di rane e gamberi (precisa: ricetta lombarda), le Rane embragade, ossia marinate, passate in pastella e fritte (ricetta trentina), le Rane fritte (senza pastella ma passate nella farina. Guarnaschelli sottolinea che ci sono varianti: "In Lombardia si friggono le rane senza marinarle, ma spesso si cospargono di prezzemolo tritato - anche con aglio - al momento di servirle; nel Lazio, nelle zone di laguna intorno a Fondi, si infarinano, si passano in uovo sbattuto, mischiato a un trito di prezzemolo e aglio, e si friggono dorate"), le Rane impastellate (ricetta della Lomellina), persino delle Rane alla maniera di Paternò che ci conducono all'estremo Sud della Penisola (l'autore cita una ricetta tratta da Il Libro d'oro della cucina e dei vini di Sicilia, in sostanza è una variante che aggiunge anche succo di limone e pepe nero), oltre che il Risotto con le rane e i Ran in squasset, ossia in guazzetto, che "s'accompagnano molto bene con una polenta molle".

Rana, pastinaca e fiori d'ibisco: un modo contemporaneo di servire le rane, al ristorante Lino di Pavia, chef Andrea Ribaldone e Valerio Tafuri

Rana, pastinaca e fiori d'ibisco: un modo contemporaneo di servire le rane, al ristorante Lino di Pavia, chef Andrea Ribaldone e Valerio Tafuri

Considerazione, quest'ultima, che trova Gianni Brera indirettamente d'accordo. Sempre in Viaggio nella valle del Po lui racconta a Soldati: «Le rane erano il nostro cibo principale, il venerdì, in guazzetto con la polenta» ma anche nella minestra, o arrosto. Oppure «nella frittata, una specialità del mio paese, San Zenone. A Pasqua venivano sempre quelli dell'Oltrepò (quindi dall'altra riva, ndr), per mangiare nelle nostre trattorie la frittata con le rane. Era un rito, la frittata era considerata un cibo grasso e si mangiava dunque alla fine della Quaresima».

Sempre a Pavia, al ristorante Lino, lo chef Valerio Tafuri (che è originario di Fasano, in Puglia, e testimonia come il consumo di rane sia presente anche nella tradizione delle sue parti) sta provando a riprendere alcune usanze a tavola del territorio, attualizzandole con un tocco gourmet. Da qualche tempo propone così, con grande successo, un antipasto, Rana, pastinaca e fiori d'ibisco, trovate la ricetta completa alla fine di questo articolo. Sempre a Pavia, siamo stati alla tavola di quell'Antica Trattoria Ferrari della quale abbiamo parlato all'inizio di questo articolo: propone uno stuzzicante piatto Misto croccante di fiume che comprende rane, arborelle, trota e gamberetti.

Misto croccante di fiume all'Antica Trattoria Ferrari di Pavia, foto Tanio Liotta. Le rane, sulla sinistra

Misto croccante di fiume all'Antica Trattoria Ferrari di Pavia, foto Tanio Liotta. Le rane, sulla sinistra

Gualtiero Marchesi, nato a Milano ma da famiglia originaria di San Zenone al Po proprio come Gianni Brera, nel suo La cucina italiana - Il grande ricettario passa in rassegna alcuni piatti a base di rane. Intanto, sia Risotto con le rane che Riso con le rane (la differenza in sostanza è nell'uso o no di burro acido, in mantecatura), poi le Rane in guazzetto e le Rane fritte con la variante Rane fritte impastellate (rane fritte? ne parlava già Bartolomeo Sacchi, umanista e gastronomo italiano, detto Platina, nel suo trattato di gastronomia De honesta voluptate et valetudine, stampato per la prima volta tra il 1473 e il 1475).

Rane fritte e salsa allo zafferano, di Cesare Battisti. Dal libro Cucina milanese contemporanea. Foto di Silvia Luppi

Rane fritte e salsa allo zafferano, di Cesare Battisti. Dal libro Cucina milanese contemporanea. Foto di Silvia Luppi

Marchesi viene ripreso da Cesare Battisti nel suo libro che abbiamo già citato, là dove quest'ultimo riporta la ricetta della Frittata di rane e precisa che "la differenza con la versione della tradizione, così come con quella che propone Marchesi ne La cucina italiana - Il grande ricettario, è che noi disossiamo le rane". Poi lo chef-patron del Ratanà racconta "un'altra ricetta nella gastronomia popolare meneghina", la Rane fritte e salsa allo zafferano (le rane sono fritte alla milanese, con uovo e pangrattato, "per accentuarne la croccantezza utilizziamo solo farina di riso". Disossarle? No, se sono italiane, più piccole; se sono cinesi, più grandi, basta utilizzare solo le cosce). Battisti recupera anche un grande classico del passato ambrosiano, Ris e rann, che attualizzato diventa Riso, rane e crescione, "la nostra ricetta è una via di mezzo tra questa pietanza (quella della tradizione, ndr) e la minestra di rane. Vi aggiungiamo il crescione di fonte perché è un'erba coerente all'habitat dell'anfibio (...). Regala un sapore molto fresco che ricorda il rafano. Un connubio felice con la dolcezza della carne di rana".

A Milano, un posto dove mangiare le rane era anche (ora non più) l'Antica Osteria di Ronchettino, posto alla periferia Sud-Est della città, a ridosso di Rozzano, in una località nonché antica parrocchia che si chiamava, guarda caso, Ronchetto delle Rane (anche conosciuto col nome di Tre Ronchetti per via della presenza del Ronchettone e del Ronchettino, ça va sans dire).

Ed ora, per chiudere, la ricetta che vi avevamo promesso, di Valerio Tafuri e Andrea Ribaldone, al ristorante Lino di Pavia.

 

RANA, PASTINACA E FIORI DI IBISCO
Ingredienti per 4 persone 

Rana, pastinaca e fiori d'ibisco

Rana, pastinaca e fiori d'ibisco

8 coppie di cosce di rana
100 g di olio di semi di girasole
500 g di pastinaca
250 g di latte intero
250 g di panna
30 g di radice di fiore di loto
3 g di agar-agar
q.b. fiori di ibisco secchi
q.b. polvere di ibisco
q.b. sale

Procedimento
Iniziamo con disossare le cosce di rana, dividiamo le cosce dai polpacci, chiudiamo entrambi sottovuoto - separatamente - in sacchetti per cottura, con olio di semi di girasole. Procediamo alla cottura in forno vapore 65 gradi, le cosce per 13 minuti, i polpacci per 7 minuti. Immergiamo in 750 grammi di acqua fredda le ossa delle rane e la radice di fiore di loto e portiamo a bollore, riduciamo il brodetto fino a ottenere 200 g di liquido, filtriamo il tutto e addizioniamo l'agar-agar, facciamo gelificare e frulliamo fino a ottenere un gel e trasferiamo in una piccola sac-a-poche. Per la vellutata di pastinaca peliamo la pastinaca, tagliamola a pezzi e cuociamola per i primi 10 minuti in acqua e poi in latte e panna, infine frulliamo fino a ottenere la consistenza desiderata, regolando di sale. Concludiamo il piatto spadellando sia le cosce che i polpacci, di seguito nappiamo le cosce con la vellutata di pastinaca mentre i polpacci verranno spolverizzati con la polvere di fiori di ibisco. Guarniamo le cosce con qualche petalo di ibisco essiccato e gel di brodetto di rana e radice di fiori di loto.


Carlo Mangio

Gita fuoriporta o viaggio dall'altra parte del mondo?
La meta è comunque golosa, per Carlo Passera

Carlo Passera

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Carlo Passera

classe 1974, milanese orgoglioso di esserlo, giornalista professionista dal 1999, ossia un millennio fa, si è a lungo occupato di politica e nel tempo libero di cibo. Ora fa l'opposto ed è assai contento così. Appena può, si butta su viaggi e buona tavola. Coordinatore della redazione di identitagolose.it e curatore della Guida di Identità Golose alle Pizzerie e Cocktail Bar d'autore. Instagram: carlopassera

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